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Anche l’Italia strizza l’occhio ad Haftar?


Se dalla conferenza di Vienna sulla Libia del 16 e 17 maggio, convocata per iniziativa di Italia e Usa, ci si aspettava un chiarimento su quello che sarà il futuro del Paese, le aspettative sono state frustrate. I passi in avanti che pure ci sono stati negli ultimi giorni – soprattutto l’allentamento dell’embargo sulle armi per consentire la creazione di una Guardia Presidenziale che difenda il nascente governo libico del premier incaricato Serraj – non sono ancora sufficienti a far intravedere un approdo al percorso negoziale che faticosamente procede da circa due anni sotto l’egida dell’Onu.

Se dalla conferenza di Vienna sulla Libia del 16 e 17 maggio, convocata per iniziativa di Italia e Usa, ci si aspettava un chiarimento su quello che sarà il futuro del Paese, le aspettative sono state frustrate. I passi in avanti che pure ci sono stati negli ultimi giorni – soprattutto l’allentamento dell’embargo sulle armi per consentire la creazione di una Guardia Presidenziale che difenda il nascente governo libico del premier incaricato Serraj – non sono ancora sufficienti a far intravedere un approdo al percorso negoziale che faticosamente procede da circa due anni sotto l’egida dell’Onu.

L’ostacolo principale è noto: Khalifa Haftar, ex generale di Gheddafi poi fuggito in esilio per venti anni negli Usa, tornato durante la rivoluzione del 2011 e da allora uomo forte della Cirenaica, in prima linea nella guerra all’Isis e ai gruppi jihadisti, protettore ma anche padrone del parlamento di Tobruk (quello riconosciuto internazionalmente), sostenuto dall’Egitto, dagli Emirati Arabi, dalla Francia e forse non solo. Essendo un elemento divisivo e praticamente inaccettabile per molte milizie della Tripolitania era stato escluso dal nascente governo unitario di Serraj, ma nelle ultime settimane – visto il sostegno internazionale, palese o meno, che lo ha reso di fatto inamovibile e imprescindibile – la posizione di Serraj si era ammorbidita (anche il ministro degli Esteri italiano Gentiloni aveva fatto delle aperture), e si era cercato di coinvolgere Haftar in un comando congiunto delle operazioni contro l’Isis lasciando anche intravedere possibili accordi per una suo ruolo di rilievo nella futura Libia unita. Ma non è bastato. All’indomani della conferenza di Vienna è arrivato il suo “no” ufficiale al governo Serraj: “non mi interesso di questo governo. Le sue decisioni sono solo inchiostro su carta”, ha dichiarato il generale.

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