A poche ore dal raggiungimento dell’accordo preliminare fra la Grecia e i creditori internazionali, in molti parlavano già di ‘risultato storico’, ‘svolta’, ‘nuova vita per l’Ellade’. Sono tutte definizioni calzanti solo a patto che si tengano presenti le seguenti condizioni: 1) fa ancora in tempo a saltare tutto, 2) per Atene il lavoro veramente duro inizia adesso, 3) la classe politica greca, quella almeno in parlamento, ne esce malissimo.
Il premier greco, Alexis Tsipras, in particolare dovrebbe prendere coscienza del fatto che se, e sottolineo se, il suo Paese potrebbe farcela il merito non sarà suo, ma in primis del ministro delle Finanze, Euklides Tsakalotos, e subito dopo del Fondo Monetario Internazionale, proprio il tanto vituperato fondo che i greci avrebbero voluto fuori dalla troika dei creditori internazionali e che invece è stato l’artefice principale per il raggiungimento dell’accordo sulla ristrutturazione del debito.
L’accordo preliminare, concede alla Grecia una maxi tanche di 10,3 miliardi di aiuti, che serviranno per pagare le prossime scadenze. I primi 7,5 miliardi verranno versati già a giugno. La seconda rata da 2,8 miliardi sarà versata con ogni probabilità in settembre.
Ma la parte più importante di questo accordo è la seconda, quella che sta più a cuore all’esecutivo di Atene, riguarda la possibilità di ristrutturare il debito a partire dal 2018. Apparentemente si tratta di una grande vittoria per il premier Tsipras, che così cercherà di vendersela, visto anche il vertiginoso calo dei consensi. I suoi fan però dovrebbero anche considerare che se questo risultato ‘storico’ è arrivato è perché nell’immediato futuro c’è uno spettro che preoccupa ben più del default ellenico e che si chiama Brexit.
La realtà è un pochino più complessa e non è tutta rose e fiori. La possibilità di ristrutturare il debito entrerà in vigore solo dopo che il terzo programma di aiuti internazionali si sarà concluso. E’ una clausola inserita proprio dal Fondo Monetario Internazionale, che fa ancora in tempo a sfilarsi dalla troika e non è una clausola da poco. Sostanzialmente perché è impossibile prevedere come i tassi di interesse si comporteranno in quel momento. E della svolta per l’economia greca tanto celebrata oggi, domani, nel 2018, dico, potrebbe non rimanere nemmeno il ricordo. La condizione è stata accolta con gioia dalla Germania, che prima del voto del 2017 potrà presentarsi ancora al suo elettorato con il messaggio che non ha fatto sconti ad Atene.
C’è poco da fare il Fmi della Grecia non si fida. Ma il problema non è tanto di parametri macroeconomici, quanto di affidabilità della classe politica. I negoziati li sta portando di fatto avanti il solo ministro Tsakalotos, al quale 11 milioni di connazionali dovrebbero erigere un monumento in tutte le piazze del Paese. Nei corridoi di Atene, il premier, l’ex giovane grande promessa della politica greca, è sempre più dipendente dal ministro della Difesa Kammenos.
Oltre ai provvedimenti necessari per ottenere gli aiuti internazionali, non c’è niente, non un piano che restituisca un po’ di speranza e di afflato a un popolo che per anni ha vissuto al di sopra delle proprie possibilità, ignorando i problemi. Ma che non è mai stato rappresentato da una classe politica degna di questo nome. Nemmeno quella attuale, che ricorda sempre di più quella passata. E se si conta che di mezzo ci sono state due elezioni e un referendum, tutti e tre voluti fortemente da Tsipras, viene spontaneo chiedersi se fosse necessario occupare le pagine dei principali quotidiani internazionali e spaccare in due l’Europa, se poi i risultati sono questi. Non è un caso che ieri ad Atene, nonostante l’enfasi, la notizia dell’accordo non è stata accolta con l’entusiasmo che avrebbe dovuto provocare. E’ la Grecia per prima che non ci crede più.
Da qui al 2018, Tsipras, se davvero vorrà passare alla storia come il salvatore della Grecia, dovrà dimostrare di avere in mente un progetto solido e realizzabile e circondarsi di un team all’altezza. Perché Tsakalotos può fare la differenza durante un negoziato di politici ed economisti, ma per altri miracoli non è attrezzato. Anche perché non è il suo ruolo. Lo dovrebbe fare un primo ministro.