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Erdogan porta la Turchia verso l’autocrazia, forti tensioni con la Ue: l’accordo sui rifugiati sta per morire?


La deriva autoritaria del presidente della Repubblica turco RecepTayyp Erdogan è sempre più evidente. Pur ricoprendo un ruolo privo (formalmente) di un reale potere, riesce a controllare l’esecutivo (ha da poco costretto alle dimissioni il premier Davutoglu, rimpiazzato con un altro fedelissimo - Binali Yildirim - personaggio dal profilo abbastanza dimesso da non mettere in ombra Erdogan), a condizionare il potere giudiziario (epurato e portato sotto l’autorità del Guardasigilli nel 2014) e ora sta facendo scempio di quello legislativo.

La deriva autoritaria del presidente della Repubblica turco RecepTayyp Erdogan è sempre più evidente. Pur ricoprendo un ruolo privo (formalmente) di un reale potere, riesce a controllare l’esecutivo (ha da poco costretto alle dimissioni il premier Davutoglu, rimpiazzato con un altro fedelissimo – Binali Yildirim – personaggio dal profilo abbastanza dimesso da non mettere in ombra Erdogan), a condizionare il potere giudiziario (epurato e portato sotto l’autorità del Guardasigilli nel 2014) e ora sta facendo scempio di quello legislativo.

L’abolizione dell’immunità per i parlamentari sottoposti a indagine, votata dal Parlamento di Ankara pochi giorni fa, è l’ennesimo passo verso il sistema quasi-dittatoriale agognato da Erdogan (sostenuto in questo da ampi strati della popolazione turca).
L’immunità infatti ha fino ad oggi impedito l’arresto di decine di deputati dell’opposizione, in particolare del partito di sinistra filo-curdo Hdp, accusati di “terrorismo” in base a una controversa legge che ha già portato in carcere decine di intellettuali, giornalisti e attivisti. L’Unione europea pretende che tale legge venga ammorbidita come condizione per liberalizzare i visti per i cittadini turchi, ma Erdogan rifiuta categoricamente qualsiasi cambiamento. Se verranno arrestati anche solo una decina del centinaio abbondante di deputati indagati, il partito di Erdogan (la formazione islamista Akp) avrà i numeri per modificare la Costituzione a proprio piacimento senza dover sottoporre il risultato a referendum popolare. A quel punto il sogno iper-presidenzialista del “Sultano” turco sarà praticamente cosa fatta.
Questa tendenza accentratrice ha come corollario, a livello politico, un populismo accentuato, che si fonda su retorica anti-occidentale, sindrome d’assedio – nemici all’esterno e all’interno del Paese – e su sogni di grandeurneo-ottomana sempre più marcati (fenomeni, questi, che la guerra in Siria ha notevolmente accentuato).«L’approccio minaccioso di Erdogan nei confronti dell’Occidente è quel che più lo fa apprezzare dalle masse islamiche conservatrici in Turchia», spiega Semih Idiz, giornalista turco esperto di politica estera. «E, da quello che sostiene nei suoi discorsi e nelle sue dichiarazioni, ciò che desidera in definitiva è un modo islamico unito con una leadership in grado di confrontarsi con l’Occidente da una posizione di forza». Questa narrazione aggressiva e complottista lo rende popolare come uomo forte, e gli fornisce la giustificazione per portare a compimento le trasformazioni costituzionali che desidera.
Le conseguenze, in termini di relazioni con l’Occidente non sono all’altezza delle parole del presidente turco, ma sono comunque ritenute preoccupanti dagli osservatori internazionali. Il rischio di una rottura diplomatica grave con gli Stati Uniti – con cui il dissenso è ai massimi livelli, per il supporto che Washington fornisce ai curdi siriani, considerati da Ankara terroristi legati al Pkk contro cui è in guerra – è considerato dagli analisti quasi inesistente. I due Pasi sono alleati e membri della Nato, e nel lungo periodo per la Casa Bianca la Turchia è troppo importante in ottica di contenimento della Russia. Più complicato il rapporto con l’Unione europea.
Da decenni Ankara preme per entrare nella Ue e anche Erdogan ha a lungo spinto per questo risultato. Negli ultimi anni la “svolta neo-ottomana” della Turchia, propiziata dalle Primavere arabe, l’ha portata a concentrarsi più sulle relazioni con gli Stati arabi – ex provincie dell’Impero Ottomano – e a guardare verso est che non verso ovest. Tuttavia la ricerca di un rapporto privilegiato con l’Unione europea, e domani di un’adesione, non è mai stata accantonata. Lo dimostra la contropartita chiesta da Ankara a Bruxelles per concludere l’accordo sui profughi siriani: la ripresa del negoziato per l’adesione e la liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi (oltre a 6 miliardi di euro).
Come si diceva, l’Unione europea ha però posto delle condizioni (settantadue) che garantiscano il rispetto dei diritti umani e delle libertà civili, tra cui la modifica della legge anti-terrorismo che Erdogan sta usando per stroncare proteste e opposizioni nel Paese. Il rifiuto di modificare tale legge, cui si aggiunge ora il tema dell’abolizione dell’immunità parlamentare, rischia di impattare in modo drammatico sui rapporti tra Turchia e Ue. In un incontro bilaterale molto teso la cancelliera tedesca Angela ha duramente attaccato le politiche del presidente turco, dichiarando di essere “preoccupata per la democrazia in Turchia” e che una democrazia ha bisogno di “un sistema giudiziario indipendente, una stampa indipendente e un Parlamento forte“. Durissima la risposta di Erdogan, che minaccia di stracciare l’accordo sui migranti (voluto fortemente in primo luogo dalla stessa Merkel), sostiene che se la Ue vuole andare per la sua strada Ankara farà lo stesso, e accusa gli europei di essere insensibili di fronte al dramma dei migranti e di avere un doppio standard per gli attentati jihadisti in Europa e per quelli del Pkk in Turchia.
La situazione rischia di arrivare a un punto di rottura, con entrambi i protagonisti dell’accordo sui profughi che hanno ragioni valide per volerne i risultati ma forse ancor più valide per non volerne pagare il prezzo. L’Unione europea invita gli Stati membri a non fare un dramma dell’accoglienza di migranti in fuga dalla guerra, anche per svincolarsi dal ricatto di Erdogan. “Un continente di 508 milioni di abitanti, dovrebbe essere in grado di integrare 2 milioni di rifugiati”, ha dichiarato il presidente della Commissione europea, Claude Junker. Ma qui sta il problema: “dovrebbe”, ma per ora non lo è. Le opinioni pubbliche europee sono spaventate dal flusso di profughi, collegano (impropriamente) il fenomeno al terrorismo e vengono tentate da soluzioni xenofobe, nazionaliste e anti-europee. I leader politici dei vari Paesi (almeno dove i populisti non sono già al potere), nel tentativo di sbarrare la strada ai partiti di estrema destra, sembrano disposti a gravi compromessi al ribasso e ad aumentare a loro volta la retorica anti-europea. Se, a fronte della deriva autoritaria di Erdogan, il più evidente di questi compromessi – l’accordo sui profughi – dovesse venir meno e il flusso migratorio dovesse riprendere più impetuoso che mai, l’Europa sarebbe chiamata a uno sforzo importante per dimostrare infondato il ricatto del presidente turco. E questo è un azzardo che nelle cancellerie di mezza Unione europea si preferirebbe non prendere.

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