Tra i siriani all’estero ci sono diversi imprenditori tra i più ricchi del mondo. Nei loro uffici a Vienna o a Dubai aspettano gli sviluppi degli eventi pronti a investire i loro capitali nel ricco affare della ricostruzione.
La distruzione della Siria appare totale come in ogni guerra. Molte città sono semidistrutte, le strade sono interrotte o impraticabili per ragioni di sicurezza, le reti elettriche e idriche sono gravemente danneggiate, scuole e ospedali sono in rovina, centinaia di migliaia sono i morti e milioni sono gli sfollati e rifugiati. Le stime più ottimistiche dicono che fino ad oggi la guerra è costata più di ottanta miliardi di dollari.
In questo quadro drammatico c’è, però, chi pensa già alla ricostruzione e ai guadagni che questa porterà. In prima linea in questo esercito pronto a intervenire ci sono i ricchi imprenditori siriani, che ora vivono all’estero.
Waleed Zaabi, con un patrimonio che secondo la classifica dei miliardari di Bloomberg supera il miliardo di dollari, è uno di questi. “Se solo un accordo di pace non fosse così sfuggente, tutto sarebbe molto più facile ci vorrebbe solo un po’ di stabilità per iniziare a lavorare.”
Zaabi, che vive a Dubai, ha descritto i negoziati di Ginevra, in cui è personalmente coinvolto, come “Un film. Solo i diplomatici più ottimisti pensano a una cessazione delle ostilità imminente”.
Quando questo accadrà, però, nel Paese torneranno a investire e a guadagnare i ricchi emigrati siriani. Gli analisti valutano che ci vorranno almeno 200 miliardi di dollari per far ripartire l’economia in Siria e farla tornare alle dimensioni di prima del conflitto. Un affare che potrà permettere enormi guadagni, anche se di certo non mancheranno i rischi per gli investitori.
Waleed Zaabi, che partecipa ai negoziati delle Nazioni Unite come esponente dell’opposizione al presidente Bashar Assad, ha detto che “non sarà sufficiente la fine della guerra per far rientrare nel Paese i magnati siriani. Per convincere gli imprenditori a investire i loro capitali in Siria ci dovrebbe essere un governo trasparente e uno stato di diritto. Allora ci metteremo al lavoro per rispondere alle priorità: la scuola e l’assistenza sanitaria per i milioni di bambini che sono cresciuti senza un’adeguata istruzione e per le decine di migliaia che sono diventati disabili a causa della guerra. Penso ai bambini che avevano 10 anni nel 2011, ora ne hanno 15 e hanno conosciuto solo morte e distruzione. Cosa possiamo aspettarci da loro?”
Altri due personaggi di spicco in questo club di nababbi siriani sono Ayman Asfari, amministratore delegato del gruppo petrolifero londinese Petrofac Ltd., e il magnate della produzione della carta Nabil Kuzbari. Asfari, che secondo l’indice Bloomberg possiede un capitale personale di un miliardo di dollari, ha sempre criticato apertamente il governo di Assad, ma recentemente ha dichiarato che “né il regime, né l’opposizione hanno alcuna legittimità politica. Non mi aspetto un paradiso nel dopo Assad, ma si può contare sulla buona volontà dei siriani emigrati e che vogliono tornare per investire nel loro Paese, e io sarò il primo a farlo.”
Kuzbari, invece, prima della guerra aveva stretti rapporti di affari con membri della famiglia del Presidente. Con un capitale personale valutato da Bloomberg in 300 milioni di dollari, già ora si dice pronto a investire nel “settore umanitario”.
Da Vienna, dove vive, ha dichiarato “La Siria ha bisogno di pionieri e imprenditori senza paura che sono disposti ad assumersi i rischi necessari per ricostruire il Paese. Il ritorno sugli investimenti sarà alto, sia in termini finanziari sia perché si può fare qualcosa di intrinsecamente positivo e costruttivo. Continuo a credere che è possibile fare del bene e del profitto allo stesso tempo. Molto dipenderà da chi sarà al potere.”
La ricchezza e la potenza di questi e altri uomini sicuramente peserà sul futuro della Siria. Avranno un’influenza paragonabile a quella avuta in Libano dal miliardario Rafik Hariri. Ucciso in un attentato nel 2005 fu a lungo Primo Ministro del Paese dei Cedri guidando la ricostruzione di Beirut e del resto del Paese a partire dagli anni ’90, dopo la fine della guerra civile. Le sue scelte economiche, sociali e urbanistiche hanno dato vita al Libano di oggi e ai suoi problemi.
In Siria la situazione appare, però, più complessa. In questo Paese si incrociano gli interessi economici e geopolitici da una parte di Russia e Iran, schierati con Assad, e Arabia Saudita e Stati Uniti dall’altra.
La Siria di oggi è distrutta, quando le armi taceranno saranno in molti, e non solo siriani, a volersi spartire una torta molto ricca. Chi, però, materialmente ricostruirà il Paese? In più di cinque anni di guerra sono morti o fuggiti soprattutto i giovani e i laureati, la Siria corre i rischio di affacciarsi alla pace con una popolazione di bambini e anziani e con tutti i quadri migliori, ingegneri, medici e architetti, emigrati all’estero. Questo problema non sembra riguardare i ricchi siriani che continuano a nei loro affari anche in questi anni di violenza, e sono pronti a lanciarsi nel business della ricostruzione.
La distruzione della Siria appare totale come in ogni guerra. Molte città sono semidistrutte, le strade sono interrotte o impraticabili per ragioni di sicurezza, le reti elettriche e idriche sono gravemente danneggiate, scuole e ospedali sono in rovina, centinaia di migliaia sono i morti e milioni sono gli sfollati e rifugiati. Le stime più ottimistiche dicono che fino ad oggi la guerra è costata più di ottanta miliardi di dollari.
In questo quadro drammatico c’è, però, chi pensa già alla ricostruzione e ai guadagni che questa porterà. In prima linea in questo esercito pronto a intervenire ci sono i ricchi imprenditori siriani, che ora vivono all’estero.