In questi ultimi giorni il Gabon sembra essere piombato in un’impasse politica che sta mettendo a dura prova la tenuta democratica del paese. I violenti scontri verificatisi a Libreville in seguito alle presidenziali dello scorso 27 agosto seguono un copione già visto qualche anno fa. Come nel 2009, anche questa volta Ali Bongo Ondimba ne esce ufficialmente vincitore, con un risultato che ha sollevato non pochi dubbi sulla corretta tenuta delle votazioni. Secondo i dati diffusi subito dopo la chiusura delle urne, in alcune zone l’affluenza avrebbe raggiunto il picco record del 99% e il presidente uscente avrebbe ottenuto il 49,80% dei voti, imponendosi così sul suo principale sfidante, il settantatreenne Jean Ping, rimasto fermo al 48,23%.
Non appena è stata annunciata la vittoria di Bongo, l’opposizione è insorta scendendo nelle strade della capitale. Le proteste sono sfociate immediatamente in atti di violenza: saccheggi e devastazioni hanno costretto le forze dell’ordine ad intervenire per reprimere le sommosse. La polizia è arrivata fino al quartier generale di Jean Ping, situato nel nord della città, dove numerosi manifestanti avevano trovato rifugio. Secondo il candidato dell’opposizione, gli scontri avrebbero causato cinque morti e diverse decine di feriti.
Dinnanzi ad una simile escalation di violenze, la comunità internazionale ha lanciato diversi appelli per un ritorno alla calma. Stati Uniti, Onu e Unione Europea hanno apertamente condannato le aggressioni, mostrando diffidenza nei riguardi dello svolgimento degli scrutini. In un rapporto stilato dalla missione di osservazione dell’UE inviata sul posto, è stata denunciata “la mancanza di trasparenza nel processo elettorale”, giudicato “privo di informazioni essenziali” per gli elettori.
L’alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri, Federica Mogherini, ha richiesto la pubblicazione dei “risultati seggio per seggio”, nonostante questa procedura non sia prevista dal sistema gabonese.
Anche la Francia si è unita al coro di disapprovazione. Secondo il ministro degli esteri, Jean Marc Ayrault, “i risultati delle votazioni devono essere chiari” e, nel caso in cui ci dovessero essere dei ricorsi, bisognerà agire “per via giuridica”.
Lo scetticismo di Parigi nei confronti della vittoria di Ali Bongo ha destato un certo stupore tra gli osservatori, visti i rapporti che in questi ultimi cinquanta anni sono stati intrattenuti tra l’Eliseo e la famiglia del presidente. Prima di Ali, infatti, il Gabon è stato guidato per oltre quattro decadi da suo padre, Omar Bongo Ondimba, salito al potere nel 1967, sette anni dopo l’ottenimento dell’indipendenza dalla Francia. Nel corso del suo lungo mandato, Omar Bongo ha trasformato il Gabon in uno dei pilastri portanti della Françafrique (termine utilizzato per indicare l’influenza francese sulle ex-colonie). La sua ascesa al potere avvenne grazie all’appoggio del generale De Gaulle che, dopo averlo conosciuto in un colloquio avvenuto a porte chiuse all’Eliseo, decise di sostenere la sua scalata alla presidenza. Jacques Foccart, all’epoca consigliere di stato incaricato degli affari africani, riuscì con un escamotage a ritoccare la costituzione per permettere all’aspirante leader di vincere facilmente le elezioni. Da quel momento, Bongo divenne uno dei più fedeli alleati della Francia in Africa, mantenendo degli ottimi rapporti diplomatici con tutti i presidenti che si sono succeduti all’Eliseo. Grazie alle ingenti risorse petrolifere (il Gabon è attualmente il quinto produttore di oro nero del continente) e alle ricchezze minerarie presenti nel sottosuolo del suo paese, come il manganese o l’uranio, l’allora presidente dispose di un certo potere che gli permise di ricoprire un ruolo centrale nello scacchiere politico africano.
Dal punto di vista strategico, la Francia poté contare sull’aiuto del suo partner africano in diverse occasioni, come quando fu fornito un appoggio logistico per intervenire nella guerra del Biafra alla fine degli anni sessanta o quando fu represso il tentato colpo di stato nel vicino Benin nel 1977. Secondo una serie di documenti pubblicati da Wikileaks nel 2010, Bongo arrivò a finanziare le campagne elettorali di Jacques Chirac e di Nicolas Sarkozy, sottraendo 28 milioni di euro provenienti dai fondi della Banca degli stati dell’Africa centrale (Beac). In compenso, il presidente usufruì dei favori dell’Eliseo per contrastare i tanti oppositori che nel corso degli anni hanno provato a destabilizzare il suo regime.
Durante il suo governo Bongo riuscì ad accumulare un’immensa fortuna grazie allo sfruttamento dei giacimenti del suo paese. Con la crisi petrolifera del 1973, il Gabon assunse un ruolo di primo piano sullo scenario internazionale. La disponibilità di oro nero, sfruttata in larga parte anche dalla Francia, portò la produzione alle stelle e permise al Gabon di entrare nell’OPEC nel 1974.
L’escalation di Bongo, però, non andò di pari passo con lo sviluppo del paese. Questo piccolo stato popolato da neanche due milioni di persone non ha mai beneficiato delle sue ricchezze, che sono sempre state destinate alle casse personali del presidente. Ad oggi, due terzi della popolazione vive sotto la soglia della povertà, in uno stato sprovvisto di molti servizi e infrastrutture.
Alla morte di Bongo, avvenuta nel 2009, le relazioni franco-gabonesi sono continuate con Ali, il figlio del vecchio presidente-dittatore, che è salito al potere pochi mesi dopo la sparizione del padre. Le speranze di un cambio di rotta democratico sono state subito soffocate da un’elezione marcata da evidenti brogli che, come avvenuto pochi giorni fa, hanno provocato disordini nelle strade di Libreville. Lo stesso Ali, qualche tempo dopo la sua vittoria, ha apertamente ammesso che almeno “120mila voti falsi” hanno favorito la sua vittoria.
Anche in questo caso l’ingerenza della Francia sembra aver pesato notevolmente sul risultato degli scrutini, grazie all’appoggio dato da Sarkozy al rampollo della casata.
Viene da chiedersi perché oggi la Francia abbia assunto un atteggiamento così freddo nei confronti del suo ex-alleato. Le elezioni della scorsa settimana sembrano essere una riedizione delle precedenti, con la differenza che questa volta Parigi ha preso le distanze dal presidente africano.
In questi ultimi anni i rapporti tra i due paesi hanno subito una battuta d’arresto a causa di alcune mosse di Ali Bongo, che ha adottato una serie di misure economiche sfavorevoli per le imprese francesi presenti sul territorio gabonese. Tra queste, un risanamento fiscale ai danni del colosso petrolifero della Total, che per la prima volta è stato costretto a regolare i conti con il fisco locale, versando nelle casse dello stato 805 milioni di euro.
A questo si aggiunge poi un piccolo incidente diplomatico risalente all’agosto dello scorso anno che ha contribuito ad inasprire le relazioni già tese tra i due governi: Maixent Accrombessi, direttore e braccio destro di Ali, è stato arrestato a Parigi e tenuto in stato di fermo perché sospetto di corruzione nel quadro di un’inchiesta della procura di Parigi. Nonostante il funzionario gabonese sia stato rilasciato poche ore dopo, fonti vicine al governo hanno assicurato che il presidente Bongo è rimasto profondamente irritato dall’inconveniente. Come se non bastasse, lo scorso gennaio, durante una trasmissione sul canale nazionale France 2, il premier Manuel Valls ha dichiarato che Ali Bongo è un presidente “non eletto”.
La Francia sembra quindi essere pronta a scaricare definitivamente il suo vecchio partner. Privo dell’intelligenza politica e strategica di suo padre, in questi anni il presidente Ali non ha saputo gestire i delicati rapporti diplomatici con l’Eliseo, arrivando ad alienarsi le simpatie della classe dirigente francese. Nel campo della politica interna, sono mancate le riforme necessarie per far ripartire il paese, che soffre della crisi del prezzo del petrolio e di un altissimo tasso di disoccupazione.
Per contrastare l’avanzata della Cina nella regione, Parigi ha interesse nel rimanere il principale partner economico e strategico del Gabon. Oltre ad una base militare dislocata nei pressi della capitale, la Francia è presente sul territorio con diverse imprese che impiegano più di 11mila connazionali. Tra queste, il colosso petrolifero della Total, controllato al 25% dal governo locale, rappresenta il principale investimento, con una cifra d’affari che nel secondo trimestre di quest’anno ha raggiunto i 200 milioni di euro.
Il leader dell’opposizione, Jean Ping, potrebbe essere un valido sostituto agli occhi della Francia. Oltre ad essere sposato con una delle sorelle di Ali, Ping è stato per molti anni al governo con Omar Bongo come capo di gabinetto e conosce le dinamiche interne al governo. Una sua eventuale elezione non rappresenterebbe un vero cambiamento per il paese, ma sarebbe comunque una scelta che soddisferebbe Parigi, interessata ad avere nuovamente un alleato su cui poter contare in Africa centrale. L’uscita di scena di Ali potrebbe aprire un nuovo capitolo nella storia delle relazioni franco-gambonesi, che per il momento restano sospese nell’attesa di sapere quale sia il prossimo presidente del Gabon.
In questi ultimi giorni il Gabon sembra essere piombato in un’impasse politica che sta mettendo a dura prova la tenuta democratica del paese. I violenti scontri verificatisi a Libreville in seguito alle presidenziali dello scorso 27 agosto seguono un copione già visto qualche anno fa. Come nel 2009, anche questa volta Ali Bongo Ondimba ne esce ufficialmente vincitore, con un risultato che ha sollevato non pochi dubbi sulla corretta tenuta delle votazioni. Secondo i dati diffusi subito dopo la chiusura delle urne, in alcune zone l’affluenza avrebbe raggiunto il picco record del 99% e il presidente uscente avrebbe ottenuto il 49,80% dei voti, imponendosi così sul suo principale sfidante, il settantatreenne Jean Ping, rimasto fermo al 48,23%.
Non appena è stata annunciata la vittoria di Bongo, l’opposizione è insorta scendendo nelle strade della capitale. Le proteste sono sfociate immediatamente in atti di violenza: saccheggi e devastazioni hanno costretto le forze dell’ordine ad intervenire per reprimere le sommosse. La polizia è arrivata fino al quartier generale di Jean Ping, situato nel nord della città, dove numerosi manifestanti avevano trovato rifugio. Secondo il candidato dell’opposizione, gli scontri avrebbero causato cinque morti e diverse decine di feriti.