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Accordo UE-Ankara sui migranti, un fallimento da replicare


L’accordo sui migranti tra UE e Turchia continua ad essere celebrato dai propri fautori come un “modello” virtuoso, da replicare anche con altri Paesi. A levare la propria voce dal coro dei sostenitori c’è Angela Merkel, la quale – ormai è storia nota – tra fine 2015 e inizio 2016 era stata costretta a rinnegare la politica delle ‘braccia aperte’, strappando un accordo da dare in pasto agli elettori, e frenare l’arrembaggio delle destre xenofobe anti-migranti. "La situazione oggi è molto migliore di un anno fa. Ma naturalmente resta molto da fare", ha dichiarato la cancelliera durante un recente intervento a Berlino, in merito al deal sottoscritto a Bruxelles il 18 marzo scorso. Una situazione “migliore” a tal punto da rendere necessario qualche accertamento da parte nostra.

Un bambino in bicicletta nel campo profughi di Souda, sull'isola di Chios, Grecia. Settembre 2016, REUTERS/Alkis Konstantinidis

L’accordo sui migranti tra UE e Turchia continua ad essere celebrato dai propri fautori come un “modello” virtuoso, da replicare anche con altri Paesi. A levare la propria voce dal coro dei sostenitori c’è Angela Merkel, la quale – ormai è storia nota – tra fine 2015 e inizio 2016 era stata costretta a rinnegare la politica delle ‘braccia aperte’, strappando un accordo da dare in pasto agli elettori, e frenare l’arrembaggio delle destre xenofobe anti-migranti. “La situazione oggi è molto migliore di un anno fa. Ma naturalmente resta molto da fare”, ha dichiarato la cancelliera durante un recente intervento a Berlino, in merito al deal sottoscritto a Bruxelles il 18 marzo scorso. Una situazione “migliore” a tal punto da rendere necessario qualche accertamento da parte nostra.

Gran parte di noi probabilmente ricorda l’allarmismo diffuso tra i leader europei a gennaio e febbraio, quando il timore per le vite dei migranti in transito sull’Egeo spianò la strada all’intesa con Ankara, rappresentata all’epoca dal premier Ahmet Davutoğlu, dimessosi dall’incarico a inizio maggio. Ad alimentare quell’immenso esodo di uomini, donne e bambini diretto sulle isole greche, furono i trafficanti turchi attivi nelle loro roccaforti di Bodrum e di Izmir. In soli dodici mesi, tra gennaio e dicembre 2015 le acque dell’Egeo videro transitare più di 800 mila migranti, cui si sommano quelli giunti dal Nord Africa attraverso il Canale di Sicilia, e in misura inferiore sullo stretto di Gibilterra, per un totale di 1.015.078 persone (fonte UNHCR). Un vero e proprio esodo, anzi, il più massiccio esodo di migranti in Europa dall’epoca della Seconda guerra mondiale. Tra gli obbiettivi dichiarati del deal, c’era in primis la necessità di togliere ai trafficanti il controllo dei flussi migratori, ed instaurare un metodo efficace e soprattutto rispettoso della dignità di tutte quelle persone. Sfiancare le rotte clandestine significava anche affrancare centinaia di migliaia di persone dal cappio del lavoro nero, della prostituzione, del mercato clandestino degli organi, soluzioni adottate per riuscire a pagare un pass verso la salvezza in Grecia, quindi in Europa. Non da ultimo, il deal puntava ad abbassare il prezzo in vite di questa maxi mobilitazione illegale, costata 3.771 morti su oltre un milione di passaggi nel 2015 (314 vittime al mese).  

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