Il Migration Compact proposto dal governo italiano è ancora chiuso nel cassetto delle idee, ma il viaggio in Africa di Angela Merkel sembra suggerire una strategia simile a quella renziana: investire nei Paesi di partenza dei migranti per creare occasioni di sviluppo e bloccare i flussi sul nascere.
La Germania non ha mai avuto un impatto sul continente nero paragonabile a quello di Francia e Gran Bretagna, ma si è resa conto che, in era di migrazioni globali, solo intervenendo in Africa Berlino può esercitare quella leadership politica che la Merkel aveva rivendicato con il suo “Wir schaffen das” (“Ce la possiamo fare”), l’invito all’accoglienza pronunciato poco più di un anno fa.
Le tappe del tour diplomatico sono state scelte con cura: prima il Mali, dove già i tedeschi sono presenti con 550 soldati, che partecipano all’operazione di peacekeeping delle Nazioni Unite (MINUSMA) e alla missione di formazione delle truppe locali lanciata dall’Unione Europea (EUTM). Poi il Niger, dal quale passa il 90 per cento dei migranti che raggiungono la Libia. Infine l’Etiopia, che non solo è sede del quartier generale dell’Unione Africana, ma ospita ben 700.000 rifugiati, un numero tra i più alti nel continente.
Ragioni di politica interna non sono estranee a questo nuovo approccio della cancelliera, dal momento che l’immigrazione sarà uno dei temi chiave durante la campagna elettorale del prossimo anno. La Merkel ha dosato la carota degli incentivi economici con il bastone degli accordi di sicurezza e ha manifestato la volontà di stringere con i Paesi africani un’intesa simile a quella firmata con la Turchia lo scorso marzo (al suo ritorno in patria, tra l’altro, la cancelliera ha ricevuto i presidenti del Ciad e della Nigeria).
La Merkel ha dichiarato che approfitterà della presidenza tedesca del G20, in programma il prossimo anno, per incoraggiare gli investimenti privati nelle reti di trasporto e in quelle energetiche africane, nonché nella formazione professionale in loco. Ad esempio, sono stati promessi 77 milioni di euro per il governo nigerino, destinati alla regione di Agadez, nel Niger, meta di passaggio dei migranti (nonché sede di importanti riserve di uranio), e fondi per l’agricoltura nel disastrato Mali. D’altra parte, le migrazioni stanno privando alcuni Paesi dell’Africa sub-sahariana di prezioso capitale umano. “L’importante è che l’Africa non perda le sue menti migliori”, ha detto la Merkel, riecheggiando un recente report del Fondo Monetario Internazionale, secondo cui i lavoratori specializzati africani stanno emigrando in massa verso l’Europa. Questa “fuga dei cervelli”, ha scritto il Fondo, crea danni sociali sul lungo periodo.
Accanto agli investimenti per lo sviluppo, c’è un focus parallelo sulla sicurezza. Alla vigilia del tour africano della cancelliera, l’ambasciatore tedesco in Niger ha annunciato la costruzione di una base militare di Berlino a Niamey, in appoggio alla missione Onu in Mali. Al momento nel Paese sono già presenti soldati americani e francesi, che dispongono di una struttura nella capitale e sorvegliano con i loro droni i movimenti dei jihadisti in Libia e in Mali, due instabili vicini del Niger.
La Germania ha promesso dieci milioni di euro destinati all’esercito nigerino, per acquistare veicoli e strumenti di comunicazione, e si è detta disposta ad accrescere il contingente tedesco nella missione di stabilizzazione del Mali. Non mancano però i dubbi su questi (eventuali) accordi di cooperazione, come per il precedente turco. I leader in questione, infatti, non sono propriamente dei campioni di democrazia e potrebbero utilizzare i fondi ricevuti per obiettivi di politica interna. La stessa Merkel, durante la visita in Etiopia, non ha mancato di ricordare l’importanza delle opposizioni nella dialettica democratica – nel Parlamento etiope non ci sono deputati di opposizione – e ha ammonito i leader locali riguardo all’uso eccessivo della forza contro i manifestanti. In un anno di dimostrazioni contro il potere, secondo le organizzazioni per i diritti umani, sono morte circa 500 persone.