KASHMIR – Abbiamo già parlato di come gran parte della popolarità di Burhan Wani, il giovane comandante di Hizbul-Mujahideen ucciso dalle forze indiane l’8 luglio nel Kashmir indiano, derivasse dall’uso dei social network con i quali veicolava i suoi messaggi alla popolazione. Un ribelle 2.0: tastiera e kalashnikov alla mano.
La figura del ribelle armato nella valle tradizionalmente ha delle precise caratteristiche: si nasconde nei boschi, nelle zone isolate, si avvicina ai centri abitati solo di rado. Evita di farsi vedere in pubblico, pochi ne conoscono il vero nome, di certo non mette video su youtube con il volto scoperto o si fa registrare mentre gioca a cricket con i suoi commilitoni. Il ribelle armato kashmiri spara, non fa discorsi politici alla nazione.
Burhan non immaginava che sarebbe diventato uno delle colonne portanti della resistenza kashmiri, che le sue foto e i suoi video sarebbero stati conservati in ogni cellulare della valle e che la sua morte avrebbe scatenato mesi di smisurate proteste.
Ancora di più forse l’avrebbe sorpreso sapere che da qualche settimana circola un videogioco che lo vede protagonista. Qualcuno in Kashmir ha sviluppato un’applicazione per cellulare che è stata condivisa da migliaia di persone nella valle.
Il gioco a scorrimento si articola in diversi livelli, dove il giocatore veste i panni del celebre ribelle di Hizbul Mujahideen che indossa la bandana che in molti gli hanno visto durante i suoi video. Alcuni dei principali nemici hanno chiaramente le fattezze di noti politici locali e durante il gioco spesso si sentono slogan pro-indipendenza e canti di lode dei ribelli armati.
“Di solito le persone amano giocare ai videogame 3D in cui si spara. Dopo la morte di Burhan Wani, un gioco del genere poteva avere qualche attinenza col Kashmir. Le persone, specialmente i bambini, ameranno giocarci” ha detto uno sviluppatore locale di Android che ha preferito mantenere l’anonimato.
Intanto qualche giorno fa è stata diffusa la notizia che il Mirwaiz Omar Farooq è stato rilasciato dalla prigione dove era detenuto dal 26 agosto. Il capo spirituale della valle, e segretario della Hurryat Conference – la principale organizzazione separatista kashmiri -, si trova comunque agli arresti domiciliari al momento. Il leader, durante la sua prima conferenza stampa dopo il rilascio – in cui è apparso particolarmente aggressivo – , aveva dichiarato che lui, insieme a suoi sostenitori, avrebbe infranto il coprifuoco e le restrizioni di solite imposte durante il venerdì per raggiungere la Jamia Masjiid e guidare la preghiera come fa da anni. A partire dall’8 luglio la preghiera e l’accesso nella moschea principale del Kahsmir sono stati vietati.
Queste le parole del Mirwaiz: “Al momento, abbiamo davanti la quinta generazione di kashmiri che soffre a causa del conflitto. Ma la cosa incredibile è che il governo dell’India non è pronto ad accettarlo. L’india si ostina a definire la questione come un problema di ordine pubblico o di amministrazione. Ma la verità è che il Kashmir è una questione politica e un territorio conteso. Finché non si risponderà a questo tipo di problema, situazioni come quella di quest’estate si riproporranno. Ecco perché è accaduto nel 2008, 2010 e ora nel 2016”.
La fermezza delle forze dell’ordine, ancora una volta, si è dimostrata granitica: i tentativi del Mirwaiz di allontanarsi dalla sua abitazione sono stati scongiurati, le maglie del coprifuoco si sono strette nelle aree della città vecchia intorno alla Jamia Masjiid e un alto numero di paramilitari è stato dispiegato nelle strade. Vari cortei di protesta si sono mossi in diversi punti della città e la maggior parte di questi si sono poi trasformati in una sassaiola nel momento in cui le forze dell’ordine hanno cercato di disperdere la folla.