La notizia del rinvenimento dei corpi senza vita dei due esperti delle Nazioni Unite, l’americano Michael Sharp e la svedese Zaida Catalan, scomparsi lo scorso 12 marzo nella Repubblica democratica del Congo (RdC), dimostra la gravità della crisi che sta destabilizzando la zona centrale del Paese africano.
I resti dei due funzionari ONU sono stati rinvenuti dai peacekeeper della MONUSCO in una fossa poco profonda scavata sulla strada che porta da Bukonde a Tshimbulu nel Kasai occidentale.
Michael Sharp e Zaida Catalan stavano indagando su presunti abusi commessi dal gruppo armato Kamuina Nsapu, protagonista di una ribellione scoppiata nell’agosto 2016, che si è espansa in cinque province della RdC: Kasai, Kasai centrale, Kasai orientale, Kasai occidentale e Lomami.
Poco distante dal luogo del ritrovamento dei due corpi, è stato rinvenuto anche quello del loro interprete congolese Betu Tshintela, che insieme ad altri tre connazionali, anch’essi scomparsi, faceva parte dello staff che accompagnava i due esperti. Stando a quanto riferito dal ministro delle Comunicazioni dell’ex Zaire, Lambert Mende, che ha confermato la notizia del ritrovamento dei corpi, la donna è stata decapitata.
Un’esecuzione sommaria che conferma la ferocia del gruppo ribelle, che porta il nome di Kamuina Nsapu, un leader tradizionalista, ucciso lo scorso agosto dalle forze dell’ordine nella sua casa di Tshimbulu. Inoltre, lo scorso febbraio, il vescovo di Luiza, Félicien Mwanama Galumbulula, aveva denunciato “violenze eccezionali e atrocità inimmaginabili nei confronti della popolazione”, commesse dai miliziani di Kamuina Nsapu in diverse località del Kasai Centrale.
I membri del movimento sono armati principalmente con machete e lance, indossano fasce rosse e bracciali. Allo stesso modo dei gruppi Mai Mai, attivi nella RdC orientale, praticano rituali e portano amuleti, ai quali attribuiscono poteri di invulnerabilità.
L’azione più eclatante portata a termine dai ribelli risale allo scorso 24 marzo, quando nei pressi di Kamuesha hanno decapitato a colpi di machete 39 poliziotti, in un’imboscata a due convogli, che stavano percorrendo la strada che porta dalla città di Tshikapa a Kanaga, la capitale della provincia del Kasai centrale.
Sei poliziotti sono stati risparmiati dai miliziani di Kamuina Nsapu perché conoscevano la locale lingua tshiluba. Questo confermerebbe la matrice etnica di alcuni dei recenti attacchi sferrati dai ribelli, che stanno iniziando a operare in completa autonomia pur essendo privi di una struttura ben organizzata.
L’imboscata, che ha ricevuto l’unanime condanna della comunità internazionale, è avvenuta a seguito di una dichiarazione da parte del governo, che attestava la resa di 400 ribelli nei dintorni della provincia del Kasai. Dagli inizi dell’insurrezione, è stato l’attacco che ha provocato il maggior numero di vittime tra le forze di sicurezza governative, note come FARDC.
Nel tentativo di reprimere la ribellione, che si sta diffondendo in tutta la provincia del Kasai, le FARDC avrebbero commesso gravi violazioni dei diritti umani. Lo testimonia la recente decisone della ministra congolese per i diritti umani Marie-Ange Mushobek di aprire un’inchiesta su un video di sette minuti, che mostra dei militari con l’uniforme dell’esercito congolese sparare contro un gruppo di uomini armati di fionde e clave.
Lo scorso mese, inoltre, le FARDC hanno ucciso più di cento persone in una operazione militare, che ha ricevuto la ferma condanna dell’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR) di Ginevra.
Secondo le autorità di Kinshasa, dallo scoppio delle violenze 67 poliziotti e altri soldati hanno perso la vita negli attacchi, mentre le stime delle Nazioni Unite indicano che oltre 400 persone sono state uccise e più di 200mila sfollate dalle loro case e Human Rights Watch ha ricevuto segnalazioni di decine di persone uccise nelle ultime settimane.
Secondo gli analisti politici locali, l’attuale aumento delle violenze in Congo è comunque dovuto al posticipo delle elezioni da parte del presidente Joseph Kabila. Una decisione che ha innescato una serie di reazioni violente in tutta la nazione centroafricana, tra cui la ribellione di Kamuina Nsapu nella regione del Kasai, che per l’ostinato presidente rappresenta la minaccia più grave.
Joseph Kabila è rimasto al potere anche dopo la fine del mandato scaduto a dicembre e ha impedito lo svolgimento delle elezioni presidenziali, con la complicità della Commissione elettorale, secondo cui, un irrecuperabile ritardo nella compilazione del registro degli aventi diritto al voto e problemi di bilancio costringevano a rimandare le consultazioni al 2018.
Dopo giorni di proteste e di scontri tra opposizione e forze dell’ordine, con decine di morti tra i dimostranti, il governo e alcuni partiti di minoranza si sono poi accordati per andare alle urne entro il 2017. Tuttavia, il 45enne Kabila non ha alcuna intenzione di rinunciare al potere e prende tempo per trovare una soluzione, che gli consenta di rimanere alla guida del Paese.
La notizia del rinvenimento dei corpi senza vita dei due esperti delle Nazioni Unite, l’americano Michael Sharp e la svedese Zaida Catalan, scomparsi lo scorso 12 marzo nella Repubblica democratica del Congo (RdC), dimostra la gravità della crisi che sta destabilizzando la zona centrale del Paese africano.