La popolazione in Crimea oggi appare in maggioranza a favore della Russia e del suo Zar. Sembra difficile che torni indietro. Fanno eccezione i Tatari
Sono passati più di quattro anni da quando, il 18 marzo del 2014, con un colpo di mano e in violazione del diritto internazionale, la penisola di Crimea è stata sostanzialmente integrata nella Federazione Russa. La successiva esplosione della guerra nel Donbass e l’intervento russo nel conflitto siriano hanno di fatto spostato l’attenzione della diplomazia e dell’opinione pubblica internazionale. La Crimea, così, appare oggi come parte integrante della Russia e sembra difficile prevedere che il suo status possa essere in qualche modo ridiscusso nel prossimo futuro.
L’annessione della penisola ha provocato una dura reazione dell’Ucraina e della maggior parte della comunità internazionale che si sono rifiutate di riconoscere la legalità del referendum e la conseguente annessione alla Russia e hanno imposto un regime di sanzioni internazionali. Da allora la Crimea rimane nel limbo, de jure parte dell’Ucraina, de facto sempre più integrata nella Federazione Russa.
La penisola, infatti, è ormai pienamente sotto la giurisdizione russa. Il rublo è la moneta ufficiale e il sistema economico-fiscale è stato assimilato a quello vigente sul resto del territorio della Federazione. Le forze dell’ordine locali e tutte le strutture inerenti alla sicurezza, compresi i servizi segreti (FSB), sono state riformate o ricostruite. Ma non solo. Secondo la legislazione approvata dal Parlamento russo, infatti, tutti i cittadini residenti nella penisola il marzo del 2014 sono diventati cittadini russi. La concessione della cittadinanza è cominciata immediatamente dopo l’annessione e ha portato, secondo quanto sostiene il Ministero degli Interni, all’emissione di circa due milioni di passaporti.
La rapida russificazione politica, che si è sostanziata con la trasformazione del sistema elettorale e la creazione delle sezioni regionali dei partiti politici russi, è stata gestita e coordinata da un direttivo creato ad hoc tra le mura del Cremlino e presieduto da un collaboratore fidato di Vladimir Putin, Dmitrij Kozak. Se le personalità di alto rango che hanno ricoperto ruoli significativi nelle confuse fasi dell’annessione, come Sergej Aksёnov e Vladimir Konstantinov, hanno mantenuto le loro posizioni in cambio della fedeltà al Cremlino, ufficiali di medio livello hanno subito una massiccia riconfigurazione.
Mentre la formazione dei nuovi apparati politici e governativi è stata piuttosto rapida, la questione legata alla comunità tatara di Crimea rappresenta ancora un serio grattacapo per Mosca. Pur essendo una minoranza (circa il 12%), i tatari rimangono una comunità fortemente radicata, politicizzata e ben organizzata. Le complicate relazioni con Mosca hanno origini storiche che affondano le radici nella Russia zarista, nelle purghe degli anni ’30 e nella deportazione staliniana dopo la seconda guerra mondiale. Secondo numerosi storici, più di duecentotrenta mila persone sono state forzatamente deportate verso l’Asia Centrale. I tatari poterono far ritorno in Crimea (passata sotto l’amministrazione dell’Ucraina nel 1954) solo con l’avvio della perestrojka, divenendo cittadini dell’Ucraina indipendente nel 1991.
Nonostante l’iniziale tentativo di Mosca di cooptare il Mejlis (organo rappresentativo dei tatari), i tatari si sono opposti all’annessione illegale della Crimea. Il pugno duro non si è fatto attendere e restano numerosi i casi di violazione dei diritti umani nei confronti della popolazione tatara e non solo. A farne le spese non sono state solo le istituzioni e organizzazioni della comunità (il Mejlis e’ stato dichiarato organizzazione estremista e bandito nel 2016) o personalità di spicco come Refat Chubarov e Mustafa Cemilev, ma, come riportano i numerosi report di Amnesty International e altre organizzazioni, anche attivisti comuni la cui libertà di associazione è spesso violata. Lo stesso vale per molti mezzi d’informazione e giornalisti, tatari e non, che hanno subito pressioni, sono stati arrestati e messi a tacere durante i 4 anni di occupazione.
Dal punto di vista economico, la realtà oggi sembra in buona misura contraddire le speranze di chi vedeva nell’annessione russa un’opportunità. All’aumento dei salari e delle pensioni, che sono stati portati ai livelli del resto della Russia, fa da contraltare l’inflazione e l’aumento dei prezzi dei beni di consumo, e la rottura dei rapporti economici con l’Ucraina e le sanzioni internazionali (spesso aggirate come dimostra il caso delle turbine Siemens) hanno avuto un impatto negativo sulla situazione economica della penisola. Come riporta un recente studio di Institute of Contemporary Development (INSOR), nonostante gli oltre trecento miliardi di rubli (circa quattro miliardi di euro) investiti da Mosca per il suo sviluppo, ancora oggi oltre il 70% del budget della Crimea è coperto da sussidi del governo centrale. Un dato che, oltre a sottolineare la dipendenza della penisola da Mosca, rappresenta un intervento finanziario eccezionale se messo nel contesto di una riduzione dei sussidi per molte altre regioni a causa dei tagli dovuti alle sanzioni e al calo dei prezzi del greggio.
In prospettiva generale, la Crimea appare oggi più isolata, e orientata prevalentemente verso la Russia. La creazione di una frontiera artificiale con l’Ucraina e la politica di non riconoscimento da parte dell’Ue hanno di certo contribuito ad alienare la popolazione. Secondo un recente sondaggio (ZOiS Report) solo il 12% e il 3% dei rispondenti hanno avuto modo di viaggiare rispettivamente verso l’Ucraina o altri paesi (esclusa la Russia). Non sorprende il significativo flusso migratorio dalla penisola che si è verificato dopo l’occupazione, diretto prevalentemente verso altre regioni della Russia, con una parte marginale della popolazione che ha lasciato la Crimea per trasferirsi in Ucraina. Il quadro è rafforzato dalla diminuzione dei contatti con i familiari che vivono in Ucraina.
La popolazione della Crimea non appare però solo più isolata dall’Ucraina e dall’Europa, ma in linea generale anche indifferente o in certa misura in favore della recente annessione. Sempre secondo lo studio, la maggioranza sembra vedere nella politica di Kiev a partire dall’indipendenza la principale causa dell’annessione, rimarcando la negligenza e il malgoverno da parte dell’Ucraina. Se il referendum dovesse essere ripetuto oggi, circa l’80% dei rispondenti non cambierebbe la propria scelta.
Considerando la situazione politica della penisola e l’integrazione di quest’ultima nel panorama mediatico russo, i sondaggi andrebbero presi con cautela, ma appare evidente che l’opinione della maggioranza della popolazione riguardante l’annessione alla Russia è difficilmente destinata a cambiare.
La Crimea è diventata il simbolo del mutamento e della continuità. Simbolo del nuovo corso in politica internazionale e del rinato patriottismo russo. Del ritorno sulla scena internazionale come grande potenza e della breve luna di miele tra nazionalisti e imperialisti all’ombra del Cremlino. Della continuità simbolica con il passato imperiale. Quello che da molti sociologi e politologi è stato definito ‘effetto Crimea’ ha avuto un impatto significativo sull’immagine di Putin all’interno del paese. Non a caso le elezioni presidenziali sono andate in onda proprio il 18 marzo, giorno in cui, quattro anni fa, la Crimea diventava parte (non riconosciuta) della Russia. Se la recente inaugurazione del ponte sullo stretto di Kerč’ che connette la penisola al resto della Russia ha simbolicamente cementificato l’annessione, le elezioni hanno giocato il ruolo di un secondo referendum che l’ha resa di fatto irrevocabile. Secondo i dati ufficiali il 71,5% della popolazione della penisola si è recato alle urne con oltre il 91% di preferenze per Putin. Vero che i tatari hanno boicottato il voto, così come sono vere le numerose testimonianze di brogli, pressioni e intimidazioni nei confronti dei votanti. I numeri reali potrebbero essere ben più bassi ma il messaggio simbolico, oggi, vale più dei numeri.
Malgrado la palese violazione del diritto internazionale, le proteste di Kiev e delle potenze occidentali, de facto la Crimea appare indissolubilmente ancorata alla Russia.
Per abbonarti, visita la nostra pagina abbonamenti.
La popolazione in Crimea oggi appare in maggioranza a favore della Russia e del suo Zar. Sembra difficile che torni indietro. Fanno eccezione i Tatari
Sono passati più di quattro anni da quando, il 18 marzo del 2014, con un colpo di mano e in violazione del diritto internazionale, la penisola di Crimea è stata sostanzialmente integrata nella Federazione Russa. La successiva esplosione della guerra nel Donbass e l’intervento russo nel conflitto siriano hanno di fatto spostato l’attenzione della diplomazia e dell’opinione pubblica internazionale. La Crimea, così, appare oggi come parte integrante della Russia e sembra difficile prevedere che il suo status possa essere in qualche modo ridiscusso nel prossimo futuro.