La Corte dell’Aja ha deciso: il Cile non ha l’obbligo di negoziare con la Bolivia un accesso al mare. Si chiude così una controversia iniziata oltre un secolo fa. Ma La Paz non si arrende e punta sul treno bioceanico per potersi finalmente aprire al mondo senza passare dai porti cileni
Il lungo cammino della Bolivia per ritrovare il suo accesso al mare sembra non avere fine. Sono passati sette anni e mezzo da quel 23 marzo del 2011 quando il presidente Evo Morales annunciò una decisione storica: proprio durante l’anniversario della perdita dell’accesso al mare del suo Paese diede la notizia che avrebbe portato il Cile davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja stanco di aspettare una soluzione da parte del governo centrale di Santiago.
Lunedì scorso, con 12 voti favorevoli e 3 contrari, i giudici della Corte hanno respinto la richiesta boliviana di obbligare il Cile a sedersi a un tavolo e negoziare un accesso al mare.
Un brutto colpo per Morales, tutt’oggi alla guida del Paese sudamericano, che ha fatto del tema una questione politica e che nel 2019 affronterà le elezioni presidenziali cercando un quarto mandato: «Rispettiamo ma non condividiamo la decisione della Corte», ha dichiarato. Il suo neo-eletto collega cileno, Sebastián Piñera, è uscito invece a festeggiare la notizia ringraziando persino l’operato dell’ex presidente e storica avversaria politica Michelle Bachelet, attualmente Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. E sebbene il procedimento giudiziale all’Aja sia recente, la controversia Bolivia-Cile per il diritto all’accesso al mare va avanti da più di cento anni.
Dopo la Guerra del Pacifico – 1879-1884, conosciuta anche come guerra del salnitro/nitrato di potassio, molto utilizzato come fertilizzante e come propellente -, la Bolivia perse 120mila chilometri quadrati di territorio e circa 400 km di costa che diventarono suolo cileno. Gli attuali confini furono decisi con un trattato firmato nel 1904 in cui si affermava che la sovranità cilena si estendeva fino alla frontiera peruviana, togliendo quindi alla Bolivia l’accesso diretto al mare ma riconoscendole il libero diritto di transito commerciale sul territorio cileno e nei porti del Pacifico.
Per La Paz, però, il trattato del 1904 è sempre stato ingiusto e all’Aja ha sostenuto che dal linguaggio di alcuni documenti siglati dai due governi si poteva desumere l’obbligo legale del Cile di negoziare la sua uscita al mare. La Corte con la sua decisione ha statuito che non esiste alcun obbligo legale ma ha ugualmente invitato i due Paesi a non interpretare la sentenza come un “impedimento per il proseguimento del dialogo”.
Le reazioni interne alla Bolivia sono state molteplici, con l’opposizione che chiede un giudizio di responsabilità contro Evo Morales mentre il segretario generale del principale sindacato del paese (Cob, Central Obrera Boliviana), Juan Carlos Huarachi, ha annunciato ciò che il presidente avrebbe detto poche ore dopo il suo ritorno dall’Olanda: «Adesso dobbiamo accelerare, dopo questa brutta esperienza con la Corte, il treno bioceanico”. Ovvero il progetto, finanziato dalla Cina, di un treno che dal porto di Santos in Brasile arrivi a quello di Ilo, in Perù, e da lì permetta il trasporto delle merci direttamente in Asia.
Le opere dovrebbero cominciare a breve e, secondo le stime, saranno concluse nel 2023: il tutto per un costo stimato di dieci miliardi di dollari che porterà guadagni per, almeno, cinque volte tanto. Al momento, il 70% della merce boliviana – Paese ricco di gas, minerali e materie prime – passa dai porti cileni settentrionali di Antofagasta e Arica che assorbono quindi il flusso commerciale da più di 500milioni di dollari generato dal Paese andino. Se il Corredor Ferroviario Bioceanico dovesse vedere davvero la luce, diventerebbe un nuovo Canale di Panama che permetterebbe alle imbarcazioni asiatiche di risparmiare circa 30 giorni di navigazione.
Il presidente Evo Morales vorrebbe spostare i suoi carichi dal Cile al Perù tramite il protocollo di Ilo che concede alla Bolivia benefici fiscali, turistici, portuari e commerciali nel porto peruviano. Da parte sua, il Perù attrarrebbe i milioni di dollari derivanti dal transito commerciale boliviano. Il presidente Morales ha più volte sottolineato che la proposta boliviana è vantaggiosa non solo per Cina, Perù e Brasile ma anche per Paraguay, Uruguay e Argentina che potranno unirsi attraverso l’idrovia Paraguay-Paraná, una strategia di trasporto fluviale lungo l’omonimo sistema idrico.
Le materie prime latinoamericane sono un tassello fondamentale per la crescita del gigante asiatico, che importa soia dall’Argentina e dal Brasile, rame dal Cile e dal Perù, petrolio dal Venezuela e guarda con interesse al litio boliviano – insieme alla Germania, molto interessata allo sviluppo della Bolivia e che ha preso parte al progetto -.
L’idea del treno bioceanico inoltre è appoggiata anche dal settore dell’imprenditoria privata boliviana, normalmente in disaccordo con il governo, che vede nel Corredor l’unica possibilità per interrompere la dipendenza dai porti cileni. E sebbene vari esponenti del governo abbiano annunciato che dopo la sentenza negativa dell’Aja ricorreranno in altre sedi – come per esempio le Nazioni Unite -, con la realizzazione del Corredor Bioceanico la Bolivia potrebbe finalmente avere quell’accesso al mare tanto agognato, senza passare dal Cile.
La Corte dell’Aja ha deciso: il Cile non ha l’obbligo di negoziare con la Bolivia un accesso al mare. Si chiude così una controversia iniziata oltre un secolo fa. Ma La Paz non si arrende e punta sul treno bioceanico per potersi finalmente aprire al mondo senza passare dai porti cileni