I giganti della tecnologia crescono in valore e fatturati monopolizzando via via più settori: pubblicità, media, vendita… Ma qualche punto debole c’è
Mille miliardi di dollari. Una cifra che, riferita a un’unica azienda, sembra quasi irreale. Invece, molto concretamente, è il valore che a Wall Street ha raggiunto, e superato, Apple all’inizio dello scorso agosto. Un mese dopo anche Amazon, anche se solo per qualche giorno, è riuscita a toccare quella cifra. Una valutazione superiore a quella raggiunta da aziende come Exxon Mobil, AT&T e Procter & Gamble messe assieme. Eppure dieci anni fa − a differenza delle tre appena citate − sia Apple, che Amazon nemmeno comparivano nella lista delle prime dieci aziende americane per valore di capitalizzazione. Una performance che oltre ad essere una “pietra miliare” mai raggiunta prima, è la rappresentazione più evidente che qualcosa è cambiato radicalmente.
“La nuova valutazione a tredici cifre di Apple” − ha scritto il New York Times – “mette in evidenza come un gruppo di aziende dalle dimensioni enormi sia arrivato a dominare l’economia degli Stati Uniti, l’impatto di questo fenomeno è stato evidente nei mercati azionari, dove un gruppo di società guidato da Apple, Amazon, Facebook e Google, ha alimentato il secondo rally [un periodo di rialzo dei prezzi dei titoli finanziari ndr] più lungo della storia. Ma gli effetti del consolidamento degli utili aziendali si estendono ben oltre i mercati azionari e non sono del tutto benigni”.
Se infatti i nuovi giganti della tecnologia stanno dominando la scena finanziaria facendo la felicità degli investitori in Borsa, dall’altra sono i protagonisti di altre tendenze, affatto positive, che stanno cambiando radicalmente lo scenario economico.
La prima di queste è una corsa al “gigantismo” in proporzioni che lo scenario economico mondiale non aveva mai conosciuto. La cultura dominante della Silicon Valley è quella di promettere una crescita continua, sbaragliare la concorrenza per dominare sempre nuovi settori di mercato occupandone tutti gli spazi vitali. Solo per fare degli esempi: Facebook e Google dominano gli investimenti pubblicitari su digitale, con una quota del 57% negli Stati Uniti, gli iPhone hanno raggiunto nel terzo trimestre 2018 una quota di mercato negli Stati Uniti del 65% e Apple e Google forniscono oggi il software al 99% di tutti gli smartphone al mondo. Amazon domina incontrastata il mercato dell’e-commerce: secondo stime di eMarketer, il suo peso in questo settore è del 48% negli Stati Uniti, con un valore delle vendite generate per oltre 258 miliardi di dollari nel 2018 (+30% rispetto al 2017).
Così la spietata logistica combinata all’efficienza delle loro piattaforme provocano spesso dei terremoti nei singoli settori sui quali si concentrano. Quando, ad esempio, nel giugno scorso Amazon ha puntato il settore farmaceutico acquisendo una startup specializzata nella vendita di medicine online, le grandi catene di farmacie americane hanno subito ribassi in Borsa fino al 10% con una perdita complessiva di circa di 11 miliardi di dollari. “La concorrenza è per i perdenti” ha scritto nel suo libro “Zero to One”, Peter Thiel uno degli imprenditori più importanti della Valley (e membro del Cda di Facebook): l’obiettivo è il monopolio.
Ma la concentrazione non ha avuto effetti positivi sul mondo del lavoro. Come scriveva la scorsa primavera il New York Times, “Mentre questa concentrazione ha comportato profitti enormi per gli investitori e i proprietari di colossi come Facebook, Google e Amazon, la logica competitiva del «winner take most» potrebbe non essere così buona per i lavoratori nel loro complesso. Negli ultimi 30 anni, la loro quota di reddito del fondo comune si è erosa. Ed è proprio nei settori dove più grande è la concentrazione che la quota di lavoro è diminuita di più”.
I livelli occupazionali dei Gafa sono nettamente inferiori rispetto alle aziende che hanno dominato i mercati prima di loro. Già un paio di anni fa l’Economist in un suo articolo,“The rising of superstar”, ricordava che “Un quarto di secolo fa, le tre più grandi case automobilistiche di Detroit avevano registrato complessivamente ricavi nominali per 250 miliardi di dollari, una capitalizzazione di mercato di 36 miliardi di dollari e 1,2 milioni di dipendenti; nel 2014 i tre più grandi player nella Silicon Valley hanno avuto un fatturato di 247 miliardi di dollari, sono stati capitalizzati a più di mille miliardi di dollari ma avevano appena 137 mila persone sui loro libri paga”. Oggi a distanza di un paio di anni, la capitalizzazione complessiva dei tre giganti della Silicon Valley supera i 2mila miliardi e i dipendenti complessivi a fine settembre sfiorano soltanto le 260 mila persone. Amazon d’altronde impiega oltre 550 mila dipendenti, molti rispetto al resto dei Gafa, ma nettamente meno in confronto a Walmart, il suo più grande concorrente nel retail, che ne impiega 2,3 milioni.
C’è anche da dire che la sindacalizzazione dei dipendenti nella Silicon Valley è da sempre vista come una seccatura da evitare, tanto che nella lettera agli investitori di Apple veniva posta sempre questa frase: “Sebbene in alcuni Paesi abbiamo degli obblighi di legge di rappresentanza dei dipendenti, i nostri impiegati degli Stati Uniti non sono rappresentati da alcun sindacato”. Dalla primavera del 2018 però i dipendenti di molte grandi aziende tecnologiche hanno cominciato a organizzarsi per chiedere di avere voce in capitolo anche nelle decisioni strategiche, soprattutto per quanto riguarda le scelte etiche. Google ha rinunciato a un’importante commessa del Pentagono e ha pubblicato un documento firmato dal suo Ceo sui propri principi etici nel campo dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale dopo che oltre cinquemila dipendenti si erano mobilitati su questi argomenti. Per i dipendenti di queste aziende potrebbe aprirsi, finalmente, una nuova fase.
I fatturati dei quattro giganti della tecnologia continuano a crescere a ritmi sostenuti: Apple ha messo in bilancio nel 2018 vendite per 265 miliardi nei primi nove mesi del 2018, mentre Facebook ha dichiarato un fatturato di 38,9 miliardi di dollari (+40%), Alphabet Revenue per 97,5 miliardi (+24%) e Amazon vendite nette per 221 miliardi (+37%).
I giganti sono quindi destinati a diventare sempre più giganti? In realtà non mancano, per alcuni di loro, motivi di preoccupazione. Facebook sembra essere quella più in difficoltà. Le infinite polemiche scatenate dallo scandalo Cambridge Analytica e continuate con le inchieste del New York Times sulla sua spregiudicata attività di lobbying mettono in evidenza un management sempre più in difficoltà e maldestro nel gestire la crescente complessità dell’azienda. I suoi utenti attivi mensili a fine settembre erano ancora cresciuti raggiungendo quota 2,271 miliardi, ma negli Stati Uniti e in Europa il loro numero è fermo da diversi trimestri. La reazione degli investitori pubblicitari a questa situazione è tutta da valutare nel prossimo futuro. Non una cosa da poco per un’azienda nella quale l’advertising pesa il 98% sui fatturati.
Apple è per molti versi l’azienda perfetta con i suoi fatturati, utili di bilancio e valore in continua crescita, anche se le vendite degli iPhone (68% il loro peso sul fatturato) sono aumentate per valore complessivo ma non nei pezzi venduti, ma è soprattutto la Cina a rappresentare un’incognita per l’immediato futuro. Se la flessione delle vendite del 2017 in quel mercato (che rappresenta oltre il 20% per Apple) è stata recuperata nel 2018 a preoccupare oggi sono le politiche sui dazi di Trump che potrebbero penalizzare pesantemente l’azienda di Cupertino.
Ma la minaccia più grande per i Gafa oggi è diretta conseguenza del loro immenso successo: il loro dominio assoluto sulla concorrenza, il loro potere sull’industria dei dati, ha aperto il dibattito sulla necessità di regolamentare il loro potere, di controllare in qualche modo i loro algoritmi. Parlare di imporre loro una regolamentazione più rigida non è più un tabù. I giganti sono sempre più giganti, ma se solo poco tempo fa sembravano inattaccabili, oggi potrebbero cominciare ad esserlo un po’ meno.
@leliosimi
Trovate l’articolo nella rivista cartacea di eastwest in vendita in edicola.
I giganti della tecnologia crescono in valore e fatturati monopolizzando via via più settori: pubblicità, media, vendita… Ma qualche punto debole c’è
Mille miliardi di dollari. Una cifra che, riferita a un’unica azienda, sembra quasi irreale. Invece, molto concretamente, è il valore che a Wall Street ha raggiunto, e superato, Apple all’inizio dello scorso agosto. Un mese dopo anche Amazon, anche se solo per qualche giorno, è riuscita a toccare quella cifra. Una valutazione superiore a quella raggiunta da aziende come Exxon Mobil, AT&T e Procter & Gamble messe assieme. Eppure dieci anni fa − a differenza delle tre appena citate − sia Apple, che Amazon nemmeno comparivano nella lista delle prime dieci aziende americane per valore di capitalizzazione. Una performance che oltre ad essere una “pietra miliare” mai raggiunta prima, è la rappresentazione più evidente che qualcosa è cambiato radicalmente.