LE ONG – Soccorso: l’incredibile accusa [Parte 2]
Le Ong sono diventate un bersaglio politico. Si indeboliscono così organizzazioni della società civile multinazionale che fiancheggiano da anni le istituzioni
Le Ong sono diventate un bersaglio politico. Si indeboliscono così organizzazioni della società civile multinazionale che fiancheggiano da anni le istituzioni
Questa è la seconda parte dell’inchiesta sulle organizzazioni non governative. Trovi la prima parte qui.
Cedric Herrou in Francia è diventato un simbolo. 37 anni, originario della Valle del Roya, a febbraio 2017 è stato condannato a otto anni di carcere e a una multa di tremila euro per avere offerto aiuto a un gruppo di persone che aveva illegalmente varcato il confine italo-francese. Non si è arreso Herrou, e ha combattuto la sua battaglia giudiziaria finché l’ha vinta. L’estate scorsa la Corte Costituzionale francese ha stabilito che il sostegno disinteressato ai migranti irregolari non è giuridicamente sanzionabile, in nome del principio di fratellanza. L’esprit revolutionnaire ha trionfato, almeno sulla carta. Dai migranti all’ambiente, le minacce per chi si occupa di diritti umani non cambiano.
L’organizzazione britannica Global Witness ha denunciato che nel 2017 sono stati assassinati 197 attivisti ambientali, quattro a settimana, uccisi perché difendevano l’acqua, gli animali, la natura. In Italia, mentre il Governo sferra il pugno duro contro le organizzazioni non governative che fanno ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale e contestualmente sgombera i CARA in applicazione del decreto Salvini, i residenti di Castelnuovo di Porto hanno dato disponibilità ad accogliere le famiglie di rifugiati secondo un modello di accoglienza diffusa e da Catania a Roma la società civile è scesa in piazza al grido «Non siamo pesci». Chiedeva che i porti restassero aperti e che i richiedenti asilo, tenuti per giorni in balia delle onde, venissero fatti sbarcare. Da qualche anno gli attacchi alla solidarietà sono diventati ordinari. Chi salva vite in mare è complice dei trafficanti. Chi aiuta i senzatetto viola la legge. Chi butta le coperte di un povero che vive per strada è un paladino del pubblico decoro.
«Operiamo in più di cinquanta Paesi del mondo e stiamo constatando un po’ ovunque che c’è in atto una dinamica autoritaria, la ricerca di un capro espiatorio, di risposte semplici a problemi grandi, in particolare a quello che è il dilemma più spinoso del nostro tempo: come porre fine alle diseguaglianze», commenta Marco De Ponte, segretario generale di Action Aid Italia. Dall’inizio del 2018 a oggi i tentativi di incriminazione della solidarietà internazionale da parte dei Governi e da parte di media e opinione pubblica sono diventati la normalità in molte zone del mondo, come documenta un dossier dell’associazione europea Civicus: Democrazia per tutti. Oltre la crisi di immaginazione. «Stiamo assistendo alla messa in discussione di principi che un tempo erano considerati non negoziabili, come l’umanitarismo e l’aiuto a chi è in difficoltà. Sono i valori della Croce Rossa, nati nell’Ottocento. “Prima le vittime” era un imperativo morale e gli stessi Governi delegavano alle organizzazioni non governative l’intervento in zone dove non potevano arrivare. Penso ai percorsi di democratizzazione avviati nelle zone post conflitto, oppure agli interventi di pace nei territori in guerra» commenta Francesco Petrelli, portavoce di Concord Italia, che fa parte del network di organizzazioni non governative europee per lo sviluppo, la solidarietà e la cooperazione internazionale.
Ma democrazia e diritti umani camminano di pari passo, l’una non esiste senza gli altri, e il fatto che i difensori dei diritti umani oggi subiscano attacchi e pressioni da parte dei Governi, anche negli Stati con una cultura giuridica più evoluta, è un campanello d’allarme. «L’inasprimento dei rapporti tra i Governi e le organizzazioni non governative è proprio il primo segnale della crisi dello stato di diritto e della difficoltà che hanno i Governi nel rispettare i diritti umani. È in gioco l’essenza stessa della nostra democrazia. Si punta il dito contro le Ong facendo passare l’idea che le loro attività siano illecite − anche se tutti i tentativi giudiziari fino a oggi si sono risolti in un nulla di fatto − mentre invece operano nel rispetto delle convenzioni internazionali e dei principi costituzionali» chiarisce Riccardo Magi, deputato di +Europa. Il quadro politico entro cui si sta consumando la progressiva erosione degli spazi per l’attivismo civico e una compressione del lavoro dei corpi intermedi come le Ong è quello di un’Europa che dodici anni fa si è trovata ad affrontare la crisi economica più grave dal 1929 a oggi e dinanzi a questa sfida non è riuscita a rafforzarsi nella sua dimensione politica comunitaria, lasciando ai sovranismi il tempo e lo spazio per nutrirsi e crescere.
«Bisogna mettersi nei panni delle persone e capire perché dinanzi a grandi problemi scelgono determinate strade invece che altre. La costruzione europea ci ha garantito sessant’anni di pace e di benessere» – commenta Petrelli − «ma la crisi ha distrutto molte di quelle certezze. I trentenni di oggi sanno che vivranno peggio dei genitori, i quali a loro volta soffrono per i disagi del precariato e dell’insicurezza dei figli. In questi casi la risposta più ovvia, anche se è la più becera, è quella di rinserrarsi nelle proprie piccole patrie, nei propri confini, cercando la soluzione ai problemi del quotidiano». Ma il nazionalismo è guerra – per citare lo storico discorso che Francois Mitterrand fece al Parlamento Europeo il 17 gennaio 1995 mentre infuriava la guerra xenofoba nei Balcani – e di conseguenza anche pace e libertà non possono essere mai date per scontate, conclude Petrelli. Il rapporto di Civicus lo scrive chiaramente: la contrazione dello spazio civico si sta verificando anche nelle democrazie di lungo corso, ovvero in quei Paesi dove le questioni legate ai diritti e alle libertà fondamentali sembravano risolte già da tempo. «Oggi la crisi investe il nostro modello di sviluppo e la democrazia rappresentativa» spiega Francesco Martone, portavoce della rete In Difesa Di, un network che si occupa della tutela dei difensori dei diritti umani. «Se analizziamo i dati, ci accorgiamo che in tutto il mondo gli spazi di agibilità politica si stanno contraendo per l’avanzata di forze reazionarie e di estrema destra che sfidano frontalmente chi si occupa di diritti, in qualsiasi campo: nelle migrazioni, nelle minoranze, nelle battaglie economiche e sociali, nell’attivismo ambientale».
In passato processi di criminalizzazione e di messa al bando delle organizzazioni non governative si sono visti in Paesi come la Russia, dove una legge ha messo fuori gioco alcune Ong straniere che si occupano di diritti umani, accusandole di ingerenze negli affari interni del Paese. Una stretta sulle organizzazioni è stata fatta in Africa, furono bandite per esempio nello Zimbabwe di Mugabe, e oggi è arrivata in Europa, prima nella zona centro-orientale, in Ungheria e in Polonia, e adesso anche nelle democrazie più solide. Il tentativo degli Stati di controllare e di incanalare il lavoro delle Ong è una prassi consolidata, spiega De Ponte: «Alcuni Governi ci considerano come i sostituti a basso costo di un welfare che ormai non riescono più a garantire. Per altri siamo semplicemente un intralcio». Tra questi tentativi, va sicuramente annoverato anche quello recente del Governo italiano, poi naufragato, di alzare le tasse alle organizzazioni di solidarietà. In Italia più che altrove la crisi dei rapporti tra Governo e Ong è strettamente connessa alla crisi dei migranti. “Chi paga questi taxi del mare?” scriveva il Vicepremier Luigi Di Maio, del Movimento 5 Stelle, in un post su Facebook il 21 aprile 2017, riferendosi al lavoro delle organizzazioni non governative che facevano operazioni di ricerca e soccorso nel Mediterraneo centrale. Anche Frontex definì le operazioni SAR (Search And Rescue) operate dalle Ong un pull factor, ovvero un fattore di attrazione che spingeva i migranti a partire perché consapevoli che ci sarebbe stato sempre qualcuno a soccorrerli. «Questa accusa viene ripetuta in continuazione ancora oggi, ma nessuno è mai stato in grado di dimostrarla» precisa Petrelli. «Noi invece abbiamo sempre preferito parlare di push factor, perché le migrazioni, anche quella economica, hanno cause talmente profonde che non possono essere affrontate con argomentazioni banali e volgari come quelle che caratterizzano il dibattito pubblico in Italia».
Le organizzazioni non governative esprimono l’autonomia della società civile internazionale sin dalla Prima Guerra Mondiale, cioè da quando furono create le prime associazioni con lo scopo di aiutare i prigionieri di guerra, qualsiasi essi fossero. Oppure, risalendo un po’ più indietro nel tempo, fu sui campi di battaglia di Solferino e San Martino durante le guerre d’indipendenza italiane, quando le donne lombarde si diedero da fare per aiutare i feriti in guerra, che nacque il primo nucleo di quella che sarebbe diventata la Croce Rossa Internazionale, un movimento di grande autonomia della società civile, dedito all’aiuto e all’umanitarismo in generale. Oggi le Ong, da sempre invise ai regimi comunisti, animati da un certo statalismo, e benvolute dai liberisti perché espressione di una società civile autonoma e organizzata, infastidiscono i Governi perché la loro azione ha assunto una valenza politica, spesso anche in contrasto con le direttive dei Governi. «La Lega di Matteo Salvini non vuole le organizzazioni perché rifiuta la solidarietà, quindi ne fa una questione ideologica. Il Movimento 5 Stelle le contrasta perché non vuole i corpi intermedi e in questo senso ha un atteggiamento più statalista. Ma prima di Salvini e di Di Maio è stato Marco Minniti ad avviare il processo di criminalizzazione delle Ong che facevano ricerca e soccorso nel Mediterraneo. «Io c’ero e l’ho sempre detto pubblicamente» commenta Mario Giro, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale durante il Governo Gentiloni. Ma che le Ong facciano pressioni politiche è una dimensione da cui non si torna indietro. «Fare advocacy sui Governi è il loro compito più importante», spiega Marta Bordignon, docente di diritto internazionale presso la Temple University Rome e Presidente dell’associazione Human Rights International Corner. E aggiunge: «Le Ong sono fondamentali per il monitoraggio dei diritti umani in qualsiasi contesto, perché sono uno strumento di pressione e riescono a garantire che le vittime di abusi abbiano accesso alla giustizia. In questo senso svolgono una funzione sociale importantissima: si fanno portavoce dei cittadini, le cui istanze nel diritto internazionale non potrebbero essere ascoltate direttamente».
Quando Amnesty International accusa un Governo di violare i diritti umani, quel Governo può anche arrabbiarsi, ma Amnesty continuerà a indagare e a denunciare. Quando Greenpeace porta avanti una campagna contro la caccia alle balene in Giappone sollevando un caso mondiale, i giapponesi reagiscono, ma Greenpeace non si ferma. Anche la Francia, culla di democrazia e diritti, reagì in maniera forte quando Greenpeace condusse una battaglia contro gli esperimenti nucleari. Oggi la nuova frontiera dei controlli e delle restrizioni si gioca sul campo della lotta al terrorismo internazionale. «I dibattiti politici hanno esasperato così tanto l’idea della sicurezza, che in alcuni Paesi il diritto penale viene utilizzato per perseguire soggetti che non hanno nulla a che fare con comportamenti di matrice terroristica», spiega ancora Martone. «Il caso più emblematico è quello francese, dove, in seguito agli attentati del Bataclan del novembre 2015, si è aperto un grande stato di eccezione in cui la sicurezza ha preso il sopravvento. E la stessa cosa sta accadendo in Inghilterra, dove alcuni attivisti sono sotto processo per avere tentato di ostacolare le attività di fracking». Si restringono gli spazi di attivismo civico e si rafforzano gli strumenti con cui gli Stati esercitano l’azione repressiva. Il rapporto di Civicus evidenzia come la retorica sulla sicurezza abbia diffuso un sentire comune secondo cui è preferibile rinunciare a una parte dei propri diritti per vivere in sicurezza. Eppure i fatti raccontano una realtà del tutto diversa. In Gran Bretagna negli ultimi anni sono morte più persone per lo shock anafilattico da puntura di api che per un attentato. Negli Stati Uniti mietono più vittime i rami degli alberi spezzati dal vento che i terroristi. Tutto ruota intorno alla retorica e a una comunicazione fatta di slogan. «Non vale neanche la pena mettersi a smontare questa narrativa, che sul piano della comunicazione vince sempre. Per fortuna molte organizzazioni si fanno conoscere per il lavoro che fanno, sia sui territori che all’estero», spiega De Ponte.
In Europa le Ong sono diventate bersaglio costante di campagne di delegittimazione, il cui unico scopo è insinuare dubbi sulla trasparenza delle attività e minare la fiducia dei sostenitori. Il caso Italia ancora una volta è paradigmatico. I procedimenti avviati dal procuratore di Catania Carmelo Zuccaro contro le navi delle Ong nel Mediterraneo si sono risolti in un nulla di fatto, ma ormai il danno d’immagine è fatto. «Non siamo neanche più nell’ambito della presunzione di innocenza, siamo proprio nel non luogo a procedere» enfatizza Martone. Ma ormai parte dell’opinione pubblica parla di scafisti e Ong come se fossero la stessa cosa. Per molti le Ong rubano, per altri percepiscono fondi occulti da magnati della finanza globale che vorrebbero portare la sostituzione etnica in Europa, con la conseguenza che le organizzazioni così perdono finanziatori e devono ridimensionare le attività. Senza considerare le spese legali che molte di loro sostengono per difendersi dalle accuse di turno. Di fatto però – aggiunge Magi – il loro lavoro è già stato azzerato. «Pensiamo al Mediterraneo, per esempio: ormai non c’è più nessuno che faccia ricerca e soccorso. Il paradosso è che le Ong oggi sono messe sul banco degli imputati, mentre fino a ieri collaboravano con le istituzioni italiane, con la Guardia Costiera nell’operazione Mare Nostrum, per esempio».
«Tutte le critiche rivolte alle organizzazioni hanno già prodotto un danno enorme nel mondo dell’associazionismo, di cui però lo Stato ha estremo bisogno per portare avanti il suo scadente sistema di welfare. Ne stanno subendo gli effetti negativi la Caritas, le Misericordie, persino le associazioni per la ricerca sul cancro. Ma l’effetto più grave è che se si continua a polarizzare il dibattito in questo modo, si annienta lo spazio intermedio tra le istituzioni e la cittadinanza, quella zona grigia che fino a oggi ha garantito un sistema di protezione sociale», spiega De Ponte. «Il nostro errore è stato il non aver fatto comprendere sin da subito che le Ong sono prima di tutto organizzazioni della società civile e come tali siamo presenti all’estero, ma anche in Italia con progetti di accoglienza diffusa o di esclusione sociale. Il cittadino italiano ha sempre beneficiato del lavoro delle organizzazioni, ma lo ha fatto in modo passivo, ovvero dando per scontato che ci fossero una serie di aiuti e che ci sarebbero sempre stati. La cosa più grave è che oggi in Italia l’Ong viene identificata solo con le migrazioni e l’opinione pubblica è drogata da un’immagine sbagliata dei migranti: rubano il lavoro, portano malattie, organizzano attentati. Questo odio è stato cavalcato dalle attuali classi dirigenti e così si è creata una frattura tra le organizzazioni e l’opinione pubblica» commenta Silvia Stilli, portavoce dell’Associazione Organizzazioni non governative Italiane (AOI). Bisognerebbe raccontare quello che realmente fanno le organizzazioni, dalla piccola parrocchia che opera sui territori e ascolta le esigenze dei locali, alle grandi Ong che lavorano disseminate nel mondo, conclude Mario Giro. E poi bisognerebbe mostrare alle persone quello che realmente avviene in mezzo al mare. Non è un caso – conclude Magi – se proprio le città di mare come Catania o Siracusa siano non solo quelle che esprimono più solidarietà, ma più delle altre si indignino per la mancanza di umanità di un Ministro che tiene le persone in mezzo al mare per giorni e giorni. «Chi vive nelle città di mare, sa bene quanti rischi si possono correre a mare».
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di marzo/aprile di eastwest.
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