Il Green New Deal proposto dai Democratici è una dichiarazione politica ancor più che un sistema a energie pulite.
Nell’estate del 2016 il presidente Obama si recò nel parco nazionale di Yosemite in California, sito UNESCO e patrimonio naturalistico americano, per fare un discorso che apparve come il suo lascito politico sui temi dell’ecologia, la difesa dell’ambiente e la transizione energetica. Obama rivendicava l’importanza delle politiche ambientali e affermava che gli Usa avrebbero fatto la loro parte in quello che chiamò un “impegno storico dell’umanità” per salvare il pianeta. Vale la pena di menzionare due aspetti di quel discorso, il primo legato ai valori della tradizione politica americana ed il secondo all’economia e le politiche energetiche. Obama volle ricordare che la tutela del patrimonio naturale era uno degli obiettivi comuni dei presidenti americani, almeno da quando Lincoln istituì il parco nazionale di Yosemite. Il secondo aspetto, ben più pragmatico, era dimostrare che le politiche per l’ambiente potessero essere anche politiche di rilancio dell’economia e viceversa. I dati diffusi dalla Casa Bianca e dal Bureau of economic analysis mostravano due trend inequivocabili: da quando Obama si era insediato nello studio ovale, le emissioni di CO2 erano diminuite del 9% mentre l’economia era cresciuta di più del 10 %. In altre parole, non vi è un trade-off fra sostenibilità ambientale e crescita economica, come invece sostenuto dall’allora candidato repubblicano Trump.
Dalle elezioni del 2016, la visione politica dalla Casa Bianca su sostenibilità e economia è drasticamente cambiata. Infatti, esattamente un anno dopo il discorso di Obama al parco di Yosemite, Trump dichiarò l’uscita degli Usa dall’Accordo siglato durante la conferenza sul clima di Parigi (COP21), ribadendo che avrebbe imposto solo enormi costi con ricadute insostenibili per l’economia. Dopo il dietro front sull’Accordo di Parigi, gli attacchi di Trump alle politiche ecologiche e la svolta sui temi del climate change, cosa resta del dibattito ambientalista in America? Sembrerebbe che l’appello di Obama per continuare ad investire in politiche che conciliano il benessere in termini di sostenibilità ambientale e sviluppo economico non sia rimasto completamente inascoltato. Nonostante il pessimismo degli esperti, le proposte sulle future politiche energetiche sono tornate alla ribalta da quando è stato presentato il cosiddetto Green New Deal.
Un’idea politica che rievoca l’ambizioso New Deal voluto dal presidente Franklin D. Roosevelt, affrontando i temi chiave della rivoluzione energetica. A portare alla luce la proposta del Green New Deal è stata una delle nuove voci dei democratici: Alexandria Ocasio-Cortez. Ocasio-Cortez è un fenomeno mediatico da record perché outsider, la più giovane donna mai eletta nel Congresso, nata nel Bronx, figlia di madre di origini portoricane, schierata con Bernie Sanders. Sebbene la risoluzione che Ocasio-Cortez ha presentato al Congresso insieme al senatore democratico Ed Markey non sia stata approvata lo scorso 29 marzo, l’idea è diventata in breve tempo popolare fra i democrats e soprattutto nelle file progressiste che provano a monopolizzare il tema delle politiche ambientali.
Nello specifico, il Green New Deal è una strategia che mira ad affrontare il cambiamento climatico nei prossimi dieci anni, riducendo le emissioni di CO2 (la produzione Usa è pari a circa il 14 % di quella globale) e lottando contro le diseguaglianze. La strategia si articola in cinque obiettivi chiave tra i quali azzerare i gas serra, creare milioni di posti di lavoro con alti salari, puntare sulla sicurezza economica ed il benessere degli americani, investire in infrastrutture e industrie per un futuro sostenibile, assicurare aria e acqua pulite, accesso alla natura ed a un ambiente sostenibile, contrastare le diseguaglianze fermando le varie forme di discriminazione contro popolazioni indigene, comunità di colore, migranti, aree rurali, gruppi sociali poveri, donne, senzatetto, persone disabili e giovani. Il Green New Deal ha avuto l’endorsement di noti politici, come la Speaker della Camera dei Rappresentanti, Nancy Pelosi, e di intellettuali come Noam Chomsky. Tuttavia, molti si chiedono con scetticismo se è possibile convertire l’economia e l’industria degli Stati Uniti d’America in un sistema fondato su energie pulite ad emissioni zero entro il 2030.
Non mancano le critiche, non solo da parte dei repubblicani e del presidente Trump, che ha semplicemente etichettato il Green New Deal come una “assurda roadmap” dei democratici per distruggere l’economia americana. Difatti, anche i democratici più moderati chiedono maggiore gradualità e tempi più realistici nell’affrontare la sfida ambientale. Da più parti si critica il Green New Deal come utopico dato che non si spiega con quali risorse potranno essere finanziate le nuove politiche. Secondo molti economisti, finanziare il piano con maggiore indebitamento non è una soluzione sostenibile, e d’altronde non sarebbe neanche un’idea politicamente spendibile perché presta il fianco a uno degli slogan più cari a repubblicani e conservatori: più indebitamento uguale più tasse. Il problema dei costi del Green New Deal è tuttora irrisolto. Basti pensare che non ci sono delle stime accurate o dati certi. Ad esempio, nel solo settore degli Smart grid investments per la realizzazione di reti elettriche intelligenti, i costi potrebbero raggiungere i 46 miliardi di dollari fino al 2030.
Sul fronte della lotta alle diseguaglianze, si critica la poca originalità. Per affrontare la retorica trumpiana non bastano obiettivi come rilanciare l’assicurazione sanitaria universale o estendere l’accesso al sistema universitario rimuovendo le barriere imposte dai costi delle rette dei college.
Il Green New Deal ignora anche il problema della governance sostenibile delle megalopoli e delle aree urbane a più alta densità abitativa. Le città come New York hanno un ruolo fondamentale per affrontare sia i problemi dell’inquinamento sia quelli delle diseguaglianze. Ad esempio, ventiquattro ore dopo l’uscita dall’Accordo di Parigi, il sindaco di New York Bill de Blasio ha firmato un ordine esecutivo per ribadire che la città di New York continuerà ad adottare politiche che rispettano gli impegni sul clima. Non si può ignorare anche il contributo di alcuni stati, come la California che ha approvato incentivi per ridurre del 40% entro il 2030 l’uso dei gas refrigeranti dannosi per l’ambiente. L’ultima critica è rivolta al fatto che il Green New Deal non dice nulla sull’azione internazionale degli Usa, come se l’isolazionismo che si osserva nell’ambito delle politiche ambientali sia una prerogativa che segnerà la politica americana anche dopo Trump.
Dentro e fuori il Partito Democratico iniziano a circolare le prime alternative al Green New Deal, che riguardano investimenti in ricerca e sviluppo per sperimentare nuove tecnologie verdi, un fattore assente nella proposta iniziale. L’obiettivo è finanziare alcuni progetti pilota, aumentando il budget dell’agenzia federale ARPA-E che si occupa della ricerca di base nell’ambito delle energie pulite, per rivoluzionare i settori delle costruzioni, della produzione di elettricità e dell’agricoltura che sono tra i più inquinanti in termini di emissioni nell’atmosfera. Infine, il Green New Deal ha mobilitato anche parte del network delle realtà associative e altre organizzazioni che si occupano di protezione dell’ambiente. Molti gruppi ambientalisti (350.org, il Centro per la diversità biologica, Friends of the Earth e Greenpeace America) si sono dichiarati contrari a ogni misura legislativa come la carbon tax rifiutando qualsiasi politica ambientale basata sui meccanismi di mercato.
Secondo Philip Wallach, uno degli esperti della Brookings Institution, le prossime elezioni potrebbero aprire due scenari possibili nel caso in cui Trump non dovesse esser rieletto. La nuova presidenza potrebbe continuare le politiche di Obama e dare seguito agli spunti del Green New Deal, destinando maggiore fondi ad agenzie federali come l’Environmental Protection Agency, o ad altri enti come il Dipartimento dei Trasporti, che si occupa del settore più inquinante, cioè lo spostamento di persone e merci. Sebbene questa potrebbe esser vista come la via più breve e facile, in realtà sono moltissimi i possibili ostacoli legali, come l’opposizione di alcuni governatori, che potrebbero rallentare l’amministrazione federale. Se non dovessero cambiare nuovamente le maggioranze nel Congresso, e quindi nell’ipotesi di una maggioranza democratica, si potrebbe procedere con misure puramente legislative. Una strategia sicuramente più lenta, ma anche più incisiva.
È presto per dire se avverrà la rivoluzione energetica in America, dove porterà il dibattito sulla politica per l’ambiente, se gli americani crederanno a chi parla del global warming come di una fake news o meno. Intanto, ci sono almeno due fatti da considerare: 1) Nonostante l’amministrazione Trump abbia provato a cancellare le politiche federali per l’ambiente, come ad esempio il Clean Power Plan del 2015, un dato sorprende l’America: lo scorso aprile gli Usa hanno raggiunto un primato storico riguardo l’economia verde. Per la prima volta la produzione di energia da fonti rinnovabili ha superato quella degli impianti a carbone, e secondo la Energy Information Administration, si tratta di un trend destinato a continuare nel tempo considerando che la quota di energia elettrica prodotta dal carbone è scesa dal 45% nel 2010 al 28% nel 2018. 2) la campagna elettorale è iniziata e i democratici vogliono portare avanti gli auspici di Obama, vale a dire delle soluzioni win-win per l’ecologia e l’economia. In quest’ottica, il Green New Deal ha già prodotto un effetto importante, cioè ha riproposto il problema ambientale mobilitando la società. Ci sarà una crescente pressione mediatica, e chiunque vincerà le elezioni del prossimo anno, dovrà portare avanti un’agenda politica più verde ed attenta al pianeta.
Il Green New Deal proposto dai Democratici è una dichiarazione politica ancor più che un sistema a energie pulite.
Nell’estate del 2016 il presidente Obama si recò nel parco nazionale di Yosemite in California, sito UNESCO e patrimonio naturalistico americano, per fare un discorso che apparve come il suo lascito politico sui temi dell’ecologia, la difesa dell’ambiente e la transizione energetica. Obama rivendicava l’importanza delle politiche ambientali e affermava che gli Usa avrebbero fatto la loro parte in quello che chiamò un “impegno storico dell’umanità” per salvare il pianeta. Vale la pena di menzionare due aspetti di quel discorso, il primo legato ai valori della tradizione politica americana ed il secondo all’economia e le politiche energetiche. Obama volle ricordare che la tutela del patrimonio naturale era uno degli obiettivi comuni dei presidenti americani, almeno da quando Lincoln istituì il parco nazionale di Yosemite. Il secondo aspetto, ben più pragmatico, era dimostrare che le politiche per l’ambiente potessero essere anche politiche di rilancio dell’economia e viceversa. I dati diffusi dalla Casa Bianca e dal Bureau of economic analysis mostravano due trend inequivocabili: da quando Obama si era insediato nello studio ovale, le emissioni di CO2 erano diminuite del 9% mentre l’economia era cresciuta di più del 10 %. In altre parole, non vi è un trade-off fra sostenibilità ambientale e crescita economica, come invece sostenuto dall’allora candidato repubblicano Trump.