El Salvador: il giovane Presidente
Il 37enne Nayib Bukele esprime la generazione millenial: pragmatico, post-ideologico e abile nel marketing. I giovani salvadoregni riscoprono il futuro e lo sostengono in massa.
Il 37enne Nayib Bukele esprime la generazione millenial: pragmatico, post-ideologico e abile nel marketing. I giovani salvadoregni riscoprono il futuro e lo sostengono in massa.
“Sarò il primo presidente dell’epoca post-bellica”. Così si è autodefinito Nayib Bukele, dal 1 giugno nuovo capo di stato in El Salvador; il più giovane, con i suoi 37 anni, nella storia del minuscolo e densamente popolato paese dell’istmo centroamericano. Nonché primo presidente millennial dell’America Latina.
Spazzando via trent’anni di bipartitismo, Bukele, di lontane origini palestinesi, si era imposto nettamente al primo turno il 3 febbraio scorso (col 53% dei voti) sulle due formazioni protagoniste che si affrontarono nella passata sanguinosa guerra civile (1980 e il 1992) che costò 75mila vittime: la destra oligarchica di Arena, al potere per vent’anni fino al 2009; e l’ex guerriglia del Fronte Farabundo Martì, che ha governato in quest’ultima decade.
Con un’affluenza del 50% degli elettori, Nayib aveva infatti sconfitto Carlo Calleja (32%) figlio di un arenero che controlla una grossa rete di supermercati; e l’ex Ministro degli Esteri del governo uscente del Fmln, Hugo Martinez, ridimensionato a un misero 14%.
Smilzo, con i suoi giacchetti in pelle, abile impresario di marketing, Nayib viene proprio dalle file del Fmln, per il quale era stato primo cittadino di Nueva Cuscatlan, e successivamente (fra il 2015 e il 2018) un buon sindaco di San Salvador (a lui se ne deve per esempio il riordino del fatiscente centro storico).
Ma il suo fare eccessivamente indipendente e alcuni dissidi con un partito assai anchilosato, avevano portato sconsideratamente il Fronte (poco più di un anno orsono) ad espellerlo dalle sue fila. E ora Bukele ne ha prosciugato da solo la gran parte del bacino elettorale; grazie all’appoggio massiccio dei giovani, con i quali si relaziona certo più in rete che con comizi di piazza.
Dopo l’epurazione Bukele, che si dichiara oggi “né di destra e né di sinistra” e che mostra tratti di certo populismo, aveva fondato un nuovo partito, Nuevas Ideas. Che però per i tempi stretti e il boicottaggio dell’organismo elettorale, non era riuscito a iscrivere legalmente per le elezioni presidenziali. Per questo era stato costretto, diciamo così, ad affittarne uno esistente. La scelta è caduta sul Gana (Grande Alleanza di Unità Nazionale) una formazione conservatrice frutto di una precedente scissione dalla destra di Arena. E qui nasce un primo interrogativo: cosa avrà promesso in cambio Bukele al Gana perché lo candidasse? Tanto più che trattasi di un partito che ha espresso un precedente capo di stato oggi in carcere per corruzione?
Non solo: come potrà governare il neo-presidente senza neanche un proprio deputato nel Parlamento (salvo forse i 10 che sono del Gana) che è stato rinnovato appena un anno fa? E dove la draconiana Arena ha la maggioranza assoluta, nonché più del doppio dei seggi dello stesso Fmln? Non avrebbe fatto meglio Bukele, alla sua giovane età, a ricandidarsi lo scorso anno per un altro triennio a sindaco della capitale (passata invece così ad Arena); consolidare i risultati della sua amministrazione della capitale; fondare il suo nuovo partito in vista delle elezioni legislative del 2021; e postularsi infine alle successive presidenziali (tanto più che la costituzione gli vieta di riproporsi per un secondo mandato)?
Peraltro una delle cause della bruciante sconfitta del governante Farabundo Martì, è stata proprio non aver avuto mai la maggioranza in Parlamento. Con Arena a boicottare sistematicamente ogni riforma economica e sociale avanzata dal Fronte. Cui si sono aggiunte una obsoleta e inefficace strategia di comunicazione del Fmln che gli ha impedito di capitalizzare il dimezzamento (pur frutto di pura repressione di polizia ed esercito) del tasso di assassinii (da 17 a 9 di media giornaliera) durante la sua gestione; nonché una certa riduzione degli indici di povertà.
Problemi strutturali che Bukele eredita pari pari: a cominciare proprio dalla violenza delle bande giovanili (maras) che controllano e condizionano la vita di ampie aree del territorio nazionale (tanto da farne uno dei paesi più violenti al mondo); una disoccupazione e una precarietà croniche; che a loro volta alimentano una persistente emigrazione verso gli Stati Uniti, da cui dipenderà di fatto il suo rapporto con Washington.
In effetti se è vero che sette sono i milioni di salvadoregni che vivono in patria e altri tre milioni all’estero, di cui l’80% negli States; e che le loro rimesse ammontano a una volta e mezzo il bilancio dell’intero stato salvadoregno, si capisce quanto sia decisivo persuadere Donald Trump a non eccedere nel voler rimpatriare perlomeno coloro che già da tempo vivono e lavorano negli Usa pur da indocumentados.
Non è un caso che Nayib abbia stretto da subito un buon rapporto con l’ambasciatrice nordamericana; e si sia recato negli Usa (oltre che in Messico) prima di assumere la presidenza. “Non siamo qui per chiedere aiuti ma per proporvi degli affari”, ha dichiarato in un suo intervento alla conservatrice Heritage Foundation.
Analogamente in politica estera ha confermato la sterzata rispetto al precedente governo del Fmln, che, in quanto membro dell’Alleanza Bolivariana, ha pagato anche l’impopolare quanto obbligato schierarsi col Venezuela del presidente Maduro; ma soprattutto l’improvvido sostegno al dispotico e sanguinario ex comandante guerrigliero Daniel Ortega, del vicino Nicaragua. Ebbene i presidenti del Nicaragua e del Venezuela (oltre al dittatore di destra Juan Orlando Hernandez del confinante Honduras) Bukele non li ha neppure invitati alla sua cerimonia di insediamento.
Nel suo primo discorso, pronunciato nella piazza pubblica nel centro di San Salvador (invece che al chiuso per soli invitati speciali come nel passato) si è riferito a un paese che come un bambino “quando è malato ha bisogno di mandar giù una medicina amara”. Ma quale e per chi soprattutto sarà questo doloroso rimedio?
Sul tema delle bande giovanili, per le quali paradossalmente si muore quotidianamente di morte violenta più oggi in El Salvador che durante il passato conflitto interno, Nayib ha assicurato che agirà per tre quarti sul piano della prevenzione (opportunità di lavoro e studio per i giovani, oltre a piani di reinserimento sociale). E solo per un quarto sul piano repressivo. Ma questo fu anche l’intento iniziale (fallito) della sinistra del Fmln.
In quanto a lotta contro la corruzione invece (per la quale tutti gli ultimi tre presidenti del Salvador sono finiti sotto processo) Bukele ha lanciato in campagna elettorale lo slogan: “i soldi bastano se nessuno li ruba”. Ma è un fatto che in questo paese dove i benestanti pagano tasse molto basse, ci sia bisogno di una profonda riforma fiscale che assicuri risorse sufficienti alla gestione pubblica.
In questo senso un segnale positivo Nayib lo ha mandato: l’intenzione di costituire una “Commissione internazionale contro l’impunità” sotto l’egida della Nazioni unite; analoga a quella da anni funzionante in Guatemala, che ha contenuto in quel caso le perversioni di una paese divorato dalla narco-corruzione e con un sistema giudiziario allo sbando.
Da ultimo Nayib Bukele ha compiuto un gesto molto significativo per quel che concerne il passato: ha dato ordine all’alto comando della Forza Armata di cancellare la dedica di una caserma al defunto colonnello Domingo Monterrosa, che l’esercito decorò come “eroe nazionale” subito dopo la fine della guerra; ma che la Commissione della Verità dell’Onu nel 1993 individuò come il massimo responsabile della più grande carneficina della storia dell’America Latina nella seconda metà del secolo scorso: quella sul fiume Mozote, dove all’inizio del conflitto interno, nel dicembre 1981, furono uccise mille persone, per la gran parte bambini. Un provvedimento che si produce proprio nel momento in cui in Parlamento sia Arena che l’ex guerriglia stanno promuovendo una sorta di provvedimento di amnistia che sani del tutto i crimini del passato; salvo forse l’assassinio dell’arcivescovo Oscar Romero (fatto santo da papa Francesco lo scorso anno), anch’esso nella più totale impunità. Crimini sui quali sarebbe comunque arduo a distanza di decenni individuare i responsabili. Ma dove le vittime (soprattutto quelle civili) e le loro famiglie potrebbero perlomeno beneficiare di una qualche forma di riparazione economica.
Al momento Bukele non ha ancora completato la rosa del suo governo. Ma ci ha inserito già ben sei donne, fra cui la nuova Ministra degli Esteri. Un record e dunque un significativo passo in avanti nella storia di questo paese marcatamente maschilista.
Ma come affronterà Bukele il delicatissimo tema della vigente legge che penalizza l’aborto e che proibisce in tutti i casi la sospensione di una gravidanza, compreso per pericolo di vita della gestante o in caso di stupro? Legge che fu introdotta nel 1998 da un deputato reazionario di Arena e che vede oggi in carcere una trentina di giovani donne condannate a trent’anni per presunto “infanticidio”? Si tratta di giovani di estrazione molto povera la cui unica colpa (in alcuni casi) è quella di aver mal gestito un’interruzione spontanea; e comunque, in tutti i casi, dove non è minimamente previsto di verificare almeno chi sia stato il partner, soprattutto in caso di abuso. Il nuovo Presidente ha dichiarato che tenterà di introdurre un provvedimento che contempli almeno l’aborto nel caso di pericolo di vita della madre. Ma come potrà farlo passare nell’Assemblea Legislativa dove Arena, non più di due anni fa, bocciò già una proposta delle donne dell’ex governante Fmln che includeva pure i casi di violenza?
Sarà insomma un governo ancora piuttosto imprevedibile, contraddittorio e tutto da scoprire quello del post-ideologico Nayib Bukele, verso cui la popolazione soprattutto giovane nutre enormi aspettative nell’auspicio di lasciarsi definitivamente alle spalle la paralizzante polarizzazione storica fra Arena e l’ex guerriglia del Fmln, che ha privato per decenni questo paese di un futuro. Compito assai arduo ora, tutto nelle sue mani.
Il 37enne Nayib Bukele esprime la generazione millenial: pragmatico, post-ideologico e abile nel marketing. I giovani salvadoregni riscoprono il futuro e lo sostengono in massa.
“Sarò il primo presidente dell’epoca post-bellica”. Così si è autodefinito Nayib Bukele, dal 1 giugno nuovo capo di stato in El Salvador; il più giovane, con i suoi 37 anni, nella storia del minuscolo e densamente popolato paese dell’istmo centroamericano. Nonché primo presidente millennial dell’America Latina.
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