L’Italia torna in Europa
Roberto Gualtieri e Paolo Gentiloni insieme possono far capire al Paese che il deficit non è una manovra economica. La soluzione sono le riforme e un dialogo aperto e flessibile con l'Ue
Roberto Gualtieri e Paolo Gentiloni insieme possono far capire al Paese che il deficit non è una manovra economica. La soluzione sono le riforme e un dialogo aperto e flessibile con l’Ue
Con il tandem Roberto Gualtieri-Paolo Gentiloni, l’Italia dovrebbe risparmiarsi i drammi vissuti negli ultimi cinque anni sui decimali necessari a rispettare il Patto di Stabilità e Crescita e sulla minaccia di una procedura per deficit eccessivo legata al debito che si è drammaticamente concretizzata con il Governo Conte 1 tra Movimento 5 Stelle e Lega. Il Ministro dell’Economia del Governo Conte 2 è il responsabile politico italiano che conosce più di tutti gli arcani delle complicate regole di bilancio dell’Unione Europea, in particolare grazie alla sua esperienza di Presidente della commissione Affari economici dell’Europarlamento e al ruolo di “sherpa” durante i negoziati con gli Stati membri sulla riforma del Patto di Stabilità e Crescita. Il futuro commissario europeo all’Economia è un fine politico, è in grado di difendere un giusto equilibrio tra ortodossia e flessibilità sui conti pubblici e potrà usare il suo peso da ex Primo Ministro non solo nelle trattative interne alla Commissione di Ursula von der Leyen, ma anche nella “moral suasion” nei confronti delle capitali della zona euro. La coppia Gualtieri-Gentiloni può anche contribuire a rendere il Patto di Stabilità e Crescita più favorevole agli investimenti, in vista della discussione che si terrà nei prossimi mesi sulla sua semplificazione. Ma sarebbe illusorio pensare che i due siano in grado di realizzare una grande riforma delle regole fiscali europee per permettere all’Italia di contabilizzare molto più deficit. Altrettanto illusorio è immaginare che due Ministri dell’Economia in Europa possano risolvere i problemi strutturali dell’economia italiana nel momento in cui a Roma manca la volontà politica e il coraggio di affrontarli.
La prima Nota di Aggiornamento del Documento di Economia e Finanza, su cui Gualtieri ha costruito il progetto di legge di bilancio per il 2020, è indicativa delle intenzioni del nuovo Ministro: nessuna rottura con la Commissione, ma l’utilizzo di tutte le flessibilità interne alle regole per evitare un aumento significativo della pressione fiscale o tagli della spesa politicamente difficili da realizzare. Le coperture per evitare l’aumento dell’Iva in gran parte non ci sono, il che significa più deficit del previsto. Lo scostamento rispetto agli obiettivi di riduzione strutturale è significativo, ma rientra nella flessibilità implicita nelle regole del Patto di Stabilità e Crescita (più dello 0,5% di Pil) grazie a una richiesta di flessibilità esplicita per infrastrutture e messa in sicurezza del territorio (0,2% di Pil). La Commissione potrebbe avere da ridire sul livello troppo alto di entrate attese dalla lotta contro l’evasione fiscale e i calcoli fatti dal Tesoro italiano sull’output gap. Inoltre, alcune misure della manovra vanno in direzione contraria a quella indicata dalle raccomandazioni dell’Ue. Ma niente di tutto questo è paragonabile alla manovra di bilancio del Governo Conte 1 per il 2019, che era in netta contraddizione con le regole del Patto di Stabilità e Crescita. Gentiloni dovrebbe quindi comportarsi con Gualtieri esattamente come ha fatto il suo predecessore, Pierre Moscovici, con i Ministri dell’Economia della Francia durante il suo mandato: usare i canali di comunicazione privilegiati per aggiustare la legge di bilancio esattamente quel che basta per evitare il rischio di procedure da parte della Commissione.
Per Gentiloni è essenziale che Gualtieri eviti strappi alle regole o richieste eccessive in termini di flessibilità. Se facesse troppe concessioni all’Italia, Gentiloni si ritroverebbe in difficoltà all’interno della Commissione (il vicepresidente responsabile dell’Economia, Valdis Dombrovskis, è considerato un falco) e nel mirino di quei Governi della zona euro che insistono per un approccio ortodosso al Patto di Stabilità e Crescita (Olanda in testa). Se non fosse in grado di concedere la flessibilità richiesta da Gualteri, Gentiloni rischierebbe di essere attaccato in Italia come un traditore finanche dal suo stesso patito. Del resto durante la sua audizione di conferma all’Europarlamento, prima occasione per delineare la sua visione del Patto di Stabilità e Crescita, il commissario italiano ha opportunamente scelto una via di mezzo. “Farò uso delle flessibilità quando sono necessarie per (…) consentire alla politica fiscale di giocare un ruolo di stabilizzazione e promuovere investimenti”, ha detto Gentiloni, salvo aggiungere subito che elevati livelli di debito hanno un “impatto potenzialmente destabilizzante in periodi difficili” e di conseguenza nell’applicare le regole lui si concentrerà sulla sua “riduzione”.
Nella sua audizione all’Europarlamento, Gentiloni ha scelto una via mediana anche sulla questione della riforma delle regole fiscali della zona euro. Nelle settimane precedenti, in Italia si era creata una certa aspettativa di una sorta di rifondazione del Patto di Stabilità e Crescita per consentire più deficit, non ultimo per l’intervento del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, al Forum Ambrosetti di Cernobbio. Gentiloni ha preferito restare ancorato a ciò che è realizzabile: una semplificazione delle regole attuali, sulla base delle proposte avanzate dallo European Fiscal Board (il gruppo di saggi che valuta come la Commissione mette in pratica il Patto di Stabilità e Crescita). Nessuna rivoluzione, rifondazione o riforma: lo European Fiscal Board a settembre ha proposto di abbandonare il criterio della riduzione del deficit strutturale (soggetto a modifiche continue per le incertezze su output gap e crescita potenziale) per sostituirlo con un tetto al tasso di crescita della spesa netta primaria legato alla crescita nominale del Pil. Al contempo, lo European Fiscal Board ha suggerito un’innovazione con “l’introduzione di una Golden Rule limitata per proteggere gli investimenti pubblici” legati agli obiettivi dell’Ue (come il Green Deal) e per escludere “alcune spese specifiche favorevoli alla crescita dal tetto della spesa primaria netta”. In questo modo il Patto di Stabilità e Crescita diventerebbe più prevedibile e anti-ciclico, aiutando l’Italia e altri paesi ad affrontare fasi di stagnazione o recessione. Allo stesso tempo, verrebbe introdotta una nuova forma di flessibilità – la Golden Rule limitata – meno soggetta alla discrezionalità politica rispetto a quella attuale. La proposta dallo European Fiscal Board permetterebbe all’Italia al massimo pochi decimali di deficit in più in un periodo di stagnazione come quello attuale.
In altre parole, tra impostazione della legge di bilancio 2020 e semplificazione del Patto di Stabilità e crescita, si può ragionevolmente prevedere che con il tandem Gualtieri-Gentiloni l’Italia ritornerà al “sentiero stretto”. L’espressione era stata introdotta da Pier Carlo Padoan per indicare la necessità di tornare a ridurre il debito e, al contempo, la volontà di sostenere la domanda interna per non deprimere la crescita. Ma il “sentiero stretto” di Padoan è davvero la soluzione per l’Italia e i suoi problemi economici? Gran parte della classe politica – anche nel Partito Democratico – non lo ha mai interiorizzato politicamente come strategia di Governo, perché preferisce considerare il deficit come sola panacea nella convinzione che solo politiche neo-keynesiane possano sostenere la crescita. E pure la realtà dei numeri della crescita negli anni di Padoan ha mostrato l’inefficacia del “sentiero stretto”. Il Governo Conte 1 ha dimostrato invece gli effetti controproducenti di una manovra espansiva in un contesto di sfiducia da parte dei mercati. Tra il 2014 e il 2018 l’Italia è cresciuta molto meno del resto della zona euro perché la strategia è stata di concentrarsi più sui sintomi (la domanda interna) che sul male (la mancanza di crescita della produttività). Nel biennio 2018-2019 l’Italia ha totalmente vanificato il deficit aggiuntivo – la manovra espansiva del Governo Conte 1 è diventata recessiva – perché ha aggravato il male usando le medicine sbagliate per i sintomi.
Il progetto di bilancio per il 2020 di Gualtieri da questo punto di vista non augura nulla di buono. “Quota 100”, che è una controriforma delle pensioni, e il reddito di cittadinanza, che è costruito troppo male per poter funzionare, saranno conservati. Sul fronte dei tagli alla spesa e delle privatizzazioni, non c’è nulla di significativo. Su quello delle riforme, tutto lascia pensare che il Governo Conte 2 si limiterà a dare il calcio alla lattina (“kick the can down the road”) rinviando ogni decisione a quando verrà meno la sua ragion d’essere, cioè dopo l’elezione del prossimo presidente della Repubblica nel 2022. L’Italia può permettersi il “sentiero stretto” sui conti pubblici e l’immobilismo sulle riforme per altri tre anni? Gentiloni potrà mostrarsi ancora flessibile se l’Italia si ritroverà in una situazione analoga a quella del biennio 2011-12 a causa di fattori esterni come una crisi finanziaria globale, una guerra commerciale o un conflitto militare? Le risposte per affrontare i mali strutturali che colpiscono l’Italia si ritrovano nelle raccomandazioni che la Commissione ha inviato nel corso degli ultimi cinque anni. Spostare la tassazione dal lavoro e dai redditi ai consumi e agli immobili, anche se questo significa aumentare Iva e tasse sulle case. Rimettere mano alla cosiddetta Tax Expenditure, le facilitazioni fiscali di vario tipo che si sono accumulate nel corso di decenni e che rappresentano oltre 300 miliardi di euro. Attuare pienamente la riforma Fornero per ridurre il peso delle pensioni di vecchiaia sulla spesa pubblica e creare margini per altra spesa sociale. Riformare in profondità la pubblica amministrazione e il sistema giudiziario. Ritornare alle privatizzazioni della miriade di aziende pubbliche e alle liberalizzazioni per affrontare le restrizioni alla concorrenza. Concentrarsi sugli investimenti in materia di ricerca e innovazione e sulla qualità delle infrastrutture. L’aiuto più importante che Gentiloni può dare a Gualtieri è nel convincere la classe politica e i cittadini in Italia che la soluzione non è il deficit al 3% ma le riforme.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
Roberto Gualtieri e Paolo Gentiloni insieme possono far capire al Paese che il deficit non è una manovra economica. La soluzione sono le riforme e un dialogo aperto e flessibile con l’Ue
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