I ministri degli esteri dell’Unione europea, lunedì scorso, hanno deciso di rafforzare le sanzioni economiche sul Burundi, stabilendo di tagliare gli aiuti umanitari al Paese dell’Africa centrale.
La drastica scelta fa seguito a quella di Stati Uniti, Belgio e Olanda e giunge dopo il fallimento dei colloqui per trovare una soluzione alla crisi politica, che da dieci mesi sta destabilizzando il Burundi e ha già provocato l’uccisione di oltre 440 persone.
L’anno scorso, Bruxelles aveva già imposto il congelamento dei beni e il divieto di viaggio per quattro alti funzionari governativi, accusati di aver represso con estrema violenza gli scontri innescati dalla decisione del presidente Pierre Nkurunziza di ricandidarsi per un terzo mandato, in aperta violazione dell’articolo 96 della Costituzione.
Sulla decisione dell’UE ha sicuramente pesato anche il secco rifiuto di Nkurunziza, di accettare la proposta del Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana, che aveva stabilito l’invio di 5mila militari dell’African Prevention and Protection Mission (MAPROBU) per un periodo iniziale di sei mesi, allo scopo di riportare la stabilità nel Paese.
L’Unione europea è il principale donatore di aiuti umanitari del Burundi, con uno stanziamento di 430 milioni di euro, che avrebbe dovuto erogare dal 2015 al 2020, ed è evidente che il taglio assesta il colpo di grazia all’ormai collassante economia del Paese, che dipende almeno al 50% dagli aiuti esterni.
Nei mesi scorsi, Bruxelles aveva più volte dichiarato che non avrebbe sospeso l’invio dei fondi al governo burundese, anche se dopo lo scoppio della crisi la maggior parte degli stanziamenti erano stati reindirizzati direttamente alle agenzie umanitarie.
L’economia al collasso
Dallo scoppio della crisi, i prezzi dei generi alimentari primari sono sensibilmente aumentati, per esempio il costo dei fagioli è passato da 1.200 franchi (76 centesimi) a 1.800 franchi ($ 1.15), mentre quello del riso è passato da 1.100 franchi a 1.700 franchi al chilo. Ed è probabile che le cifre continueranno a salire a causa del rallentamento della produzione alimentare e le difficoltà di reperire prodotti sul mercato.
Il clima d’insicurezza influenza in negativo le prospettive per l’economia del Burundi. La crescita annuale del PIL per il 2015 è stata del -7,2%, destinata a scendere ulteriormente, soprattutto dopo la sospensione degli aiuti da parte dei principali donor.
L’economista Léonce Sinzinkayo ha spiegato al giornale Iwacu che il bilancio previsionale dello Stato indica un calo della spesa pubblica di oltre il 46%, mentre le entrate sono diminuite di ben 14,3 milioni di dollari, con un deficit stimato in circa 891milioni di dollari.
La drammatica situazione economica ha toccato anche la prestigiosa Università di Bujumbura, l’unica istituzione accademica del Paese, che nei giorni scorsi ha smesso di provvedere alla prima colazione per gli studenti.
La risposta della comunità internazionale
Nei mesi scorsi, le Nazioni Unite avevano ripetutamente messo in guardia il Burundi sulla crescente dimensione etnica della crisi, contemplando l’ipotesi di una guerra civile o peggio ancora di un genocidio, ammettendo tuttavia di non essere in grado di poterlo impedire.
Un rapporto riservato dell’ONU, reso noto lo scorso dicembre, aveva lanciato pesantissime accuse contro le forze di sicurezza burundesi, responsabili di stupri di gruppo, torture e violenze generalizzate, motivate anche da tensioni etniche ai danni della minoranza tutsi. Inoltre, le Nazioni Unite hanno deciso di aprire un’inchiesta sulle nove fosse comuni identificate nei dintorni di Bujumbura.
Lo scorso 21 gennaio, una delegazione del Consiglio di Sicurezza si è recata in Burundi. La visita era stata sollecitata dal governo locale con l’obiettivo di dimostrare che il Paese è unito, che il vero pericolo è il Ruanda e le narrazioni dei media non rispecchiano la realtà.
Nel corso della missione diplomatica, i delegati del Palazzo di Vetro hanno cercato di incentivare il dialogo con l’opposizione e di far accettare l’invio di truppe dell’UA, ma il capo della delegazione, Samantha Power, ha ammesso che i risultati sono stati deludenti.
Nel frattempo, la tensione nel Paese è sempre più alta, tanto che, martedì scorso, il sindaco di Bujumbura, Selon Freddy Mbonimpa, ha vietato la circolazione dei moto-taxi in città e nei sobborghi, dopo il lancio di un ordigno da una motocicletta, che ha provocato un morto e trenta feriti.