“La Chiesa avrebbe dovuto negoziare con Hitler? O con Stalin? No”. Sono le parole del cardinale Zen, figura carismatica della Chiesa di Hong Kong e da sempre impegnato a difendere i diritti dei cattolici in Oriente. La sua frase è esplicitamente critica circa i recenti avvicinamenti tra Papa Francesco e Partito comunista cinese.
Negli ultimi tempi si parla insistentemente di un avvicinamento, addirittura di un accordo, tra Chiesa cattolica e Pechino. Durante uno dei viaggi del Pontefice nel 2014, per la prima volta la Cina ha lasciato al Papa lo spazio aereo; successivamente e più volte il Vaticano, attraverso i propri canali, ha espresso la volontà di arrivare a un compromesso.
In Cina i cattolici sono circa 10 milioni. Il sistema è così organizzato: c’è una Chiesa ufficiale, riconosciuta, che di fatto è completamente sottomessa al controllo del partito comunista. E poi c’è una Chiesa “sotterranea” vittima di repressione. Del resto non è l’unica istituzione religiosa ad avere problemi in Cina. Di recente al centro di politiche censorie sono stati i protestanti.
Il cardinale Zen, però, non è convinto che un eventuale accordo sia positivo. Secondo il cardinale, le cui parole sono state riportate dal Guardian, sarebbe un errore un’intesa perché finirebbe per riconoscere un regime comunista, i cui crimini, secondo Zen, non verrebbero presi in considerazione dall’attuale pontefice.
Secondo il Guardian “Zen si lamenta del fatto che la maggior parte dei sostenitori dell’accordo non conosce veramente la Cina; manca completamente l’esperienza di cosa significhi essere Chiesa sotto il comunismo. Zen ha trascorso sette anni insegnando nelle città di tutta la Cina sulla scia del massacro di piazza Tiananmen nel 1989, un sanguinosa repressione dei manifestanti pro-democrazia cui ha seguito un grave inasprimento della libertà di espressione e di religione”.
“Non si può trattare con l’atteggiamento di chi vuole ottenere un accordo a qualsiasi costo. In questo caso saremmo di fronte a un tradimento, una resa, un tradimento di Cristo”, ha esplicitato il cardinale Zen.
Nei giorni scorsi a Pechino si è tenuta una conferenza sul cristianesimo, presso l’Università del Popolo di Pechino, l’ateneo del partito comunista cinese.
Secondo Francesco Sisci e Francesco Strazzari, “L’elemento di grande novità è l’analisi politica presentata da alcuni studiosi cinesi. Una normalizzazione delle relazioni conviene a Pechino per due ordini di motivi: 1) la presenza dei cattolici aiuta a ottenere quell’armonia sociale che, da oltre un decennio, è diventata una supplica quotidiana per la situazione interna cinese; 2) un rapporto positivo con la Santa Sede aiuterebbe a sciogliere i nodi di tensione politica, ideologica e culturale che alcune forze in Europa e in America stanno creando intorno alla Cina”.
Secondo Zen invece l’approccio del Papa sarebbe eccessivamente naive: arrivare ad un accordo con Pechino significherebbe, Zen non lo dice ma lo intende, rinforzare la Chiesa ufficiale filo partito a discapito di quella “sotterranea”.
Che il Papa sia interessato alla Cina non è una novità. Nel gennaio del 2016 in una straordinaria intervista concessa proprio a Francesco Sisci e pubblicata da Limes, papa Francesco ha fatto addirittura gli auguri di buon anno al presidente della repubblica popolare Xi Jinping: un fatto unico, in duemila anni di storia.
Oltre a specificare di avere una grande curiosità del paese: Per me, la Cina è sempre stata un punto di riferimento di grandezza. Un grande paese. Ma più che un paese, una grande cultura, con un’inesauribile saggezza. Da ragazzo, qualunque cosa leggessi sulla Cina aveva la capacità di suscitare la mia ammirazione. Ammiro la Cina. In seguito, ho studiato la vita di Matteo Ricci e ho visto che quest’uomo provava quello che provavo io: ammirazione.
I tempi sembrano dunque pronti, nonostante le rimostranze del cardinale di Hong Kong.
@simopieranni