L’ombra del paramilitarismo sull’accordo di pace in Colombia
Il fenomeno delle organizzazioni armate in Colombia è unico al mondo: molteplici sigle, diversi scopi, differenti rapporti con le autorità. Come Frankenstein, è un mostro che dovrebbe essere morto, eppure continua ad avanzare e fare paura
Il fenomeno delle organizzazioni armate in Colombia è unico al mondo: molteplici sigle, diversi scopi, differenti rapporti con le autorità. Come Frankenstein, è un mostro che dovrebbe essere morto, eppure continua ad avanzare e fare paura
Bogotá – Con la consegna delle armi e la creazione del partito della Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común (Farc), la Colombia è entrata in una delicata fase di transizione. La smobilitazione guerrigliera ha generato dei vuoti territoriali attualmente in disputa, o già sotto il controllo di altri gruppi armati illegali. E i risultati a cui è giunta la Missione di Verificazione dell’Accordo di Pace che si è conclusa a inizio novembre, ha confermato il persistere di dinamiche paramilitari in molte regioni del Paese, che se non risolte rischiano di far saltare non solo l’implementazione dell’accordo, ma anche il corso delle negoziazioni con l’altra guerriglia ancora attiva, l’Ejército de Liberación Nacional (Eln).
L’uso della parola “paramilitarismo” tende a generare un po’ di confusione. Se utilizzato in riferimento a un gruppo armato illegale che agisce parallelamente allo Stato per metterne in discussione la legittimità, allora anche le Farc potrebbero essere considerate un gruppo ex–paramilitare. In Colombia ha però sempre prevalso la seconda accezione del termine, con cui si indica la delega volontaria da parte dello Stato dell’uso della forza ai cittadini, che assumono così funzioni di sicurezza svolte in collaborazione con i militari. Per il Centro Nacional de Memoria Histórica (Cnmh), si può dire che il paramilitarismo sia stata a tutti gli effetti una strategia violenta di carattere illegale promossa dal governo per sopperire alla costante difficoltà nell’esercitare il pieno controllo del territorio. E i precedenti nella storia colombiana non mancano.
Basti ricordare il caso della polizia statale che si servì dei civili per sedare i liberali in rivolta dopo l’assassinio del loro candidato alla presidenza Jorge Eliécer Gaitán nel 1948. O ancora, l’articolazione di alcuni militari della Brigata XX con vari sicari per portare a termine lo sterminio dei membri della Unión Patriótica, il partito fondato nel 1985 come proposta d’integrazione dei vari gruppi guerriglieri nell’ambito dei dialoghi di pace avviati dal Presidente Betancur. Per arrivare alle più recenti Autodefensas Unidas de Colombia (Auc), che al comando dei fratelli Castaño furono responsabili di quasi ottanta massacri tra il 1997 e il 2001. Acquisita una certa autonomia territoriale e un’indipendenza in termini organizzativi, le Auc intravidero la possibilità di convertirsi in nuovo soggetto politico dopo una definitiva smobilitazione che avrebbe dovuto far seguito all’approvazione della Ley de Justicia y Paz del 2005. Tuttavia, l’esclusione dei crimini legati al narcotraffico dal quadro giuridico scelto per regolamentare il processo, insieme al rischio di estradizione fratturò il gruppo, generando una graduale fuoriuscita di alcuni comandanti che preferirono a quel punto mettersi in proprio. Una volta portate a termine le negoziazioni, si dichiarò estinta l’esistenza delle Auc, e si decise di adottare la definizione di Bandas criminales (Bacrim) per riferirsi a tutti quei gruppi sorti dal processo di smobilitazione paramilitare, e pensata proprio per privarli di qualsiasi connotazione politica.
Ci sono due versioni dei fatti, e in stridente contraddizione l’una con l’altra. “In Colombia il paramilitarismo non esiste” è una formula politicamente corretta che si ripete da anni, poiché risulterebbe anacronistico parlare di gruppi che avrebbero cessato di esistere a partire dal 2005. “In Colombia i paramilitari non se ne sono mai andati” è invece la denuncia di tutte quelle frange della società civile che dallo stesso numero di anni ne continuano a segnalare la presenza.
Considerando i trascorsi, non si può di certo dire che il paramilitarismo sia un qualcosa semplicemente successo al Paese. E’ quasi come se lo Stato colombiano, resosi conto del Frankenstein creato, abbia provato a educarlo o soffocarlo a seconda della convenienza congiunturale del momento, risultando però sempre coinvolto in qualche modo, vuoi per azione vuoi per omissione. Il rapporto non è mai stato scevro di conflitti, solo che talvolta la situazione sembra essere sfuggita di mano.
A partire dal 2006 il dibattito circa l’effettività della Ley de Justicia y Paz non si è mai concluso, e già nel 2010 Human Rights Watch presentava un rapporto piuttosto dettagliato sugli eredi del paramilitarismo in Colombia. Lo scorso gennaio, l’Instituto de estudios para el desarrollo y la paz (Indepaz) ha pubblicato un documento nel quale si conferma la persistenza da oltre dieci anni di 13 strutture narcoparamilitari in almeno 344 municipi di 31 Dipartimenti, e individuando nel Clan del Golfo il gruppo con maggior peso, distribuito tra 279 municipi di 27 Dipartimenti. Stando alle indagini svolte dal Cnmh, dal 2006 al 2015 è possibile attribuire a questi gruppi la responsabilità di 2.518 omicidi e altri 574.806 casi di azioni non letali come il sequestro, la sparizione, la minaccia o lo sfollamento forzato, vale a dire rispettivamente l’11.9% e il 33% di tutti gli episodi di violenza paramilitare nel quarantennio compreso tra il 1975 e il 2015; mentre per il Centro de Investigación y Educación Popular (Cinep), è possibile inoltre ascrivergli l’imputabilità nel solo 2016 di 395 minacce, 83 esecuzioni extragiudiziare, 44 ferimenti, 9 scomparse e 12 casi di tortura.
Secondo molti osservatori, più che scomparsa pare essersi verificato un processo di frammentazione delle Auc, caratterizzato da un riposizionamento territoriale che prescinde dalla ruralità, e comincia a dirigersi verso l’urbanizzazione dell’azione criminale per meglio concentrarsi sul controllo dei mercati illegali. Non essendo riusciti a concretizzare il progetto di nazionalizzazione, l’alleanza con le autorità locali serve ora a mantenere intatti i santuari di impunità per non essere perseguiti.
Tra il 2007 e il 2013, la Corte Suprema di Giustizia e la Procura hanno processato 184 ex-congressisti e 8 governatori, con dodici ex-presidenti del Congresso convocati a rispondere per presunti vincoli con gruppi paramilitari; nel febbraio 2014 sono estate emesse 41 condanne. La Procura ha inoltre informato il Congresso che per le stesse ragioni sono stati aperti 519 processi disciplinari per fatti occorsi tra il 2006 e il 2016, mentre la Fundación Paz y Reconciliación ha stilato una lista contenente il nome dei 140 candidati dal passato discutibile, che si sono comunque presentati alle elezioni del 2015 in 19 dei 32 Dipartimenti del Paese; per non parlare dell’arresto nel 2014 di 57 agenti della Polizia per affiliazione diretta a questi gruppi.
Affermare che in Colombia il paramilitarismo è scomparso, è una mostra di rigorosa coerenza, poiché i vari Los Rastrojos, La Cordillera, Los Buitragueños, Los Botalones, Los Caqueteños, Los Costeños, Los Pachenca sono Bacrim a tutti gli effetti, almeno dal punto di vista formale. Ciò che non convince è il sotteso riduzionismo storico, che da un lato impedisce l’effettiva rielaborazione del passato, dall’altro svilisce la prospettiva del contesto. Basti pensare alla carriera criminale di Dario Antonio Úsuga, alias Otoniel, in ordine: nato nella guerriglia marxista dell’Ejército Popular de Liberación (Epl), cresciuto nelle Auc, diventato adulto e attuale comandante del Clan del Golfo. Insomma, la quintessenza del riciclaggio allo stato puro.
Ed è in relazione alle misure intraprese nei confronti del Clan del Golfo che è possibile scorgere, forse, una presa di coscienza nell’atteggiamento governativo, per quanto rimanga pur sempre innegabile il fatto che Otoniel non se ne sia mai andato.
Ufficialmente l’organizzazione sembra poter contare con 1.900 integranti armati concentrati nella parte nord-occidentale del Paese, ma che dispone di franchigie assoldate a comando attraverso reti di sub-contrattazione sparse sull’intero territorio nazionale, che eleverebbe la sua capacità a circa 3.500 unità.
Si tratta di una disposizione altamente strategica poiché segue la rotta del narcotraffico: partendo dai porti di Buenaventura e Tumaco, circoscrivono le isole Galapagos e approdano direttamente in acque messicane, passando eventualmente per l’Honduras, El Salvador o il Guatemala dove operano le maras.
Conosciuto anche come il gruppo de Los Urabeños, o Clan Úsuga, si autodenominano Autodefensas Gaitanistas de Colombia (Agc) con il chiaro proposito di mostrare la continuità con le Auc, e hanno pure una pagina web. Per il Governo si tratta semplicemente del Clan del Golfo per una riduzione dello spettro semantico all’esclusivo ambito geografico delle narcoattività.
Tra le azioni più clamorose intraprese, si ricorda il coprifuoco imposto dal 30 marzo al primo aprile 2016 in 36 municipalità di almeno sette Dipartimenti del Paese. In quella circostanza la risposta del ministero della Difesa è stata pressoché immediata, con l’approvazione poche settimane dopo di una Direttiva che ha convertito le Bacrim in Grupos Armados Organizados (GAO); nel riconoscere l’esistenza di un conflitto interno, il provvedimento ha di fatto aperto un nuovo fronte di guerra, e il Governo colombiano si è praticamente autoconferito l’autorizzazione per bombardare. Va da sé che confermare a questo punto l’esistenza del paramilitarismo significherebbe attivare la modalità harakiri sul pannello di controllo.
C’è da dire però che negli ultimi due anni la cattura di 1.500 membri del Clan, la confisca di circa 100 tonnellate di cocaina, e il dispiegamento simultaneo di cinque operativi su tutto il territorio nazionale, rappresentano una dimostrazione di forza senza precedenti, che d’altronde lasciano intravedere le ragioni del Governo nel mantenere una postura così netta sull’argomento. Se sia sufficiente o meno fare leva esclusivamente sulla forza militare per risolvere il problema senza garantire al contempo dei piani seri di depurazione istituzionale, questo poi è un altro discorso.
A partire dal video rilasciato pochi giorni prima l’arrivo del Papa in Colombia, nel quale il Clan del Golfo ha dichiarato di essere disposto a dialogare, si è aperto un dibattitto circa le regole da stabilire per avviare le trattative. Non c’è ancora molta chiarezza, ma l’unica condizione ad essere stata già posta come imprescindibile, è che le negoziazioni condurranno a una sottomissione alla giustizia, e non a una smobilitazione che introduca nell’arena politica.
Al momento risulta ancora prematuro fare delle valutazioni sulle concrete possibilità di pace che ha oggi la Colombia in prospettiva futura. Un accordo e una guerriglia smobilitata sono senz’altro dei risultati storici, ma se non saranno supportati da una effettiva realizzazione di quanto pattuito, pensare che il Paese possa rientrare in una nuova spirale di violenza non è fantapolitica. Poi che si tratti di Bacrim, Gao, vecchi o nuovi paramilitari, il gioco semantico lascia il tempo che trova; considerando che Farc è un acronimo che ad oggi indica un partito e non più un gruppo guerrigliero, il cerchio dei responsabili per qualsiasi altro caso di violenza si è ristretto.
Bogotá – Con la consegna delle armi e la creazione del partito della Fuerza Alternativa Revolucionaria del Común (Farc), la Colombia è entrata in una delicata fase di transizione. La smobilitazione guerrigliera ha generato dei vuoti territoriali attualmente in disputa, o già sotto il controllo di altri gruppi armati illegali. E i risultati a cui è giunta la Missione di Verificazione dell’Accordo di Pace che si è conclusa a inizio novembre, ha confermato il persistere di dinamiche paramilitari in molte regioni del Paese, che se non risolte rischiano di far saltare non solo l’implementazione dell’accordo, ma anche il corso delle negoziazioni con l’altra guerriglia ancora attiva, l’Ejército de Liberación Nacional (Eln).
L’uso della parola “paramilitarismo” tende a generare un po’ di confusione. Se utilizzato in riferimento a un gruppo armato illegale che agisce parallelamente allo Stato per metterne in discussione la legittimità, allora anche le Farc potrebbero essere considerate un gruppo ex–paramilitare. In Colombia ha però sempre prevalso la seconda accezione del termine, con cui si indica la delega volontaria da parte dello Stato dell’uso della forza ai cittadini, che assumono così funzioni di sicurezza svolte in collaborazione con i militari. Per il Centro Nacional de Memoria Histórica (Cnmh), si può dire che il paramilitarismo sia stata a tutti gli effetti una strategia violenta di carattere illegale promossa dal governo per sopperire alla costante difficoltà nell’esercitare il pieno controllo del territorio. E i precedenti nella storia colombiana non mancano.
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