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Come reintegrare i foreign fighters: il caso tunisino


L’incontro è in un hotel di Tunisi che dà su quello che può essere considerato il corrispettivo degli Champs Elysée della città, avenue Bourghiba. Seduto in una poltrona della hall c’è  Mohamed Iqbel Ben Rejeb, presidente di RATTA, Rescue Association of Tunisians Trapped Abroad Association, che continua ad osservare chi entra e chi esce. Assieme a lui, il padre del jihadista deceduto in Iraq.

L’incontro è in un hotel di Tunisi che dà su quello che può essere considerato il corrispettivo degli Champs Elysée della città, avenue Bourghiba. Seduto in una poltrona della hall c’è  Mohamed Iqbel Ben Rejeb, presidente di RATTA, Rescue Association of Tunisians Trapped Abroad Association, che continua ad osservare chi entra e chi esce. Assieme a lui, il padre del jihadista deceduto in Iraq.

Il figlio di quest’ultimo, Walid, è partito per l’Iraq nel 2013. Suo padre non sa per quale organizzazione sia andato a combattere. Dopo due mesi dalla sua partenza, Mohamed, così si chiama quest’uomo, ha ricevuto una telefonata da un numero sconosciuto. Dall’altra parte del telefono una voce che non aveva mai sentito gli annunciava che suo figlio era diventato uno “shahid”, ossia un martire.

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