L’autogol di Salvini ha rimesso in moto un circolo virtuoso della politica. Europa e Atlantismo pietre miliari
Al suo secondo matrimonio, quello con la coalizione giallo-rossa, Giuseppe Conte ha portato in dote due figli quantomeno problematici, frutto della coalizione giallo-verde: quota cento e reddito di cittadinanza. Si tratta di un bagaglio costoso e piuttosto ingombrante che rischia di pesare ancora per molto tempo sulle finanze pubbliche del Paese e sulla sua possibilità di riprendere il cammino della crescita. È il famoso conto del precedente esecutivo che qualcuno sbrigativamente ha liquidato come il “conto del Papeete”. L’autogol politico di Salvini, la sua pretesa di ottenere “pieni poteri” ha prodotto, come per eterogenesi dei fini, il risultato opposto di rimettere in moto un circolo virtuoso della politica, quella fatta di realismo e consapevolezza della posta in gioco, quella che vede nell’Europa e nell’Atlantismo due ancoraggi irrinunciabili e guarda con lungimiranza al nostro ruolo nel Mediterraneo. Tutte cose che il sovranismo di Salvini e i rapporti “privilegiati” con Mosca avevano banalizzato e fatto quasi dimenticare portandoci sull’orlo di un precipizio dal quale forse non saremmo più riusciti a risalire.
Da avvocato del popolo, quasi notaio del precedente esecutivo giallo-verde, Giuseppe Conte, forte dell’endorsement di Donald Trump e dei leader europei al G7 di Biarritz e con la benedizione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si è messo al lavoro alla fine dell’estate per sottoporre alla nuova maggioranza non tanto un “contratto” ma un programma basato su alcuni punti fermi: crescita economica, meno tasse sul lavoro, lotta all’evasione, attenzione alle famiglie e alle fasce più deboli, green economy e plastic tax, rapporto costruttivo con Bruxelles. Obiettivi impegnativi che richiedevano la costruzione di un’adeguata squadra di Governo all’altezza di queste ambizioni, cosa che in buona parte è stata realizzata.
Risolto il problema dei vicepremier con l’individuazione di due capidelegazione nella squadra di Governo ossia per il Pd, Dario Franceschini ai Beni Culturali e, per i grillini, Luigi Di Maio agli Esteri, la squadra si completava con i posti chiave attribuiti in base sia all’appartenenza politica ma soprattutto alla competenza. Roberto Gualtieri, storico di Ecomomia e già Presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento Europeo, è andato a ricoprire il posto chiave dell’Economia a via XX settembre. Il documento programmatico di bilancio messo a punto dal Governo e inviato a Bruxelles pochi giorni fa è frutto del suo lavoro, anche se quel “salvo intese” in calce al documento ha riaperto il vaso di Pandora delle possibili correzioni da parte dei pentastellati e dei renziani. I primi contrari ad abbassare il tetto per i contanti e fortemente intenzionati a rendere più stringenti le misure antievasione con il carcere per gli evasori ma salvando la loro costituency di piccoli imprenditori, artigiani e tassisti. I secondi intenzionati ad abolire totalmente quota 100 per destinare i risparmi alle politiche familiari.
Insomma, a fronte di una maggioranza sostanzialmente solida basata su grillini, Pd e Leu, il Governo mostra qualche segno di fragilità. Il premier si ritrova quasi quotidianamente “juniorizzato” dalle azioni e dichiarazioni dei due azionisti forti dell’esecutivo, Di Maio e Renzi. Zingaretti cerca di ritagliarsi un ruolo di mediazione, pur sapendo di non poter contare sulla potenza di fuoco dell’esercito renziano in Parlamento. “Le distanze politiche tra Pd e M5S sono enormi.” – ammette Zingaretti – “Io dico: non contempliamo le differenze, governiamo insieme. Conte sta svolgendo il ruolo bene, il resto lo vediamo andando avanti, non scriviamo le pagine del futuro. Ci sono due partiti che fino a poco tempo fa erano alternativi. Sulla base delle nostre idee, lavoriamo a trovare un punto di sintesi utile agli italiani.”
Da parte sua, Conte sta cercando di portare a fattor comune esigenze diverse tra loro e sostituire lo slogan salviniano sulla “flat tax” con meno tasse al ceto medio. “Stiamo lavorando come matti,” – afferma il premier – “c’è una task force già all’opera sulle simulazioni per la riforma dell’Irpef. Non possiamo realizzarla quest’anno ma la approveremo nel 2020, per pagare tutti ma pagare meno. Ridurremo il numero delle aliquote e abbasseremo la pressione fiscale.” Secondo Conte, “unificare al 20% le due aliquote del 27 e del 23 è un bell’obiettivo a cui ambiamo”. Sull’uso del contante, poi, Conte rivela che “c’è stata una forza politica che ha sollevato perplessità, io non ho fatto mistero che si potesse portare da duemila a mille il limite senza particolari scossoni sociali. Ma anche a duemila va benissimo. Ma questo non è un aspetto dirimente rispetto a quello che abbiamo fatto, dovevamo dare un segnale. Il contante è un costo anche per le banche. Ci sono studi che stimano il costo a 10 miliardi l’anno, perché dietro c’è un grande impiego di persone che custodiscono, trasportano, gestiscono il contante. Se noi ci orientiamo verso pagamenti digitali, non favoriamo solo l’emersione, e comunque non stiamo rendendo più difficile l’uso del contante”.
Il livello di credibilità dell’esecutivo italiano è tornato a crescere: lo spread è sceso e, se il trend resterà immutato, si potranno risparmiare circa 18 miliardi per il servizio del debito per i prossimi tre anni, da destinare a nuovi investimenti e a politiche a sostegno delle fasce più deboli. In poco più di due mesi, l’Italia, da Paese filo-sovranista che sembrava diventato, è tornato a dialogare costruttivamente con Bruxelles. Certo, i problemi non mancano. Tra reddito di cittadinanza e cosiddetta quota cento è stato necessario promettere all’Europa aumenti Iva per 51 miliardi; il ministro Gualtieri è riuscito a cancellare i 23 che incombevano sul 2020 ma non ancora i 18 previsti per il 2021. Quasi certamente, Bruxelles ci chiederà conto di questo: “Se servono chiarimenti, li daremo; siamo molto sereni su questo” ha detto Conte all’ultimo Consiglio Europeo.
Ma è il fronte interno a impensierire di più. Perché da M5S e renziani fioccano annunci di emendamenti alla manovra. Sullo sfondo ci sarebbe una partita di Di Maio e Renzi per sostituire Conte. “Di Maio dice ‘stai sereno’ con tocco renziano”, osserva velenoso Matteo Salvini, che accusa il Governo “Dracula” di mettere nuove tasse. Ma il premier ha sottolineato di non temere ribaltoni. Al Senato, dove Renzi è determinante, secondo una fonte 5 Stelle, in caso di ribaltoni, non solo rischierebbe di spaccarsi il gruppo M5S ma ci sarebbe una decina di senatori Fi pronti a venire in soccorso di Conte, magari con appoggio esterno. Ma tra renziani e 5S c’è chi osserva: “La legislatura è solida, il governo no”.
In conclusione, nonostante le migliori intenzioni, il matrimonio “di interesse” tra 5 Stelle e Pd supererà di qui ai prossimi mesi difficili prove di convivenza. A cominciare dalle elezioni regionali in Umbria.
@pelosigerardo
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
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