Coronavirus: in India mantenere la distanza è impossibile. Nel Paese è crisi umanitaria: almeno 100 milioni di cittadini rimasti senza lavoro, senza cibo e possibilità di tornare a casa con i mezzi
Coronavirus: in India mantenere la distanza è impossibile. Nel Paese è crisi umanitaria: almeno 100 milioni di cittadini rimasti senza lavoro, senza cibo e possibilità di tornare a casa con i mezzi
L’impatto del coronavirus avrà dei costi economici e umani senza precedenti in India, Paese abitato da 1 miliardo e 300 milioni di persone e con meno di un letto d’ospedale ogni 1000 abitanti. Dal 24 marzo, giorno in cui il Presidente Narendra Modi ha imposto un lockdown generalizzato in tutta la nazione, almeno 100 milioni di cittadini stipendiati su base giornaliera hanno perso il lavoro.
Con un ruolo fondamentale nella società, impiegati in attività produttive quali industrie automobilistiche o settore edile, oppure come barbieri, cuochi, fattorini per le consegne a domicilio, i daily wage workers arrivano dai villaggi poveri e si riversano nelle grandi città, vivendo in slum che possono ospitare anche 1 milione di persone, come quello di Dharavi. Altri ancora, vivono ammassati in piccole abitazioni, impossibilitati a praticare il distanziamento sociale fondamentale per il contenimento del Covid-19.
Da giorni si registrano violenze della polizia contro persone intente a far ritorno nei loro villaggi d’origine, non potendo sfamarsi nelle città chiuse per via della quarantena e rimasti senza la loro unica fonte di guadagno. Nella giornata di domenica a Surat, città dell’India occidentale a nord di Mumbai, almeno 500 persone sono entrate in contatto con le forze dell’ordine, che hanno poi sparato lacrimogeni per disperdere il gruppo.
I lavoratori, impossibilitati a raggiungere i loro Stati d’origine a causa del blocco totale dei mezzi pubblici, hanno iniziato lunghi percorsi a piedi, spesso l’uno accanto all’altro. Da una parte, alimentano la propagazione del virus e, dall’altra, sono una vera e propria bomba sociale che il Presidente nazionalista sembra non aver considerato. Nel Paese sono iniziate campagne private di raccolta fondi per i cittadini rimasti senza lavoro, ma difficilmente potranno far fronte ai bisogni immediati delle classi sociali più povere.
Ufficialmente, sarebbero poco più di 1000 le persone contagiate e 29 i morti per Covid-19. Ma secondo le previsioni dell’epidemiologo Ramadan Laxminarayan, direttore del Center for Disease Dynamics, Economics and Policy, l’India affronterà il picco della pandemia tra la fine di aprile e i primi di maggio, con numeri da far tremare i polsi. Prima di luglio, tra i 300 e i 500 milioni di indiani verranno infettato dal virus; di questi, un numero di persone che si aggira tra i 30 e i 50 milioni sarà duramente colpito dai sintomi. Almeno 10 milioni di persone necessiteranno di cure ospedaliere, in un Paese nel quale sono presenti meno di 100mila posti in terapia intensiva e 20mila ventilatori, presenti principalmente nelle strutture sanitarie delle grandi città.
Il coronavirus si può rappresentare come una moneta e le sue facce: da una parte, quella del mondo capace di contenere il diffondersi della pandemia attraverso il distanziamento sociale e di curare — anche se con qualche difficoltà — i suoi cittadini; dall’altra, il caso indiano, dove è impossibile praticare il fondamentale social distancing e garantire le cure per chi avrà la sfortuna di ammalarsi.
L’impatto del coronavirus avrà dei costi economici e umani senza precedenti in India, Paese abitato da 1 miliardo e 300 milioni di persone e con meno di un letto d’ospedale ogni 1000 abitanti. Dal 24 marzo, giorno in cui il Presidente Narendra Modi ha imposto un lockdown generalizzato in tutta la nazione, almeno 100 milioni di cittadini stipendiati su base giornaliera hanno perso il lavoro.
Con un ruolo fondamentale nella società, impiegati in attività produttive quali industrie automobilistiche o settore edile, oppure come barbieri, cuochi, fattorini per le consegne a domicilio, i daily wage workers arrivano dai villaggi poveri e si riversano nelle grandi città, vivendo in slum che possono ospitare anche 1 milione di persone, come quello di Dharavi. Altri ancora, vivono ammassati in piccole abitazioni, impossibilitati a praticare il distanziamento sociale fondamentale per il contenimento del Covid-19.
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