Coronavirus: Recovery Fund e Mes sono solo alcune delle misure di solidarietà economica che sarebbero state definite impensabili prima dello scoppio della pandemia
Coronavirus: Recovery Fund e Mes sono solo alcune delle misure di solidarietà economica che sarebbero state definite impensabili prima dello scoppio della pandemia
Se qualcuno avesse accennato, nel periodo precedente all’attuale crisi pandemica, alle misure finanziarie messe in campo dall’Unione europea per fare fronte alle difficoltà in cui versano gli Stati membri, molto probabilmente non sarebbe stato preso sul serio.
Il superamento del rapporto deficit/Pil fissato al 3%, l’istituzione di un Recovery Fund, l’acquisto da parte della Banca centrale europea di 220 miliardi di titoli di Stato italiani – con ¼ di debito pubblico attualmente detenuto dalla Banca centrale –, la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e l’annunciato aumento delle linee di credito da parte della Banca europea per gli investimenti (Bei) rappresentano solo alcune delle azioni di solidarietà economica che non sarebbe stato esagerato definire irrealistiche prima della diffusione del Covid-19 in Europa.
Del resto, gli Stati membri e le istituzioni europee non avrebbero avuto altra scelta a fronte di prospettive di recessione gravide di conseguenze. Già il 13 marzo la Commissione aveva previsto che l’impatto diretto attraverso tutti i canali della crisi pandemica avrebbe portato a una riduzione della crescita del Pil europeo del 2,5% nel 2020.
Date queste premesse, è possibile definire il Consiglio europeo tenutosi il 23 aprile come un punto di svolta per il (parziale) superamento delle rigidità in materia economica espressa dagli Stati nord-europei. Basti pensare che, nel corso del Consiglio, la Germania si è detta disponibile a un aumento del 50% del budget del bilancio europeo, un’affermazione impensabile fino a pochi mesi fa.
Segnali ancora più incoraggianti provengono dalle notizie di pochi giorni fa riguardanti il Mes. Infatti, l’8 maggio, i Ministri delle finanze europei hanno siglato un accordo per l’istituzione di un Mes riformato, che non prevede condizionalità nell’erogazione di prestiti, salvo la sorveglianza da parte della Commissione che i fondi erogati siano investiti in spese sanitarie dirette e indirette. L’Italia potrà quindi richiedere fino a 37 miliardi di euro di aiuti già da metà maggio, con condizioni estremamente vantaggiose, quali un tasso annuo dello 0,1%, un costo una tantum di attivazione dello 0,25% e annuale per la gestione dello 0,005%, e una scadenza a dieci anni.
Tutto questo, tuttavia, per il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte ancora non basta, soprattutto per quanto riguarda la definizione del funzionamento e del finanziamento del Recovery Fund. Temi sui quali il premier ha idee molto chiare, in quanto “i finanziamenti devono essere fatti a lungo termine per permettere di distribuire nel tempo il peso dello sforzo fiscale eccezionale, ma temporaneo, sopportato ora dagli Stati membri; le risorse devono essere date primariamente agli Stati più colpiti e devono prevedere una quota ben significativa di grants, pur non volendo escludere prestiti; gli Stati dovranno avere il compito di allocarli all’interno di un chiaro quadro di regole comuni”.
È però evidente quanto la risposta delle istituzioni europee alle difficoltà di diversi Stati membri messi in difficoltà dalla pandemia, Italia in testa, sia andata ben oltre gli iniziali tentennamenti, pur permanendo delle criticità. La resistenza dei Paesi nordici, in particolare della Germania, all’istituzione di eurobond, le riserve di Paesi Bassi, Danimarca e Svezia nei confronti di maggiori contributi al bilancio comune, e, in Italia, il continuo dibattito sul Mes – visto da certe forze politiche come una trappola più che un’opportunità (definito una rapina da Matteo Salvini) – sottolineano le persistenti difficoltà nell’attuare anche solo forme di salvaguardia economica comuni.
Ciononostante, è lecito, per i più ottimisti, vedere nelle misure messe in campo dalle istituzioni europee una vera e propria occasione per ridare vita al processo di integrazione economicaeuropea. Pur restando, naturalmente, una calamità, l’epidemia di Covid-19 ha infatti anche messo in luce quanto siano fondamentali – ora più che mai – la solidarietà e il multilateralismo nell’attuale contesto globale, e quanto gli Stati europei abbiano avuto (e avranno) bisogno gli uni degli altri per superare l’attuale crisi. Una dimostrazione in più della profonda miopia dei finora risorgenti egoismi nazionali europei, che essi siano rappresentati dai falchi nordeuropei o dagli euroscettici nostrani.
Se qualcuno avesse accennato, nel periodo precedente all’attuale crisi pandemica, alle misure finanziarie messe in campo dall’Unione europea per fare fronte alle difficoltà in cui versano gli Stati membri, molto probabilmente non sarebbe stato preso sul serio.
Il superamento del rapporto deficit/Pil fissato al 3%, l’istituzione di un Recovery Fund, l’acquisto da parte della Banca centrale europea di 220 miliardi di titoli di Stato italiani – con ¼ di debito pubblico attualmente detenuto dalla Banca centrale –, la riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e l’annunciato aumento delle linee di credito da parte della Banca europea per gli investimenti (Bei) rappresentano solo alcune delle azioni di solidarietà economica che non sarebbe stato esagerato definire irrealistiche prima della diffusione del Covid-19 in Europa.
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