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La cyberwar


Questo scontro fratricida è un conflitto innovativo non solo per la presenza di strumenti ipertecnologici: la cyberwar è territorialmente globale perché non conosce confini di sorta, arriva nelle case in ogni angolo del pianeta e può partire da un luogo insospettabile e di difficile identificazione

Il conflitto innescato dall’invasione russa in Ucraina può rivelarsi una riedizione dei lavori sulla Salerno-Reggio Calabria. È come l’autostrada – oggi chiamata “del Mediterraneo” – perché si profila infinita o comunque “multigenerazionale” in quanto destinata ad accompagnare figli e nipoti e chi altro verrà in futuro.

Questa guerra, più di ogni altra, è un cantiere. Dopo la stagione della distruzione recapitata a domicilio sugli schermi di tutto il mondo, inaugurata dalla CNN con la Guerra del Golfo, si è arrivati non alla guerra tradizionale ma a quella consuetudinaria le cui notizie sono slittate poco alla volta in coda ai telegiornali. È un cantiere e – analogamente a quelli in ambito urbano – si ritrova accerchiato da “umarell” (pensionati, ndr) che commentano e discutono con sedicente competenza senza capire nulla di quel che sta accadendo. Una pletora di Alighiero Noschese nei panni di Sun Tzu e Von Clausewitz dissertano in TV di quel che non sanno, garantendo la sana disinformazione: i talk show sono le trincee di retrovia, fondamentali per la “distrazione di massa”. I discorsi da pensionati con mani e braccia dietro la schiena ricurva per curiosare tra chi scava e lavora si mescolano con le preoccupazioni economiche di ritorno e il timore di un olocausto nucleare.

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