Chi o cosa determina le scelte della didattica a distanza e quale impatto avrà sulla formazione e l’occupazione dei giovani della generazione Covid?
La pandemia di Covid-19 ha sconvolto le normali pratiche educative, inaugurando un nuovo formato altamente tecnologico di didattica a distanza e al tempo stesso rispolverando quello ormai obsoleto dell’istruzione domiciliare. L’emanazione di norme sulla frequenza obbligatoria nel XIX e XX secolo, unita al crescente desiderio di un insegnamento formale e istituzionale, ne aveva segnato il declino, ma la pandemia ha fatto sì che tali normative ed esigenze passassero in secondo piano. Le comunità internazionali hanno portato avanti la propria vita tra le mura di casa; sia le scuole che i campus universitari si sono svuotati. Il compito di provvedere allo sviluppo intellettuale dei più piccoli è ricaduto soprattutto sulle spalle dei genitori, a loro volta alle prese con gli effetti economici e sociali del lockdown. Allo stesso tempo gli studi universitari venivano trasferiti dalle aule agli schermi pixelati, con un impatto accademico e occupazionale a lungo termine ancora sconosciuto.
La natura devastante e debilitante del Covid-19 lascia poco spazio al dibattito sulla sicurezza nostra e dei nostri figli. Le scuole, e soprattutto i campus universitari, sono spazi intrinsecamente sociali, con alti tassi di contagio. Ma il contagio tra i giovani è mai stato di primaria importanza? Sì e no. Sappiamo che le conseguenze dirette dell’infezione sono generalmente minime nei giovani, ma il costo della trasmissione ai più vulnerabili è elevato. Pertanto il compito di guidare gli studenti nel loro percorso di formazione è passato dalle mani di docenti a quelle dei genitori e sugli schermi dei computer portatili. A questo punto sono sorti molti quesiti: come fare? Cosa insegnare? Chi lo decide? Tutte preoccupazioni legittime e rilevanti. I genitori con figli più piccoli si sono dovuti adoperare per trovare quell’equilibrio, spesso impossibile da raggiungere, tra educare e divertire, tra la scuola e lo svago, impresa particolarmente difficile durante un lockdown. I primi stadi dello sviluppo sono fondamentali e il raggiungimento di esiti positivi può essere oneroso quando l’esperienza educativa è limitata. In questo caso i genitori hanno dovuto fare del loro meglio con quello che avevano a disposizione. Purtroppo, data la difficoltà di monitorare l’istruzione primaria durante la pandemia, le scuole non avranno altra scelta se non quella di ricominciare da dove erano rimaste prima della crisi.
Per quanto riguarda l’istruzione secondaria e superiore, il quadro è diverso, caratterizzato in primis dall’uso massiccio della tecnologia. Studenti e professori di tutto il mondo si sono piazzati davanti allo schermo del computer in cucina o in camera da letto, tra lezioni preregistrate e aule online; soli, eppure circondati dalla famiglia. Non si tratta certo dell’ambiente di studio ideale. Dal punto di vista didattico, i programmi sono rimasti invariati. I problemi della didattica a distanza sono legati piuttosto all’isolamento: la separazione dai coetanei e l’assenza di un riscontro diretto da parte dei docenti. Del resto non basta che l’istruzione sia garantita, anche la qualità dell’esperienza educativa conta. Le ripercussioni emotive di questa solitudine accademica e sociale forzata rischiano di essere profonde.
L’istruzione domiciliare e la didattica a distanza sono diventate pratiche essenziali, senz’altro scomode e impegnative, ma che presentano anche alcuni vantaggi: comunicazione visiva, scolarizzazione continua e una distrazione efficace dalle realtà più ampie della pandemia. Ma che dire degli effetti a lungo termine? Se da un lato la pandemia ha sconvolto la normalità, con scarse probabilità di ritorno, dall’altro le nostre capacità tecnologiche a livello internazionale hanno sicuramente attutito il colpo, nell’immediato e per il futuro. In questo senso l’apprendimento a distanza ha forse alleviato gli effetti della pandemia sulla formazione accademica e l’occupabilità dei giovani. I corsi di studio vanno avanti e le classi persistono, anche se in modo non convenzionale. Le preoccupazioni sorgono piuttosto sul versante emotivo: la generazione Covid sarà in grado di far fronte all’isolamento prolungato? L’insegnamento online prepara efficacemente gli studenti alla vita? Come gli studenti stessi, i processi hanno bisogno di tempo per maturare: solo in un secondo momento potremo rispondere adeguatamente a queste domande.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di novembre/dicembre di eastwest.
La pandemia di Covid-19 ha sconvolto le normali pratiche educative, inaugurando un nuovo formato altamente tecnologico di didattica a distanza e al tempo stesso rispolverando quello ormai obsoleto dell’istruzione domiciliare. L’emanazione di norme sulla frequenza obbligatoria nel XIX e XX secolo, unita al crescente desiderio di un insegnamento formale e istituzionale, ne aveva segnato il declino, ma la pandemia ha fatto sì che tali normative ed esigenze passassero in secondo piano. Le comunità internazionali hanno portato avanti la propria vita tra le mura di casa; sia le scuole che i campus universitari si sono svuotati. Il compito di provvedere allo sviluppo intellettuale dei più piccoli è ricaduto soprattutto sulle spalle dei genitori, a loro volta alle prese con gli effetti economici e sociali del lockdown. Allo stesso tempo gli studi universitari venivano trasferiti dalle aule agli schermi pixelati, con un impatto accademico e occupazionale a lungo termine ancora sconosciuto.
La natura devastante e debilitante del Covid-19 lascia poco spazio al dibattito sulla sicurezza nostra e dei nostri figli. Le scuole, e soprattutto i campus universitari, sono spazi intrinsecamente sociali, con alti tassi di contagio. Ma il contagio tra i giovani è mai stato di primaria importanza? Sì e no. Sappiamo che le conseguenze dirette dell’infezione sono generalmente minime nei giovani, ma il costo della trasmissione ai più vulnerabili è elevato. Pertanto il compito di guidare gli studenti nel loro percorso di formazione è passato dalle mani di docenti a quelle dei genitori e sugli schermi dei computer portatili. A questo punto sono sorti molti quesiti: come fare? Cosa insegnare? Chi lo decide? Tutte preoccupazioni legittime e rilevanti. I genitori con figli più piccoli si sono dovuti adoperare per trovare quell’equilibrio, spesso impossibile da raggiungere, tra educare e divertire, tra la scuola e lo svago, impresa particolarmente difficile durante un lockdown. I primi stadi dello sviluppo sono fondamentali e il raggiungimento di esiti positivi può essere oneroso quando l’esperienza educativa è limitata. In questo caso i genitori hanno dovuto fare del loro meglio con quello che avevano a disposizione. Purtroppo, data la difficoltà di monitorare l’istruzione primaria durante la pandemia, le scuole non avranno altra scelta se non quella di ricominciare da dove erano rimaste prima della crisi.
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