Dopo mesi di tensioni e incertezza, ieri Jacob Gedleyihlekisa Zuma, con un discorso televisivo alla nazione ha annunciato le dimissioni con effetto immediato da presidente della Repubblica del Sudafrica. Il 75enne Zuma ha deciso di lasciare l’incarico prima della scadenza dell’ultimatum di 48 ore impostogli martedì scorso dall’African National Congress (Anc), evitando in questo modo di essere impallinato dal Parlamento, che oggi avrebbe votato sulla sua destituzione.
Travolto dalla pressione dei numerosi capi d’accusa di frode e corruzione, l’ormai ex capo di Stato ha ceduto alle pressioni del suo partito, desistendo dalla richiesta di avere almeno tre mesi di tempo prima di dare le sue dimissioni da presidente.
Forse, sulla decisione potrebbe aver anche influito l’irruzione che due giorni fa l’unità speciale della polizia sudafricana Hawks ha effettuato nel mega complesso blindato della famiglia Gupta, nel quartiere dello zoo di Johannesburg. Nel corso dell’operazione uno dei tre fratelli Gupta è finito in manette assieme ad altre due persone, le cui identità non sono state rese note dalla Hawks.
I ricchi uomini d’affari di origine indiana sono al centro di un’indagine, che dal novembre 2016 tenta di far luce su un vasto traffico di influenze e appropriazione indebita di fondi pubblici. Secondo gli inquirenti, fratelli Gupta avrebbero utilizzato la lunga amicizia personale con Zuma per espandere il proprio business in Sudafrica.
Tanto è vero, che pochi mesi fa l’ex presidente è stato formalmente accusato di corruzione in un caso collegato con il potente clan affaristico. Le accuse si basano su uno scambio di oltre centomila email, che lo scorso anno hanno permesso al difensore civico del Sudafrica di istruire un’inchiesta, da cui emergerebbero prove relative al pagamento di tangenti per ottenere appalti governativie riciclaggio di denaro.
Già prima della sua ascesa alla presidenza, avvenuta nel 2009, Zuma era stato accusato di corruzione in una vicenda di compravendita di armi e tra le nuove imputazioni a suo carico, ci sono l’evasione fiscale e l’uso improprio di fondi pubblici con cui avrebbe sontuosamente ristrutturato la sua residenza di campagna nel KwaZulu-Natal. Senza contare, che sotto la sua presidenza il tasso di disoccupazione ha superato il 27% e la corruzione ha divorato il Sudafrica, tanto da indurre molti investitori stranieri a lasciare il Paese.
Il potere di Zuma ha cominciato a vacillare lo scorso dicembre,dopo la sua rimozione dalla guida dell’Anc in favore del vicepresidente Cyril Ramaphosa, uno dei più stretti collaboratori di Nelson Mandela, che aveva incentrato la sua campagna elettorale sulla lotta alla corruzione.
Zuma era diventato effettivamente troppo ingombrante, in vista delle elezioni previste per l’aprile 2019, nelle quali i due principali partiti d’opposizione, la Democratic Alliance e gli Economic Freedom Fighters, approfittando del profondo calo di consensi registrato dall’Anc nei sondaggi vorrebbero ripetere l’exploit ottenuto alle elezioni amministrative dell’agosto 2016.
In quella circostanza i due schieramenti ottennero il controllo delle tre principali città del Paese: Pretoria, Città del Capo e Johannesburg. Oltre alla conquista della simbolica municipalità metropolitana di Nelson Mandela Bay, nella provincia dell’Eastern Cape, dove nacque il padre della nazione Arcobaleno.
Così Ramaphosa, mosso dalla prossima scadenza elettorale e sorretto dall’Anc, ha esercitato tutte le pressioni possibili per spingere Zuma a uscire al più presto di scena.Come previsto dalla Costituzione sudafricana, dal momento che il presidente si è dimesso con effetto immediato, Ramaphosa ha assunto la carica ad interim e adesso il Parlamento ha trenta giorni di tempo per confermarne l’elezione.
Le dimissioni di Zuma segnano la fine di un’era costellata di accuse di frodi, corruzione, divisioni, lotte intestine e scandali pubblici. Tra i tanti nemici che festeggiano la sua dipartita dalla scena politica ci sono anche molti membri dell’Anc, che insieme a lui ha combattuto il dominio delle minoranze bianche. Ma alcuni dei suoi sostenitori all’interno del partito di governo, come Jesse Duarte, non si astengono dal rimarcare che «oggi è un momento molto doloroso per il Sudafrica».
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