L’idea che la guerra sia un fenomeno del passato, che il conflitto nucleare sia impossibile, che l’Occidente sia forza trainante dell’economia mondiale e sede del massimo benessere collettivo…che l’Europa abbia un destino comune…sta tramontando
È un momento particolarmente difficile per l’Occidente. L’improvvisa aggressione russa all’Ucraina, di una virulenza barbara e antica che nessuno dei nostri Stati aveva minimamente previsto, ci ha costretto infatti a rinunciare dalla sera alla mattina a buona parte di quelle certezze che erano il fondamento della nostra civiltà e del nostro modo di vita. È stata così cancellata ineluttabilmente l’idea che la guerra fosse diventata un fenomeno del passato, qualcosa che la storia aveva ormai superato e che non ci avrebbe mai più interessato.
Il conflitto nucleare, considerato sino a ieri come “lo scontro impossibile che rendeva impossibile anche il conflitto possibile”, cioè quello combattuto con armi convenzionali, è ridivenuto in un breve prosieguo di tempo una potenziale realtà con cui occorre ricominciare a fare i conti.
Carenze e fatiche della Nato
La Nato, lo strumento collettivo di difesa su cui contavamo e che avrebbe dovuto esercitare una deterrenza pressoché totale su tutto il resto del mondo, ha rivelato una tale serie di carenze da costringerci a metterci mano subito per evitare che l’Organizzazione finisse con l’essere considerata come la classica “tigre di carta”. Col passare del tempo essa fatica poi sempre di più a mantenere una unitarietà di allineamento dei paesi membri, ufficialmente schierati tutti a fianco dell’Ucraina aggredita ma ciascuno con le proprie riserve e i propri distinguo.
L’impatto negativo della guerra sull’economia mondiale
A complicare le cose poi i sondaggi degli ultimi tempi mostrano chiaramente come l’impatto negativo che lo scontro ha avuto sull’economia di tutto il mondo, e in particolare su quella europea, abbia rapidamente fatto aumentare la percentuale delle nostre opinioni pubbliche stanca di una guerra che almeno in questo settore richiede a tutti noi sacrifici destinati a divenire sempre più pesanti. Senza esagerare, si può infatti valutare come questo conflitto e i problemi di embargo e di rifornimento energetico ad esso connessi abbiano già divorato, fra svalutazione galoppante e crolli delle Borse, una buona fetta della nostra ricchezza. Una situazione che fa decadere un’altra delle certezze fondamentali, vale a dire quella che l’Occidente sarebbe rimasto ancora per lungo tempo la forza trainante dell’economia mondiale e che di conseguenza la popolazione dei nostri paesi fosse destinata a vivere ancora a lungo in un benessere collettivo che non conosceva eguali in altre parti del mondo.Tutto sommato comunque la nostra economia e la nostra società hanno sino ad ora tenuto, anche se vi è da chiedersi con preoccupazione cosa potrebbe succedere il giorno in cui divenisse indispensabile adottare misure più drastiche per far fronte a rischi di coinvolgimento che, benché non se ne parli quasi mai, rimangono costantemente crescenti.
Mosca non ha alcun interesse alla nostra distruzione
In un certo senso, anche se sembra assurdo dirlo, i nostri principali punti di forza in questo momento consistono nel fatto che la Russia sta decisamente peggio di noi per ciò che riguarda tanto la situazione economica − con l’instabilità politica che un’economia malata può comportare − quanto la disponibilità di personale addestrato, materiali e munizionamento. Mosca inoltre non ha alcun interesse reale alla nostra distruzione, proprio come per noi sarebbe follia pensare a una distruzione o implosione della Russia che equivarrebbe all’apertura di un vaso di Pandora in numerosissimi settori, primo fra tutti quello della proliferazione nucleare.
Rimane quindi una speranza, che pur essendo lieve può però concretizzarsi, ed è quella che a breve scadenza divenga possibile − sostanzialmente per stanchezza di tutti i concorrenti − negoziare una tregua destinata a trasformarsi prima o poi in una pace o, se le cose andranno male, a dare vita a una situazione di stallo tipo quella delle due Coree, o del Muro che per tanti anni ha separato le due Germanie.
Gli interessi degli Stati Uniti
Il primo grande interrogativo diviene a questo punto il fatto che gli Stati Uniti siano più o meno d’accordo su una conclusione del genere della vicenda. In fondo, infatti, il conflitto russo ucraino presenta per loro parecchi vantaggi, tenendo impegnata costantemente la Russia, fungendo da deterrente per la Cina, costringendo l’Europa a rimanere dipendente dal legame transatlantico e non toccando in alcuna maniera né il loro territorio né, almeno per ora, le rotte marittime che essi dominano. Anche dal punto di vista economico, poi, la divisione dell’onere che Washington ha fatto fra sé e i suoi alleati non si può definire altro che come una “divisione leonina”. Gli embarghi di vario tipo imposti alla Russia incidono infatti per la maggior parte sugli Stati Europei della Nato e in particolare sui maggiori Stati manifatturieri e dipendenti dalle esportazioni, come la Germania e in seconda linea anche l’Italia.
Onde chiarire meglio l’importanza conferita oltre Oceano a queste misure c’è stato poi il sabotaggio del gasdotto North Stream, che probabilmente gli Usa non hanno attuato personalmente ma di cui certo dovevano avere, disponendo di ben diciassette diverse Agenzie di spionaggio, una preventiva dettagliata conoscenza. Del modo “mercantile” in cui essi intendono sfruttare il conflitto dalla loro posizione predominante sono infine anche un indice preciso i prezzi del petrolio gassificato americano, mantenuto al livello di mercato e non calmierato in alcun modo, nonché la politica aggressiva con cui gli Stati Uniti tentano negli ultimi tempi di convincere grandi ditte europee, fondamentali per la nostra economia, a trasferirsi in Usa per motivi di sicurezza.
È quindi ben difficile che Washington risulti orientata a scadenza relativamente breve verso la chiusura del conflitto russo ucraino. Viene però istintivo a questo punto porsi la seconda delle domande fondamentali, vale a dire come reagirà l’Europa nel suo complesso ad una presa di posizione di tal genere. Di sicuro, gli Stati che un tempo venivano chiamati “La nuova Europa”, i baltici e quasi tutti quelli inquadrati fino al 1989 dal Patto di Varsavia seguiranno Washington. Gli altri diventeranno invece di giorno in giorno più riluttanti ad accettare parole d’ordine non più considerate comuni e, se e quando si presenterà la giusta occasione, finiranno col seguire ciascuno la propria strada.Con buona pace anche dell’ultima delle certezze: quella che prima o poi la nostra Europa sarebbe riuscita a procedere unita verso un destino comune!
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di gennaio/marzo di eastwest
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È un momento particolarmente difficile per l’Occidente. L’improvvisa aggressione russa all’Ucraina, di una virulenza barbara e antica che nessuno dei nostri Stati aveva minimamente previsto, ci ha costretto infatti a rinunciare dalla sera alla mattina a buona parte di quelle certezze che erano il fondamento della nostra civiltà e del nostro modo di vita. È stata così cancellata ineluttabilmente l’idea che la guerra fosse diventata un fenomeno del passato, qualcosa che la storia aveva ormai superato e che non ci avrebbe mai più interessato.
Il conflitto nucleare, considerato sino a ieri come “lo scontro impossibile che rendeva impossibile anche il conflitto possibile”, cioè quello combattuto con armi convenzionali, è ridivenuto in un breve prosieguo di tempo una potenziale realtà con cui occorre ricominciare a fare i conti.