L’incontro della scorsa settimana tra Shinzo Abe e Donald Trump doveva porre le basi per un proficuo rapporto di fiducia. Ma l’annuncio del programma dei 100 giorni del futuro presidente Usa ha sparigliato, ancora, le carte. Con possibili conseguenze politiche interne a Tokyo.
Una stretta di mano tra sorrisi e sguardi amichevoli. Il meeting tra Shinzo Abe e Donald Trump alla Trump Tower dello scorso 17 novembre ha fatto molto discutere — modalità insolite, accesso negato alla stampa, immagini diffuse solo da canali diplomatici giapponesi — ma consegnato alle cronache un certo ottimismo. Missione compiuta: il governo giapponese, così spaventato dagli annunci di Trump in campagna elettorale, è riuscito a domare «The Donald» e porre le basi di un rapporto di fiducia reciproca. Abe ha anche regalato al futuro inquilino della Casa Bianca una mazza da golf dorata «made in Japan» — anche se l’azienda è di proprietà cinese da anni! — per ingraziarsi Trump.
In poche ore, però, parte di quell’ottimismo è andato sgretolandosi. Mentre il capo del governo di Tokyo era impegnato al vertice Apec, Trump annunciava il proprio «programma dei cento giorni» via web.
Tra i punti fondamentali il ritiro dalla Trans-Pacific Partnership (l’accordo di libero scambio tra 12 paesi del bacino del Pacifico), secondo Trump, un «potenziale disastro per l’economia» Usa.
TPP, tutto da rifare?
Per il governo Abe la (probabile) fine del Tpp — è un colpo duro da incassare. L’accordo è stato dal 2013 parte integrante della strategia di ripresa economica — abenomics — del paese del Sol Levante, fondata anche su una decisa ripresa dell’export. Negli ultimi anni studi delle principali istituzioni finanziarie internazionali (Fmi e Banca mondiale) hanno sottolineato l’impatto positivo sulla crescita economica e sui redditi dei lavoratori giapponesi — secondo stime di luglio 2015 del Fmi, tra 0,2 e 0,3 punti percentuali, tra il 2 e il 4 per cento su un periodo di 10 anni.
L’annuncio ha chiaramente preso in contropiede l’amministrazione giapponese. Il primo a reagire alle parole di Trump è stato proprio Abe. «Un Tpp senza gli Stati Uniti non ha senso, e fa crollare ogni possibile beneficio per i paesi firmatari», ha dichiarato il premier giapponese dal vertice di Lima. Secondo quanto scritto dall’Huffington Post edizione giapponese, la reazione di Abe è stata un po’ quella di chi ha iniziato a salire una scala a pioli e un minuto dopo si ritrova senza più appoggi perché qualcuno da sotto gliel’ha sfilata. Altri esponenti del governo hanno mostrato un atteggiamento attendista. Il ministro degli Esteri Fumio Kishida ha invitato tutti ad aspettare l’insediamento di gennaio per vedere cosa la sua amministrazione potrà fare all’atto pratico. Infatti, «Il presidente eletto Trump — ha spiegato Kishida — anche in campagna elettorale ha fatto tanti annunci…». Il capo portavoce del governo, Yoshihide Suga, ha invece confidato nelle ultime settimane dell’amministrazione Obama per la ratifica del trattato.
Le conseguenze interne
Una prospettiva improbabile, dato che lo stesso Obama ha rimandato la decisione al suo successore. Appena l’11 novembre scorso la camera bassa del parlamento aveva ratificato il Tpp, ma per un’entrata in vigore del trattato serve l’approvazione dei parlamenti nazionali dei 6 paesi che costituiscono l’85 per cento del Pil del totale dei firmatari del Tpp — solo gli Usa valgono circa il 60 per cento.
Per questo, meno moderate sono state invece le parole di Shinjiro Koizumi, altro esponente di punta del partito che in Giappone detiene la maggioranza parlamentare — il Partito liberaldemocratico (Ldp) — e responsabile delle politiche agricole dello stesso. A stretto giro dalle affermazioni di Trump, Koizumi ha dichiarato che «Il Tpp è finito». Parole che prendono atto della decisione di Washington e strizzano un occhio alle associazioni di coltivatori — uno dei maggiori bacini di voti per l’Ldp. Koizumi è figlio dell’ex primo ministro Junichiro, colui che ha «lanciato» politicamente lo stesso Abe, ed è, secondo la stampa locale, tra i papabili, sulle orme del padre, per un futuro ruolo di leadership nel partito e nel paese. Tendendo la mano a chi in questi ultimi anni ha protestato contro un governo promotore di un accordo commerciale che rischiava di mettere fine al regime protezionistico sui prodotti agroalimentari giapponesi ha smentito la versione ufficiale del governo. Non è chiaro se l’abbia fatto per il suo partito o per sé stesso. L’endorsement delle associazioni di agricoltori potrebbe essere decisivo per lui. Infatti, come ricordava Bloomberg, in Giappone, oggi, il voto di un singolo agricoltore vale quanto quello di decine di cittadini.
@Ondariva
L’incontro della scorsa settimana tra Shinzo Abe e Donald Trump doveva porre le basi per un proficuo rapporto di fiducia. Ma l’annuncio del programma dei 100 giorni del futuro presidente Usa ha sparigliato, ancora, le carte. Con possibili conseguenze politiche interne a Tokyo.