Settimane di fuoco per i Governi di Aleksandar Vucic, Milo Djukanovic e Edi Rama
Richieste di maggiore libertà d’espressione e accuse di corruzione verso i leader hanno portato in piazza i sostenitori delle opposizioni ai Governi di Serbia, Montenegro e Albania. I tre Paesi vivono l’ennesimo momento critico della loro storia, che nel recente passato ha visto guerre, violenze tra le varie etnie e una rinnovata indipendenza.
A Belgrado, in Serbia, il Presidente Aleksandar Vucic è accusato dai manifestanti di controllare i media, con la tv pubblica Rts nel mirino delle proteste. Lo scorso sabato un’irruzione dentro i locali di Rts ha portato all’arresto di una decina di manifestanti, che ormai protestano dall’8 dicembre ogni fine settimana. Vucic è il leader del Partito Progressista Serbo, compagine nazionalista e conservatrice con forti relazioni con la Russia. A inizio anno Vladimir Putin si è recato in visita a Belgrado dove una folla di 120 mila persone ha accolto il Presidente russo, in quello che è sembrato essere un ulteriore rafforzamento dell’asse con Mosca. Recentemente Vucic ha ricordato «l’aggressione della Nato di 20 anni fa, crimine contro un Paese sovrano. La Serbia e il suo popolo» — ha proseguito il Presidente serbo — «anche oggi non si sentono sconfitti», ribadendo che Belgrado non intende aderire al Patto Atlantico. Vucic ha iniziato la sua carriera politica come ultranazionalista, divenendo nel 1998 e fino al 2000 Ministro dell’Informazione di Slobodan Milosevic.
Milo Djukanovic, Presidente del Montenegro, governa il Paese dei Balcani dagli anni ’90, ricoprendo a fasi alterne il ruolo attuale o quello di Primo Ministro. È stato a capo del Governo per quattro mandati: dal 1991 al 1998, dal 2003 al 2006, dal 2008 al 2010, dal 2012 al 2016. Con un patrimonio personale stimato attorno ai 10 milioni di dollari e diversi scandali sul groppone, le manifestazioni di Podgorica — arrivate ormai a cinque nelle ultime settimane — contro lo statista montenegrino sono state organizzate senza l’aiuto dell’opposizione, che ha addirittura preso le distanze dalle proteste. Il Montenegro è in rotta di collisione con la Russia e il recente ingresso del Paese — il ventinovesimo — nella Nato nel 2017 ha ulteriormente esasperato i rapporti.
Le proteste continuano anche in Albania, con l’Ambasciata degli Stati Uniti e la delegazione dell’Unione Europea intervenute nel chiedere la calma e di evitare atti di violenza. «Le manifestazioni pacifiche sono un pilastro fondamentale della democrazia ma la distruzione di proprietà pubbliche e gli atti di violenza sono contro la legge», sottolinea l’Ambasciata Usa di Tirana. La rappresentanza Ue nel Paese auspica, tramite una dichiarazione, che «i leader dei partiti mostrino responsabilità ed evitino l’escalation delle proteste». Edi Rama è accusato dai manifestanti di corruzione, con Lulzim Basha, capo del Partito Democratico di centrodestra all’opposizione, alla guida della protesta. Migliaia di persone sono scese in piazza, manifestando davanti al Parlamento albanese con alcuni manifestanti che sabato sono riusciti a superare le barricate della polizia e a entrare nel palazzo dell’Assemblea del Popolo.
@melonimatteo