Per l’Europa e la Russia questo è un conflitto di enorme e centrale importanza che determinerà il futuro della sicurezza del continente ma in ballo c’è anche il prossimo governo del sistema internazionale
La guerra in Ucraina dura già da oltre un anno e non abbiamo ancora idea di quando o come avrà fine. Tutto è possibile, dal crollo della resistenza ucraina di fronte all’intensificarsi dell’aggressione russa, alla rotta dell’esercito invasore di fronte a una vittoriosa controffensiva dell’Ucraina, con tutte le possibilità intermedie: il congelamento del conflitto lungo una linea di cessate il fuoco, la continuazione a più bassa intensità della guerra con livelli alterni di violenza, sino agli scenari più preoccupanti quali l’allargarsi della guerra ad altri stati, il coinvolgimento diretto della Nato nei combattimenti, l’eventuale ingresso in campo della Cina, persino l’escalation nucleare. Tutto questo dipenderà in gran misura da fattori imponderabili quali la capacità di resistenza e sacrificio degli ucraini, la tenuta del regime di Vladimir Putin o, se del caso, l’orientamento del suo successore, la saldezza del fronte alleato che sostiene l’Ucraina nella resistenza all’aggressione. Né vogliamo escludere la possibilità, oggi lontana e improbabile, di negoziati e di un accordo di pace.
Ma al di là dell’andamento della guerra, è bene cercare di comprendere meglio il contesto in cui questo conflitto si sviluppa e ciò che esso ci rivela sul mutare degli equilibri globali e sul futuro della nostra sicurezza. Più in generale, su quale sarà il prossimo governo del sistema internazionale.
Per l’Europa e per la Russia questo è un conflitto di enorme e centrale importanza che determinerà il futuro della sicurezza del continente: già ora esso ha spinto la Russia sempre più verso oriente, allargando a dismisura la sua divisione con il resto dell’Europa sino a rescindere quasi tutti i legami economici reciproci. Ma per il resto del mondo questa è una guerra molto più marginale. Essa è vista più che altro come un ostacolo che rallenta in modo significativo la crescita economica e il consolidamento di nuovi equilibri.
Non è un caso se molti grandi paesi del Sud del mondo hanno assunto atteggiamenti sorprendentemente freddi e distanti, di fronte alla violazione da parte di Mosca di principi base della convivenza internazionale come il rispetto della sovranità nazionale e dei trattati sottoscritti, né che alcuni abbiano scelto di mantenere posizioni ambigue, di condanna formale e di sostanziale mantenimento di buoni rapporti con la Russia. Per essi il problema non è la Russia, ma piuttosto il futuro dell’equilibrio tra Stati Uniti e Cina: chi definirà le regole del nuovo sistema internazionale e ne garantirà il buon funzionamento, come, con quali priorità e grazie a quali alleati.
Il conflitto in Ucraina rimette l’Europa al centro dell’attenzione, ma più come oggetto che come soggetto di politica, anche se la fermezza della posizione europea in appoggio all’Ucraina e contro la Russia ha sorpreso molti osservatori, a cominciare da Mosca e Pechino. L’Europa è consapevole che si sta giocando il proprio futuro, ma non ha tutti gli strumenti che le sarebbero necessari per agire da primo protagonista, in particolare quelli della forza militare e della capacità di leadership politica, per cui dipende in grande misura dalle scelte americane.
Gli Stati Uniti sono anch’essi perfettamente consapevoli della sfida globale che debbono affrontare e hanno identificato la Cina e la Russia (quest’ultima in funzione secondaria e di supporto della prima) come gli avversari contro i quali è necessario consolidare un’alleanza più stretta possibile, oggi per far fronte all’aggressione russa, domani forse per bloccare la Cina nei confronti di Taiwan, e comunque per assicurarsi la guida del sistema internazionale.
Ma la situazione attuale lascia scoperte molte altre regioni di grande importanza, da dove gli Stati Uniti in questi anni si sono in parte ritirati o hanno visto ridursi la loro influenza, a cominciare dal Medio Oriente (e dall’Afghanistan, come anni prima dall’Iran) e poi anche in Africa. Ciò ha aperto grandi spazi di iniziativa per tutta una serie di medie potenze regionali che vedono l’occasione di guadagnare maggiore influenza sui loro vicini e di assumere maggiore rilievo politico ed economico globale.
Paesi come Israele, la Turchia, l’Arabia Saudita, l’Iran, ma anche gli Emirati del Golfo, sono ormai attori internazionali di grande rilievo per il futuro del Medio Oriente e in qualche caso anche del Nord Africa, dove bisogna considerare anche il ruolo assunto dall’Egitto, dal Marocco e dall’Algeria. Questi paesi non solo interagiscono tra loro con accordi a volte sorprendenti e spesso variabili, ma hanno anche molto sviluppato negli anni recenti i loro legami con la Russia e con la Cina, che mirano a spodestare gli Stati Uniti dal loro ruolo tradizionale di maggior referente politico, economico e militare della regione. Il recente coinvolgimento della Cina (favorita dall’appoggio della Russia) nelle relazioni tra Iran, Arabia Saudita e Iraq è un segnale di ciò che potrebbe avvenire più spesso nel prossimo futuro.
In tal modo il quadro complessivo di sicurezza dell’Europa si complica enormemente. Così, ad esempio, il confronto con la Russia non riguarda più solo le frontiere orientali e settentrionali dell’Europa, ma si estende al Mediterraneo allargato, al Medio Oriente e all’Africa. Né dovremmo dimenticarci delle ambizioni “balcaniche” sempre presenti al Cremlino e che oggi potrebbero passare per la Moldavia e la Serbia.
In altri termini è l’intero arco delle frontiere marittime e terrestri europee, dall’estremo nord sino a tutta la costa del Nord Africa, che diventa una zona sensibile, da tenere sotto controllo e dove si gioca una difficile partita per assicurarsi la maggiore influenza politica e il maggior ruolo economico.
Né l’Europa potrà limitarsi a controllare, nel miglior modo possibile, il suo vicinato, per quanto complesso e impegnativo esso sia. La dimensione globale della nuova competizione tra le maggiori potenze ha già costretto l’Europa a un riesame dei suoi rapporti industriali, tecnologici e commerciali con la Cina, nell’ottica, inizialmente del tutto ignorata, della sicurezza, anche a scapito della convenienza economica. Il processo è per ora solo agli inizi, ma è destinato ad approfondirsi. Questa stessa logica ci spinge anche a ispessire il nostro rapporto con paesi quali il Giappone o la Corea del Sud, che un tempo erano visti solo come partner economici, ma ora divengono parti importanti di un nuovo equilibrio di sicurezza internazionale. Benché il ruolo europeo nel Pacifico e nella regione dell’Oceano Indiano non possa che essere limitato, esso è tutt’altro che irrilevante ed è comunque reso necessario dalla prospettiva di crescenti rapporti con potenze quali l’India o l’Indonesia.
Quando Putin ha iniziato la sua aggressione all’Ucraina, oltre a voler rilanciare il ruolo imperiale della Russia, ribaltando almeno in parte le conseguenze della dissoluzione dell’Urss, egli aveva probabilmente anche l’obiettivo di rafforzare il suo regime grazie a un risveglio nazionalista e allo sfruttamento dell’emergenza militare per sopprimere del tutto le forze dell’opposizione interna. Quest’ultimo obiettivo è stato probabilmente raggiunto, ma il suo mantenimento è legato alla necessità di evitare umilianti cedimenti e sconfitte che ne ridicolizzino la sostanza.
Per questa ragione, se l’aggressione all’Ucraina non dovesse dare i risultati sperati dal Cremlino, è molto probabile che Mosca accentuerà il suo attivismo su altri scacchieri, come appunto quelli africani e mediorientali, sia per distrarre la sua opinione pubblica, sia per creare difficoltà alla alleanza occidentale, cercando di spingerla a investire altrove parte almeno delle sue risorse, disperdendone l’efficacia e indebolendo il fronte principale in Ucraina.
Un simile disegno sembra essere del tutto coerente con le priorità di Pechino, che vuole in ogni modo indebolire quel grande semicerchio di contenimento delle sue ambizioni globali che gli Usa hanno costruito nel Pacifico, con le loro basi militari avanzate e con le loro alleanze con la Corea del Sud, il Giappone, Taiwan, l’Australia, l’India, ma anche le Filippine, il Vietnam e altri paesi che guardano con preoccupazione all’espansione cinese, non più solo commerciale, ma con forti caratteristiche imperiali. Pechino, per questa ragione, non ha grande interesse a ricercare una riduzione delle tensioni nelle regioni di più immediato interesse dell’Europa. La Cina non vuole liberare risorse che potrebbero andare a rafforzare i suoi avversari.
Certo, la Cina non vuole neanche che l’avventurismo russo superi soglie quali quella nucleare o comunque tali da scatenare una guerra generale dove la Cina sarebbe costretta a dedicare le sue preziose risorse all’aiuto della Russia, con il rischio di perdere tutto. Ma essa rimane interessata a sostenere conflitti più circoscritti, di bassa o media intensità, che ostacolino il rafforzamento degli Usa e dei loro alleati ai suoi confini.
È un gioco difficile e pericoloso, che potrebbe anche sfuggire di mano agli apprendisti stregoni, con conseguenze che non vogliamo immaginare. Ma sia Putin che XI Jinping sembrano convinti di poterlo giocare ancora a lungo.
Siamo dunque di fronte a un quadro conflittuale complessivo che parte dall’Ucraina ma si allarga molto al di là, a una dimensione globale. Partecipiamo a una sorta di conflitto mondiale combattuto a pezzi e bocconi e a livelli di intensità relativamente bassi, frammentato in campi di battaglia lontani tra loro e almeno apparentemente scollegati l’uno dall’altro. Nessuno ha interesse a ricollegare tra loro tutti questi scampoli di guerra, per non correre il rischio che lo scontro arrivi bruscamente a essere incontrollabile. Ma nessuno ha realmente il controllo della situazione, che potrebbe facilmente divenire incendiaria sui più diversi fronti, magari anche per iniziativa di singole potenze regionali: pensiamo ad esempio a uno scontro diretto tra Israele e Iran che vada oltre il semplice colpo di mano e si allarghi agli altri attori dell’area. Le grandi potenze potrebbero non essere più in grado di controllare gli attori locali e trovarsi imprigionate nel loro stesso gioco di reciproca contrapposizione sino ad allargare lo scontro al resto del mondo invece di moderarlo.
Ma infine, anche senza perdersi nell’infinito numero dei possibili scenari futuri, una delle più gravi conseguenze della guerra in Ucraina è senza dubbio la messa in mora di tutto il quadro degli accordi internazionali stretti negli ultimi settant’anni per moderare la guerra, controllare gli armamenti, accrescere la reciproca trasparenza e le comunicazioni tra avversari. Trattati centrali per il futuro della sicurezza globale, come quello per la non proliferazione delle armi nucleari, sono oggi fortemente indeboliti, perché uno dei paesi che doveva garantirne il rispetto lo ha invece violato nel modo peggiore. La violazione delle regole di comportamento stabilite in comune è un danno irreparabile. La loro riformulazione è necessaria e urgente, ma è anche impossibile senza una reciproca fiducia e rispetto.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di aprile/giugno di eastwest
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Ma al di là dell’andamento della guerra, è bene cercare di comprendere meglio il contesto in cui questo conflitto si sviluppa e ciò che esso ci rivela sul mutare degli equilibri globali e sul futuro della nostra sicurezza. Più in generale, su quale sarà il prossimo governo del sistema internazionale.