A prima vista sembra lo scontro diretto tra Mosca e Kiev per la sovranità delle regioni di confine, ma la vera posta in gioco è la definizione di un nuovo ordine mondiale, molto diverso da quello instaurato dopo la Seconda guerra mondiale
Da più di un anno ormai l’Ucraina è giustamente al centro dell’attenzione e delle preoccupazioni di tutto il mondo. Anche se a prima vista la guerra fra Mosca e Kiev è soltanto uno scontro diretto fra due Paesi mirato a definire con precisione la sovranità dell’uno o dell’altro su alcune regioni di confine, la vera posta in gioco appare infatti in realtà molto più alta, concretizzandosi nella definizione di un nuovo ordine mondiale in cui l’equilibrio delle potenze sarà ben diverso da quello che ci aveva accompagnato dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Alle spalle della proxy war in corso si intravede così con chiarezza il continuo mutare dei rapporti e del peso relativo di quelli che attualmente sono ancora i tre maggiori paesi del mondo. In primo luogo gli Stati Uniti, che con il continuo appoggio al fronte ucraino, il riallineamento in parte spontaneo e in parte forzato degli alleati europei e la razionalizzazione della Nato mirano a mantenere vivo e rispondente a una concreta realtà quel mantra della “America first ” che è divenuto da tempo – sia pure sotto forme diverse – la parola d’ordine, e l’ossessione, di tutte le più recenti Amministrazioni americane.
Agli Stati Uniti si contrappongono poi, in maniera nettamente diversa e con scadenze temporali che appaiono anche esse differenti, tanto la Russia quanto la Cina. Nella prima, il Presidente Putin parla di come nessuno possa attentare al “diritto” della sua patria di rimanere una grande potenza nelle tradizionali aree di influenza. Se c’è qualche cosa da notare in questo messaggio, potenziato nel corso dell’ultimo anno dalla disponibilità a usare le armi per imporne la sostanza, si tratta del fatto che esso è in fondo eguale a quello americano. Nessuna delle due grandi potenze della Guerra fredda accetta infatti l’idea che, col mutare dei tempi e delle situazioni, la ricerca di un nuovo equilibrio delle forze sia in fondo qualche cosa di inevitabile, talmente naturale da doverla accogliere con la medesima serenità con cui dalla fine della Seconda guerra mondiale in poi l’Europa ha accettato il proprio storico declino.
Agli Stati Uniti e alla Russia si contrappone infine una Cina che, con una visione ben diversa, si è progressivamente affermata come il capofila di tutti coloro in cui la crescita dei decenni o degli anni più recenti alimenta speranze di poter presto ricoprire ruoli di ben più alto livello. Non si parla qui, come avviene per i campioni ancora a fatica in carica, di stabilità nella conservazione, bensì di crescita e di conquista. La Cina è soltanto il capofila, che con una certa arroganza arriva anche a fissare e a rendere pubbliche le date in cui dovrebbero avvenire i sorpassi in alcuni settori, ma dietro di lei la lista degli aspiranti è lunga.
Inizia con l’India e con la Turchia, ma si potrebbero citare senza fatica parecchi altri nomi. Da un lato quindi vi è la lotta per una stabilità che si cerca di imporre in ogni modo a tutti gli altri. Dall’altro invece una spinta al cambiamento che si è già concretizzata in una pericolosa tensione fra Usa e Cina e che potrebbe domani, allorché la momentanea convergenza di interessi sarà terminata, tradursi anche in una rivalità di qualche tipo fra Cina e Russia. Non dimentichiamoci come l’unica reale possibilità di espansione terrestre di Pechino sia proprio in direzione della Siberia!
Stiamo assistendo dunque non a una guerra classica contenuta entro quella frontiera territoriale dell’Ucraina ove in questo momento parlano le armi, ma piuttosto a un confronto ibrido che investe tutte le aree ove i mega protagonisti in confronto esercitano comunque una qualche influenza. In pratica a uno scontro esteso a tutto il mondo. Si tratta di una considerazione che ci porta a sottolineare come a questo punto risulti deviante ed erroneo mantenere la nostra attenzione concentrata unicamente su quanto avviene entro i confini ucraini. Rischiamo infatti in tal modo di trascurare avvenimenti che hanno luogo in altre aree ma che sono così intimamente legati al mutamento di equilibri in corso da finire col risultare strettamente connessi anche allo scontro armato in atto, e tali da poterne magari influenzare persino il risultato.
Delle tre potenze in contrasto è indubbiamente la Russia ad apparire come quella che ha meglio compreso questo aspetto della situazione. Lo ha compreso e cerca di sfruttarlo, muovendosi in maniera tale da creare situazioni che, anche se non nell’immediato, possano darle in futuro la possibilità di porre i suoi avversari di fronte a nuovi focolai di crisi potenzialmente pericolosi. È un’azione che trova soprattutto nei Balcani, nel Mediterraneo allargato e nell’Africa tutta i propri teatri di azione. Si tratta quindi di aree di precipuo interesse europeo, considerato come, da tempo, a seguito dello spostamento delle loro principali preoccupazioni dall’Atlantico al Pacifico, gli Stati Uniti abbiano delegato ai loro alleati d’oltreoceano la responsabilità del controllo locale. Nei Balcani, così, l’appoggio russo ai cugini serbi rinfocola le speranze di Belgrado relative al recupero della zona di Kossovska Mitrovitza, mantenendo viva una tensione che prima o poi costringerà la Nato ad aumentare la propria presenza nell’area sottraendo risorse al suo schieramento di Nord Est.
Nel mar Mediterraneo poi la presenza di Mosca è sempre più forte e invasiva, come hanno evidenziato i quasi scontri con la nostra Marina all’ingresso dell’Adriatico. Dalla Cirenaica libica, controllata anche dalla Wagner di obbedienza russa, partono nel frattempo in direzione delle coste italiane flussi di profughi che potrebbero prima o poi raggiungere dimensioni tali da configurarsi come destabilizzanti, assumendo di conseguenza la natura di un vero e proprio episodio di guerra ibrida.
Nell’area più a Sud, i paesi sahelici e del Golfo di Guinea finiscono col ricorrere l’uno dopo l’altro ai mercenari di Mosca per garantire la sopravvivenza dei propri dittatori di turno. Ve ne sono già 15 di Stati in queste condizioni e la Marina Russa sta nel frattempo lavorando per completare una propria base a Port Sudan, cioè in una località ideale per controllare da sud l’accesso al canale di Suez. Su tutto questo pende poi l’interrogativo che riguarda una eventuale e segreta spartizione concordata del continente africano fra Russia e Cina, tale da riservare alla prima la funzione di una presenza armata di sicurezza, mentre assegna alla seconda un compito di penetrazione commerciale.
Di fronte a tutto questo l’Occidente è stato sino ad ora completamente inerte o ha addirittura reagito negativamente. Di recente la Francia ha ritirato le sue truppe da molti dei paesi della comunità francofona africana. “Afrique, adieu!”, titolava malinconicamente una rivista francese, pochi giorni fa. Quanto agli americani, il loro disinteresse è chiaramente dimostrato dal fatto che il Comando strategico statunitense per l’Africa continua a rimanere a Stoccarda, nel cuore della Germania.
Mantenendo la nostra attenzione concentrata unicamente sull’Ucraina stiamo quindi rischiando di ritrovarci domani confrontati da una serie di altri ostacoli che chi è stato più previdente di noi ha avuto tutto il tempo e l’agio di potenziare. Vogliamo capirlo, renderci conto di quale sia il vero quadro d’insieme, e reagire di conseguenza prima che sia troppo tardi?
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di aprile/giugno di eastwest
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