L’Fsb ha aperto una procedura contro la società di messaggistica criptata Telegram per non aver fornito le chiavi per leggere i messaggi degli utenti. Ennesimo colpo nei confronti di Pavel Durov, lo Zuckerberg russo e conferma della svolta censoria della Russia sul web dopo anni di laissez-faire.
È stato lo stesso Pavel Durov, lo “Zuckerberg russo”, fondatore del social network Vkontakte e di Telegram, a postare sulla sua pagina social gli atti che l’Fsb ha inviato alla sede londinese della società. Il massimo organo di sicurezza della Federazione vuole “ogni informazione necessaria a decodificare tutti i messaggi ricevuti, trasmessi, consegnati e comunque processati” dall’app di messaggistica istantanea più sicura al mondo. In una parola, i servizi segreti vogliono le chiavi di Telegram.
«Oggi l’Iran è ufficialmente uscito dalla lista dei Paesi che posso visitare. La procura di Teheran ha avviato un’indagine penale su di me», ha scritto Durov. «La Russia sembra abbia fretta di aggiungersi all’Iran. L’Fsb ha aperto una procedura per violazione di una legge anticostituzionale».
L’app preferita dai jihadisti
Telegram è usato da 10 milioni di persone in Russia e più di 100 milioni nel mondo. È l’app di messaggistica istantanea preferita da giornalisti che operano in Paesi illiberali, dissidenti e attivisti che vivono in regimi totalitari, jihadisti dello Stato islamico e da tutti quelli che semplicemente non vogliono che le proprie conversazioni finiscano in mani altrui, compresi i governi. Il suo sistema di crittografia end-to-end usato nelle cosiddette chat segrete è ritenuto uno dei più solidi esistenti. A prova di Fsb, come sembra dimostrare la richiesta inviata a Durov.
Quella cui fanno riferimento i servizi del Cremlino è la famigerata legge Yarovaja, varata poco più di un anno fa. Una norma ritenuta liberticida dalle organizzazioni internazionali, perché obbliga i provider telefonici e internet a conservare per sei mesi tutte le telefonate, i dati, i messaggi e le immagini scambiate e per ben tre anni tutti i metadati. L’obbligo si estende anche ai servizi di messaggistica online che, se usano crittografia, sono costretti a fornire le chiavi d’accesso. Una legge così invasiva che è da molti ritenuta anche inapplicabile. Edward Snowden ha stimato il costo delle infrastrutture per conservare i dati in 33 miliardi di dollari.
Una legge che ha aperto il nuovo corso della censura russa del web e che potrebbe non essere l’ultima.
Gli occhi del Cremlino sul web
L’approccio del Cremlino verso il web si era contraddistinto finora per una buona dose di laissez faire. Niente censura in stile iraniano, niente firewall sul modello cinese. Ma le cose hanno cominciato a cambiare.
Lo stesso Pavel Durov è da tempo nel mirino dei servizi segreti russi. L’altra sua creatura, Vkontakte, il “facebook russo”, lo ha reso miliardario ma ha anche fatto di lui l’ennesimo esiliato d’oro. Durov disse addio alla sua creatura nel 2014, sempre con un messaggio sul suo profilo. “La libertà del direttore generale per la gestione della società è diminuita notevolmente negli ultimi tempi. Sono grato a tutti gli utenti che mi hanno sostenuto e mi hanno ispirato nel corso degli ultimi sette anni. Continuerò a partecipare al futuro di VKontakte come co-fondatore, ma non ho alcun interesse in qualsiasi ruolo direttivo, data la nuova situazione. Mi dimetto come direttore generale di VKontakte”, aveva scritto.
La decisione di Durov arrivò dopo un anno di tensioni con gli altri azionisti della società, che ha un valore stimato di oltre tre miliardi di dollari. Le cose erano cambiate quando il gruppo di investimento Unite Capital Partners aveva acquistato il 48% della società alcuni mesi prima. L’UCP è un fondo guidato da Ilja Sherbovich, personaggio molto vicino al presidente Putin e membro del consiglio di amministrazione della società petrolifera statale Rosneft. Dopo due mesi, Durov stesso cedette il suo 12% all’amministratore delegato della società di telefonia mobile Megafon, di proprietà dell’oligarca Alysher Usmanov, l’uomo più ricco della Russia. Inoltre, Durov denunciò forti pressioni per chiudere le pagine relative agli attivisti ucraini di Euromaidan e al leader dell’opposizione russa, Alexei Navalny.
Durov fuggì all’estero, lasciandosi dietro un’aura di mistero, prima di comprarsi per 250mila dollari un passaporto di Saint Kitts e Nevis. Fu allora che diede vita al Telegram, un’app innovativa che sembrò subito nata proprio come riposta ai ficcanaso dell’Fsb. Che ora l’hanno presa di mira anche dall’altra parte dell’Atlantico.
@daniloeliatweet