Il campo profughi di Yarmuk, “capitale” della diaspora palestinese, città nella città a Damasco, da anni soffre per gli scontri tra truppe lealiste del dittatore siriano Bashar al Assad – fiancheggiate da alcuni gruppi armati palestinesi – e miliziani palestinesi di Hamas filo-ribelli.
Tuttavia, pur provata – nelle parole del corrispondente Ansa, Lorenzo Trombetta – da un “assedio medievale” di Damasco dal 2013, con morti di fame e di stenti, fino all’arrivo dell’Isis questo inizio aprile non aveva ancora dovuto sopportare una simile esplosione di violenza: oltre mille morti in pochi giorni, secondo quanto denunciato dal deputato arabo-israeliano Ahmed Tibi, molti i bambini. E molti di più rischiano di morire nell’immediato futuro. L’Unicef l’ha ribattezzata una “nuova Srebrenica”, la cittadina bosniaca teatro di un orribile genocidio nel 1995.
Andando oltre l’immane tragedia umanitaria, i recenti sviluppi a Yarmuk sono tuttavia anche indicativi di un’evoluzione in corso nello scenario medio-orientale che segna un altro punto – in attesa si concretizzi definitivamente la trattaiva sul nucleare – a favore dell’Iran.
Le fazioni palestinesi – quelle “laiche” rimaste fedeli ad Assad e quelle filo-islamiche, riconducibili ad Hamas – avrebbero infatti smesso di farsi guerra tra di loro e, anzi, starebbero combattendo insieme ai lealisti del regime siriano (alleato di ferro di Teheran) contro gli uomini in nero del Califfato. Questi ultimi pare siano riusciti a prendere il controllo di vaste aree del campo profughi grazie all’alleanza col gruppo qaedista di Jabaht Al Nousra (sembra sostenuto indirettamente dalle monarchie arabe del Golfo), diventato popolare anche tra i palestinesi negli ultimi anni di guerra civile siriana.
Questo riposizionamento di Hamas, oltre a rispondere a un’esigenza “militare” del momento, sarebbe anche politico. “Sullo sfondo – riporta sempre Trombetta, citando fonti locali e di intelligence – c’è stato il riavvicinamento tra la leadership in esilio di Hamas, guidata da Khaled Meshaal, e l’Iran, principale sponsor di Damasco. Il recente incontro a Doha, in Qatar, del presidente del parlamento iraniano Ali Larijani con Meshaal ha segnato una svolta nel disgelo tra Hamas e l’asse Damasco-Teheran“.
Non è un caso dunque che le “barrel bomb”, ordigni primitivi ma devastanti utilizzati dall’aviazione del regime siriano, negli ultimi giorni stiano colpendo solo le postazioni dell’Isis e di Al Nusra, senza sfiorare quelle delle fazioni palestinesi “nemiche” fino a poco tempo fa.
Hamas, forza sunnita, vicina alla Fratellanza Musulmana e simbolo – presso molte opinioni pubbliche islamiche – della resistenza a Israele, sarebbe una pedina preziosa nelle mani dell’Iran, capofila dell’asse sciita, in un momento di scontro col mondo sunnita. “Si tratterebbe di un ritorno all’antico”, spiega Mattia Toaldo, analista dell’European Council on Foreign Relations ed esperto di politica palestinese. “Fino allo scoppio della guerra civile in Siria, Hamas era molto vicina al regime di Assad. I suoi uffici addirittura erano ospitati a Damasco. Poi, con lo scoppio della Primavera araba, Hamas si è progressivamente allontanata da Assad – per l’imbarazzo causato dalle stragi di sunniti ad opera del regime e per le pressioni dei suoi sponsor internazionali, il Qatar e l’Egitto guidato all’epoca da Morsi – fino a diventarne nemica. Poi in Egitto c’è stato il colpo di Stato e Hamas ha perso la sua sponda politica ed economica più importante. Di recente, a inizio anno, anche il Qatar è stato “riportato nei ranghi” dall’Arabia Saudita – altra potenza ostile alla Fratellanza Musulmana – e Hamas si è trovata isolata e senza soldi. Ora potrebbe tornare tra le braccia dell’Iran, a ricreare quell’asse con l’Hezbollah libanese e il regime di Assad in Siria che aveva retto fino allo scoppio della Primavera araba”.
Questa inedita alleanza sunniti-sciiti in funzione anti-Isis è comunque figlia della particolarità della situazione palestinese e difficilmente sarà replicabile altrove.
“Non credo sia possibile che le forze sunnite sostenute dai Sauditi – ad esempio in Siria il Free Syrian Army – possano stipulare alcuna collaborazione con le forze sostenute dall’Iran” spiega ancora Toaldo. “Anche vista la mai così marcata vicinanza tra Sauditi e Israele in questo momento storico. La prima vittima, anzi, di questa mossa di Hamas rischia di essere proprio la causa palestinese. Al Fatah – il partito di governo di Abu Mazen – è sostenuta in modo determinante da Riad. Ora che Hamas sembra riavvicinarsi a Teheran le chance di una riunificazione – dopo la rottura del 2007 – del movimento palestinese credo si riducano”.
L’Isis si conferma comunque una spina nel fianco per l’asse sunnita: dopo aver consegnato l’Iraq nelle mani dell’Iran o quasi – è difficile per qualunque avversario di Teheran finanziare il Califfato in ottica anti-iraniana, viste anche le pressioni occidentali -, aver rafforzato il regime siriano nei confronti dei ribelli – isolati a livello internazionale a causa delle infiltrazioni del fanatismo islamico – e, in generale, aver reso impopolare la causa sunnita agli occhi del mondo, adesso si pongono in aperto conflitto coi Palestinesi, “popolo martire” per la maggior parte delle opinioni pubbliche islamiche. Schiacciando così l’Arabia Saudita e i suoi alleati tra l’inconfessabile desiderio di armare il Califfato in ottica anti-iraniana e la volontà di contrastarlo per riguadagnare posizioni nei rapporti con l’Occidente.
@TommasoCanetta
Il campo profughi di Yarmuk, “capitale” della diaspora palestinese, città nella città a Damasco, da anni soffre per gli scontri tra truppe lealiste del dittatore siriano Bashar al Assad – fiancheggiate da alcuni gruppi armati palestinesi – e miliziani palestinesi di Hamas filo-ribelli.