Un aneddoto che Boris Johnson non sarà mai in grado di scrollarsi di dosso è l’affermazione di sua sorella, Rachel, che da bambino era solito dire che la sua ambizione era quella di essere il ‘re del mondo‘. Infatti, da allora ha sempre agito in quella direzione.
Con gran successo, ha appena completato due mandati come sindaco di Londra, dove le maniere amabili e giri eleganti di frasi ne hanno fatto il politico più popolare nel Regno Unito; e oggi fa una scommessa molto grossa. Il primo ministro, David Cameron, ha impegnato il suo futuro con l’idea che il Regno Unito deve rimanere all’interno dell’Unione europea, e la risposta di Johnson e’ cercare di diventare il volto della campagna ‘Leave’ – partire.
Cameron ha Obama, la Banca Mondiale, e molte altre persone influenti alle spalle, ma anche così prende un grosso rischio. Se il referendum del 23 giugno va contro di lui, la sua posizione di leader del partito e del governo sarà messa in questione. Johnson, invece, rischia praticamente niente. E’ senza portafoglio ministeriale e non ha più nemmeno la responsabilità di Londra. Inoltre, la sua ostilità verso l’Europa è ben nota, e quindi il suo disaccordo pubblico con Cameron appare abbastanza ragionevole. Se perde non dovrà nè dimettersi da qualsiasi posizione nè apportare modifiche imbarazzanti ai suoi argomenti.
Ex giornalista, la prima posizione importante di Johnson fu corrispondente europeo per il Daily Telegraph (il giornale non-ufficiale del partito conservatore). Gia’ ben noto per il suo umorismo acido, si è concentrato su storie di atti legislativi ridicoli o di scandali finanziari: alimentando cosí una antipatia ben radicata in Gran Bretagna contro quello che si potrebbe chiamare lo stile francese del governo europeo. In politica interna, i francesi credono nel massimizzare la burocrazia e, a causa dell’influenza francese all’inizio, questo approccio ha anche colorato lo stile di organizzazione dell’Unione europea.
Il problema con questo sistema si vede chiaramente oggi in Francia. L’abitudine mentale è creare sempre nuovi regolamenti, e dopo un certo punto il risultato è una massa enorme di regole che sono così complicate che solo i professionisti più impegnati sono capaci di capire. In Francia i professionisti in questione sono principalmente i prodotti della Ecole Normale dell’Amministrazione; in Europa sono le migliaia di eurocrati ben nutriti e multi-lingue. Oggi possono essere estoni o slovacchi, ma lo stile delle loro azioni è ancora francese: come lo stile di base del funzionamento della NATO rimane anglo-americano. Si può parlare di ‘riforma’, ma cambiare la natura intera di una grande organizzazione internazionale è impossibile. Lo stesso vale per le Nazioni Unite.
Questo rappresenta un facile bersaglio per i critici inglesi come Johnson. (Non è il solo. Oltre ad altri individui dei principali partiti politici, vi è un piccolo partito, l’UKIP, interamente dedicato alla proposta che il Regno Unito dovrebbe essere indipendente d’Europa.) Ma per Johnson la questione rappresenta allo stesso tempo un’opportunità per dimostrare le sue superiori capacità come oratore e come populista. Sembra una figura di duecento anni fa: uno studioso classico che cita Virgilio e tiene conferenze sulla cultura ateniese, e riesce a dare l’impressione che per lui la politica è solo una specie di hobby. Questo dilettantismo allegro gli ha fatto guadagnare un genuino affetto tra la gente comune, che come tutte le persone normali di ogni parte del mondo, non apprezzano molto i politici. Un’indicazione di questo è il fatto che questo presunto Tory, che esalta le virtù di Margaret Thatcher e di Winston Churchill, è stato accettato dal popolo di Londra, che dopo Boris è tornato alla sua natura col nuovo sindaco, Sadiq Khan, il candidato laburista.
Ma in realtà non ci sono tante prove che Boris sia davvero un conservatore. Una delle sue prime battaglie politiche fu quella giovanile, ma sempre importante per la carriera, l’elezione per il Presidente della Oxford Union, il prestigioso club di discussione dell’università. Essere un conservatore era fatalmente fuori moda nel 1985, quindi Boris si è reinventato candidato ambientalista sotto la bandiera del partito SDP, all’epoca avversari diretti dei conservatori a livello nazionale.
Molte delle politiche di Boris Johnson a Londra sono state iniziative personali, piuttosto che politiche ideate nel quartier generale dei conservatori. Anche la sua attività nel movimento Leave ha poco a che fare con la tradizione dei Tory. Se vince o se perde, sta sempre costruendo la ‘Marca Boris’. È difficile evitare un confronto con Donald Trump. Anche se lo stile richiesto in Gran Bretagna è diverso di quella necessario in America, entrambi gli uomini sono essenzialmente candidati comici – dei Beppe Grillo versione Ronald Reagan. I londinesi hanno votato per Boris soprattutto perché pensavano che è ‘divertente’, e il suo problema in parlamento è stato che il suo amabile stile scherzoso non è adatto per i discorsi di un parlamentare di secondo piano. Ma se (come tutti danno per scontato), l’aspirante Re del Mondo sta puntando al posto di primo ministro, questa limitazione noiosa potrebbe dissolversi. Se il bicchiere è mezzo pieno, potremmo vedere un primo ministro pieno di elegante retorica, fare grandi discorsi che verranno pubblicati in volumi e saranno letti nei secoli; se il bicchiere è mezzo vuoto, Boris si rivelerà il pensatore politico leggero chi è sempre stato, e la sua capacità di leggere i trend della moda non sarà sufficiente a mascherare la sua mancanza di politiche serie.
Sarebbe tutto qui? C’è un’altra possibilità strana. Johnson parla spesso del suo esotico pedigree internazionale (ha antenati turchi, russi, francesi e tedeschi, fra altri), ma è nato a New York, e, pertanto, ha la doppia cittadinanza britannica e americana. Durante il suo tempo a Oxford, una persona che lo conosceva bene ha detto che aveva un’ambizione: essere presidente degli Stati Uniti. Questa era una strada chiusa per Henry Kissinger e Arnold Schwarzenneger a causa della loro nascita straniera. E il Re del Mondo ha solo 51 anni.
Christopher Lord ha vissuto in nove paesi e parla sette lingue. Tra i suoi libri sono Politics e Parallel Cultures, e il suo giornalismo è stato pubblicato in tutto il mondo.