In Libia l’Egitto di Al Sisi rema contro il governo di Sarraj. E Parigi sta col Cairo?
Dopo mesi di stallo, nelle ultime settimane la situazione in Libia si è evoluta rapidamente. Il premier designato dalle Nazioni Unite – al termine di uno sfiancante negoziato tra fazioni e milizie legate ai due parlamenti rivali di Tripoli e Tobruk, fortemente “stimolate” dalle diplomazie internazionali, e culminato dopo diciotto mesi con l’accordo firmato il 17 dicembre in Marocco – Feyez el-Sarraj è sbarcato a Tripoli il 30 marzo.
Dopo mesi di stallo, nelle ultime settimane la situazione in Libia si è evoluta rapidamente. Il premier designato dalle Nazioni Unite – al termine di uno sfiancante negoziato tra fazioni e milizie legate ai due parlamenti rivali di Tripoli e Tobruk, fortemente “stimolate” dalle diplomazie internazionali, e culminato dopo diciotto mesi con l’accordo firmato il 17 dicembre in Marocco – Feyez el-Sarraj è sbarcato a Tripoli il 30 marzo.
Fino a quel momento aveva operato dalla Tunisia, visto che la perdurante opposizione dei due parlamenti libici al riconoscimento del suo ruolo. Insediatosi in principio all’interno della base militare navale di Abu Sittha, a 3 chilometri dal centro della capitale, Sarraj ha osservato da un posto in prima fila lo sgretolamento di uno dei suoi rivali. Dopo un iniziale accenno di violenze, la maggior parte dei sostenitori del parlamento islamista di Tripoli sono passati dalla parte di Sarraj e del governo sostenuto dall’Onu. Importanti soprattutto le adesioni di alcune milizie legate alla Fratellanza Musulmana, di alcune componenti della Brigata di Misurata (una delle più potenti e armate del Paese, che fino a quel momento si era opposta a Sarraj), e di alcune pedine fondamentali dell’economia libica, in particolare la Compagnia petrolifera nazionale (Noc) e la Pfg, milizia che controlla le installazioni petrolifere nel Golfo della Sirte e che finora era stata alleata di Tobruk e del suo capo militare, il generale Haftar. Sarraj, avendo poi l’appoggio della Banca Centrale Libica (che tuttora paga indistintamente gli stipendi alle varie milizie), ha goduto in generale di un effetto “bandwagon”, che ha portato molti attori ostili fino al suo arrivo a Tripoli a schierarsi dalla sua parte.
Dalla larghezza di questo consenso che si è subito creato – almeno in Tripolitania – intorno a Sarraj si può dedurre l’entità dell’appoggio internazionale di cui gode. In particolare dietro la desistenza, e in alcuni casi il sostegno, di varie milizie islamiste legate alla Fratellanza Musulmana c’è la mano della Turchia e del Qatar, sponsor internazionali del movimento. In questa occasione evidentemente Ankara ha preferito non schierarsi contro la comunità internazionale, valutando di poter ottenere di più da un’alleanza che da una contrapposizione con Sarraj (che, forse non a caso, ha di recente espresso opinioni concilianti verso gli islamisti e un’eventuale applicazione della legge coranica). Per quanto riguarda poi il sostanziale sostegno delle forze – politiche, tribali e militari – che orbitano all’economia del petrolio, è probabile che abbia pesato il lavorio della diplomazia italiana e dell’Eni. Non è un caso, sicuramente, che Paolo Gentiloni sia il primo ministro degli Esteri di un Paese occidentale a recarsi in visita ufficiale al governo di Sarraj (scatenando peraltro l’ira del premier precedentemente insediato a Tripoli, l’islamista Khalifa Ghwell, che lamenta la violazione della sovranità libica).
«Se nell’Ovest e nel Sud della Libia stiamo assistendo a una sorta di luna di miele con Sarraj, a Est la situazione è molto problematica», spiega Mattia Toaldo, analista dell’European Council on Foreign Relations. «A parte il capo delle milizie petrolifere (Pfg), tra l’altro sempre più contestato, gli altri attori della Cirenaica sembrano tutti schierato con il parlamento di Tobruk e con il generale Haftar. Finora non ci son stati segni di apertura verso Sarraj e, con l’imminente voto del 18 aprile a Tobruk sul suo tentativo di formare un governo unitario, la situazione sembra poter solo peggiorare. O, infatti, il quorum non sarà raggiunto nemmeno stavolta e proseguirà lo stallo, oppure è più probabile una bocciatura, o un assenso comunque condizionato al riconoscimento del ruolo di Haftar. Rischiamo insomma di passare da una situazione in cui Tobruk non si è espressa a una in cui si è espressa contro Sarraj».
Come dietro alle mosse delle forze tripolitane, che aprivano a Sarraj, si vedeva l’ombra della Turchia e del Qatar, così dietro la resistenza di Tobruk è intuibile la lunga mano dell’Egitto del generale Al Sisi (e forse non solo). «Il gioco di Haftar e dell’Egitto è chiaro, vogliono avere la loro zona cuscinetto in Cirenaica e intanto aspettare il fallimento del tentativo di Sarraj. Eliminata dal piatto questa possibilità, contano tornare ad essere la migliore opzione per la comunità internazionale per controllare il Paese e combattere l’Isis», dice ancora Toaldo. E l’Egitto parrebbe avere una sponda importante in questo suo gioco. «La Francia sta giocando questa partita in proprio, con qualche oscillazione. Si può vedere la doppiezza di Parigi – che da un lato sostiene formalmente gli sforzi della comunità internazionale per Sarraj, ma dall’altro flirta con l’Egitto e con Tobruk (a febbraio erano attivi uomini delle forze speciali francesi al fianco di quelle di Haftar ndr.) – in due modi: come il segno di una spaccatura tra il ministero degli Esteri, che vorrebbe supportare il dialogo con il governo sostenuto dall’Onu, e il ministero della Difesa (e il presidente Hollande stesso pare), che vorrebbe sposare di fatto la linea del Cairo; oppure come un’abile tattica per tenere il piede in due scarpe, salvaguardando le apparenze e allo stesso tempo i rapporti con l’Egitto. Per uscire dalla crisi economica la Francia sembra infatti voler puntare sulla vendita di grandi quantità di armamenti all’Egitto ed al suo alleato (e finanziatore), l’Arabia Saudita».
In uno scenario del genere le prospettive di un’effettiva pacificazione della Libia sono, ancora una volta, lontane all’orizzonte. «Mi sembra siano due le direzioni principali verso cui può evolvere la situazione se Tobruk, come sembra, non sosterrà Sarraj», afferma Toaldo. «O la comunità internazionale decide di andare avanti comunque con chi gli attori che sostengono il governo unitario benedetto dall’Onu, e allora si può presumere che progressivamente Sarraj prenderà il controllo di ampie parti del Paese, oppure l’esperimento implode. In questo caso, specie se il governo unitario non avrà saputo risolvere la crisi economica che sta devastando la Libia, temo che le milizie tripolitane cercheranno di andare a prendere direttamente loro le risorse di cui hanno bisogno», conclude Toaldo. «A quel punto sarebbe definitivamente l’anarchia».
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