La situazione in Doklam sembrava più calma dopo la de-escalation di fine agosto. Immagini satellitari rivelano invece che Pechino e New Delhi stanno ammassando truppe e armi nell’altopiano, un lembo dell’Himalaya cruciale nello scacchiere geostrategico asiatico
L’altopiano di Doklam, incastonato nel mezzo del confine tra Bhutan, Sikkim (India) e Tibet (Cina), da sei mesi è al centro dell’ultima disputa ad alta quota tra New Delhi e Pechino. E, secondo alcune rilevazioni satellitari rese pubbliche la scorsa settimana, interessato da un progressivo aumento di truppe e armamenti dispiegati nelle basi militari himalayane cinesi e indiane che circondano un’area di nemmeno 100 kmq, tra altopiano e vallata, ma di fondamentale importanza nello scacchiere geostrategico delle due potenze asiatiche.
Il confronto era emerso a livello internazionale lo scorso mese di giugno, quando le autorità bhutanesi avevano richiesto l’intervento indiano per bloccare quella che era considerata un’incursione dell’Esercito popolare di liberazione cinese entro i confini del Bhutan, per la realizzazione di una strada ad alta quota (ne avevamo parlato qui), attività che Pechino ritiene assolutamente legittima, considerando Doklam parte integrante della Repubblica popolare contestando le rivendicazioni territoriali storiche del Bhutan. Di fatto, Doklam figura tra i territori himalayani che Pechino rivendica come propri e per cui, da oltre mezzo secolo, si imbandiscono ciclici tavoli di trattative sempre bilaterali: col Bhutan per Doklam, con l’India per l’Aksai Chin – disabitato – e per l’intero Arunachal Pradesh, dove 14 milioni di cittadini indiani risiedono in un’area che la Cina considera “Tibet Meridionale”.
Raccolta la richiesta d’aiuto bhutanese, New Delhi ha inviato alcune centinaia di soldati sul posto – tecnicamente entro i confini del Bhutan – dando inizio a una guerra di nervi combattuta sul filo dell’escalation militare e con dichiarazioni al vetriolo tra le cancellerie di New Delhi e Pechino.
Mentre la Cina denunciava l’ingerenza indebita di New Delhi in affari che, al limite, interessavano solamente le autorità del Bhutan e intimava alle truppe indiane di tornare entro i propri confini, l’India non arretrava di un millimetro, accusando Pechino di voler “modificare lo status quo” dell’area appropriandosi di un territorio strategicamente vantaggioso in chiave militare. Pochi chilometri più a sud di Doklam, infatti, si trova la strettoia di Siliguri, l’unico passaggio stradale che collega l’India settentrionale all’appendice degli Stati del nordest: 27 km che per l’India, nell’eventualità di un conflitto con la Cina, rappresentano l’unica via per spostare le truppe.
Il caso Doklam, per almeno tre mesi, ha imposto al governo indiano un’esame di maturità diplomatica inaspettato e particolarmente insidioso. Da un lato, il governo presieduto da Narendra Modi, di marcata impronta nazionalista, non poteva permettersi una battuta in ritirata di fronte alle angherie cinesi, mentre dall’altro, il rischio di sfidare eccessivamente Pechino avrebbe potuto portare ripercussioni sia economiche sia, in caso estremo, militari, aprendo un altro fronte bollente in aggiunta al conflitto a bassa intensità che interessa il confine nord-occidentale indiano, da 70 anni terreno di battaglia col “nemico” pachistano.
In quei giorni la propaganda di New Delhi e di Pechino suonava le rispettive trombe di guerra a uso e consumo dell’opinione pubblica locale. In India, infatti, le elezioni nello Stato del Gujarat erano alle porte, mentre in Cina il congresso del Partito comunista cinese, di lì a qualche mese, avrebbe elevato il presidente Xi Jinping al rango di pilastro della storia del Partito e della Repubblica. Nel frattempo, però, i canali diplomatici bilaterali riuscirono a trovare un accordo salvafaccia di de-escalation militare, annunciato al mondo alla fine di agosto. I due eserciti accettavano una ritirata incondizionata da Doklam, apparentemente mantenendo intatto lo status quo regionale.
L’accordo, all’epoca, fu largamente esaltato dalla stampa indiana come una vittoria del premier Modi e dell’India, che aveva dimostrato di saper tenere testa all’esercito cinese tanto da ricacciarlo entro i propri confini. D’altro canto la Cina, limitandosi a confermare il ritiro delle truppe indiane da Doklam, lasciando implicita una ritirata speculare cinese, manteneva l’intenzione di salvaguardare i propri diritti territoriali continuando a pattugliare l’area.
Mesi dopo, grazie a un’analisi di foto satellitari pubblicata dall’agenzia di intelligence geopolitica statunitense Stratfor, sappiamo che dietro a una calma apparente sia New Delhi sia Pechino da mesi stanno rafforzando sensibilmente i propri avamposti nell’area.
Nel rapporto di Stratfor, corredato da immagini satellitari, si rileva un sensibile aumento di armamenti e velivoli da guerra dispiegati nelle basi dell’aeronautica indiana di Bagdogra (nei pressi di Siliguri, Bengala Occidentale) e Hasimara, cui a breve si dovrebbero aggiungere i caccia di ultima generazione acquistati dalla francese Rafale.
Poche centinaia di chilometri più a nord, nelle basi militari di Lhasa e Shigatse, Stratfor indica una «presenza significativa di caccia e un rilevante aumento di elicotteri da guerra», in aggiunta a sistemi radar, contraerea e droni. Il tutto condito dalla realizzazione di una nuova pista di atterraggio, nove piazzali per manutenzione e rifornimento di carburante per caccia e nove elisuperfici.
La scorsa settimana, commentando le dichiarazioni del generale indiano Bipin Rawat circa lo status di “territorio conteso” di Doklam, il portavoce del ministero della Difesa cinese colonnello Wu Qian ha ribadito che Doklam è «parte integrante del territorio cinese» e che l’India farebbe bene a imparare la lezione dello scorso agosto, evitando «incidenti simili in futuro».
Il braccio di ferro ad alta quota tra Pechino e New Delhi non sembra destinato a concludersi nell’immediato futuro.
@majunteo
La situazione in Doklam sembrava più calma dopo la de-escalation di fine agosto. Immagini satellitari rivelano invece che Pechino e New Delhi stanno ammassando truppe e armi nell’altopiano, un lembo dell’Himalaya cruciale nello scacchiere geostrategico asiatico