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India/Israele: il sostegno di Modi a Netanyahu


L'India deve fare i conti con i rischi insiti nella propria strategia internazionale, il cui pragmatismo quasi radicale rischia spesso di essere percepito dai partner come vera e propria ambiguità.

Lo scorso 7 ottobre, poche ore dopo la diffusione delle notizie relative all’attacco condotto da Hamas nel sud di Israele, il Primo Ministro indiano Narendra Modi è stato tra i primi leader mondiali a inviare un messaggio di solidarietà alle famiglie delle vittime e al Paese ancora sotto shock. Pochi minuti dopo, anche il Ministro degli Esteri indiano, Subrahmanyam Jaishankar, ha espresso il suo supporto alla popolazione colpita e a tutto lo Stato di Israele. A dicembre, oltre due mesi dopo l’inizio della campagna militare condotta dalle Forze di difesa israeliane per disarticolare Hamas, Modi ha avuto uno scambio telefonico con l’omologo israeliano Benjamin Netanyahu. Al termine del colloquio, il Premier indiano non ha fatto nessun richiamo espresso alla moderazione, al tema delle colonie o alla soluzione dei due Stati, scelta dal forte valore simbolico che lo ha di fatto differenziato da gran parte dei leader mondiali. Una vicinanza, quella indiana, che si è manifestata in tutti questi mesi anche in sede ONU. In particolare, il 27 ottobre scorso, Nuova Delhi ha optato per l’astensione sulla risoluzione approvata dall’Assemblea Generale nella quale si chiedeva una tregua umanitaria immediata e duratura nella Striscia di Gaza. Con questa serie di prese di posizione la leadership del Bharatiya Janata Party (BJP), il partito nazionalista indù che guida l’India dal 2014, non solo ha voluto mostrare a Israele pieno sostegno, ma ha anche annunciato al mondo che la linea del Paese sul conflitto israelo-palestinese è definitivamente mutata.

Per decenni, infatti, l’India ha mantenuto una posizione essenzialmente filo-palestinese, in linea con quella espressa dal Movimento dei Paesi non allineati, del quale è sempre stata esponente rilevante. Circa tre mesi dopo la dichiarazione di indipendenza indiana dell’agosto 1947, in particolare, Nuova Delhi decise di schierarsi, con altri 12 Stati, contro il Piano di partizione della Palestina presentato alle Nazioni Unite. Nel 1974, la leader del Congresso Nazionale, Indira Gandhi, scelse di riconoscere l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) come unico e legittimo rappresentante del popolo palestinese e, nel 1988, l’India si distinse per essere uno dei primi Paesi uno dei primi Paesi a maggioranza non musulmana a riconoscere lo Stato di Palestina. Parallelamente, le politiche indiane nei confronti di Israele sono state caratterizzate da forte ostilità. Nel 1949, per esempio, pochi mesi prima di procedere al riconoscimento formale dello Stato di Israele, l’India si schierò contro l’ingresso del Paese mediorientale nelle Nazioni Unite, allineandosi in fase di votazione addirittura con il rivale pachistano. Le relazioni tra i due Paesi iniziarono a mutare solo quando, nel 1962, l’allora Primo Ministro israeliano David Ben Gurion decise di inviare armi all’India impegnata a combattere l’esercito cinese lungo i confini himalayani. Il sostegno israeliano venne riproposto anche in seguito, nel corso della seconda e della terza guerra indo-pachistana, ma ciò non impedì all’India di votare a favore della risoluzione ONU che, nel 1975, equiparò il sionismo al razzismo. In quegli stessi anni, tuttavia, si registrarono anche i primi contatti tra il Mossad e la Research and Analysis Wing, l’agenzia di intelligence indiana, che contribuirono a favorire la normalizzazione dei rapporti avviata negli anni Novanta e completata, nel 1992, dal Primo Ministro indiano P.V. Narasimha Rao.

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