Il Bjp rischia nelle elezioni in Gujarat. Così il premier sostituisce la retorica del progresso con quella della paura per mobilitare il suo popolo. E sollecita gli istinti peggiori dell’ultrainduismo, accusando l’opposizione di complottare con i pachistani per vincere
Delhi (India). Marted il primo ministro Narendra Modi ha chiuso la campagna elettorale nel suo stato d’origine, il Gujarat, dove sono in corso le elezioni per il governo locale. A differenza della posa da statista affabile e pseudo spirituale cui Modi ha abituato gran parte della stampa internazionale durante le sue visite ufficiali fuori dai confini indiani, all’interno della Repubblica il primo ministro tende a rassicurare l’elettorato hindu – largamente maggioritario, nel Paese – circa la vera bussola politica del Bharatiya Janata Party (Bjp): relegata nel passato la retorica del vikas (progresso, in hindi) per tutti, negli ultimi giorni di campagna elettorale in Gujarat si è tornati all’abc dell’estremismo hindu: dio, patria e famiglia, intesa come comunità hindu.
Alcuni giorni fa, durante un comizio, Modi ha avanzato delle accuse pesantissime contro l’ex primo ministro Manmohan Singh, insinuando un complotto pachistano volto a influenzare l’esito delle elezioni in Gujarat, in combutta con membri di primo piano dell’Indian National Congress. Facendo riferimento a un «incontro segreto» organizzato a New Delhi all’inizio del mese, Modi ha detto dal palco: «Dovete aver letto sui giornali, visto in tv, che a casa di Mani Shankar Aiyar si sono incontrati per tre ore l’ex High Commissioner del Pakistan (l’ambasciatore pachistano in India, ndr), l’ex ministro degli esteri, l’ex vicepresidente e l’ex primo ministro Manmohan Singh, e il giorno dopo Mani Shankar ha dato a Modi del “neech” (dispregiativo per chi proviene da una casta bassa, in termini italiani potrebbe equivalere a “pezzente”; in seguito a questo insulto Mani Shankar è stato sospeso dall’Inc, per volere di Rahul Gandhi, ndr). Questo è un tema particolarmente sensibile, trattandosi di un meeting alla presenza dell’High Commissioner del Pakistan. Inoltre, per quale motivo si è tenuto questo meeting segreto proprio durante le elezioni in Gujarat?».
Rafforzando le illazioni diffuse qualche giorno prima da alcuni profili Twitter vicini al Bjp e alla Rahstriya Swayamsevak Sangh (Rss, principale sigla dell’estremismo hindu extraparlamentare, ndr), in cui si sosteneva che l’ex generale dell’esercito pachistano “Rafiq” avesse contattato Rahul Gandhi spingendo per l’elezione a chief minister del Gujarat di Ahmad Patel (stretto collaboratore di Sonia Gandhi, musulmano), Modi ha pubblicamente infangato il proprio predecessore Singh e tutti gli invitati presenti alla cena con l’ex ambasciatore pachistano: una chiara strategia per polarizzare il voto su base religiosa insistendo sulla demonizzazione dell’Islam, del Pakistan e di chi ha contatti con chiunque rappresenti il Pakistan.
Si tratta di una dichiarazione particolarmente inusuale da parte del Narendra Modi in versione statista, un colpo basso che tendenzialmente, durante le campagne elettorali, viene affidato a esponenti minori del Bjp, carne da cannone da sacrificare alla stampa pur di far arrivare forte e chiaro il messaggio all’elettorato ultrahindu. Il fatto che sia stato Modi in persona a sostenere la tesi del complotto pachistano, una panzana grottesca completamente campata in aria, secondo diversi opinionisti dimostrerebbe almeno due cose: il Bjp teme di perdere in Gujarat; la retorica dello sviluppo e del progresso con cui Modi aveva stregato l’elettorato nazionale nel 2014 sta andando in soffitta.
In un lungo e durissimo commento pubblicato stamane su Indian Express, Pratap Bhanu Metha scrive: «Il dono di Modi, come uomo politico, era quello di saper emanare sicurezza, sedurre l’elettorato in modi così melliflui da pescare allo stesso tempo dalla speranza dello sviluppo e dalla politica della paura. In questa campagna elettorale, più che in altre campagne degli ultimi anni, il senso di controllo e di sicurezza di Modi è svanito, il veleno sociale non è più un elemento che può essere contenuto, ma diventa elemento totalizzante, e la politica della speranza è stata sostituita dalla politica della paura».
Su Scroll.in, sempre a sostegno di quanto sopra, Supriya Sharma ha tradotto alcuni stralci dei comizi di Modi in Gujarat, rendendo bene l’aria che tira durante le uscite pubbliche del primo ministro indiano davanti alla sua gente: c’è la deificazione del leader ma, soprattutto, c’è la difesa degli istinti più violenti e pericolosi dell’ultrainduismo militante.
Riferendosi a Kapil Sibal, ex ministro dell’Indian National Congress e ora avvocato difensore di una delle parti in causa (musulmana) nella diatriba circa l’utilizzo del terreno dove sorgeva la moschea di Ayodhya – demolita da migliaia di estremisti hindu 25 anni fa – Modi ha detto: «Sibal ci dica se è dalla parte di quelli che vogliono il tempio di Ram, o di quelli che vogliono la moschea».
Comunque vada in Gujarat, i cui risultati dovrebbero arrivare il 18 dicembre, di certo la strategia del Bjp si sta spostando sempre più verso i dettami dell’estremismo hindu. Una pessima notizia per il Paese.
@majunteo
Il Bjp rischia nelle elezioni in Gujarat. Così il premier sostituisce la retorica del progresso con quella della paura per mobilitare il suo popolo. E sollecita gli istinti peggiori dell’ultrainduismo, accusando l’opposizione di complottare con i pachistani per vincere