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La crisi della sinistra di governo


Il disastro finanziario del 2007/2008 (anno di nascita del PD) ha messo in crisi tutti i partiti di sinistra al governo, considerati corresponsabili della situazione e difensori dello status quo e degli interessi che avevano originato lo smottamento sociale ed economico

In poco più di quindici anni di vita il Pd ha perso sette milioni di voti dal suo esordio alle elezioni politiche del 2008, ha fallito la vittoria in quattro tornate nazionali consecutive, ha bruciato cinque segretari e tre reggenti. Ciò nonostante, ha governato per una buona parte della sua esistenza pur senza mai disporre di una maggioranza autonoma: se si eccettuano i pochi mesi del Prodi bis, quando al Senato la maggioranza era legata al voto dei senatori eletti all’estero e di quelli a vita, il Pd è stato coinvolto in governi di larghe intese (Monti, Letta e poi Renzi) o di salvezza nazionale (Draghi) oppure legati a formule improvvisate (Conte bis). Il bilancio delle riforme varate degli esecutivi guidati o partecipati dal Pd è proprio una delle questioni più delicate e spinose del dibattito interno: la riforma delle pensioni dell’era Monti, il Jobs Act e la Buona scuola all’epoca di Renzi, gli interventi sulla giustizia penale sotto Draghi.

Per alcuni sono medaglie, la prova che il Pd ha saputo farsi carico della responsabilità di scelte necessarie quanto impopolari. Per altri sono la testimonianza di un cedimento a pratiche e ideologie della destra, dunque la causa principale dell’emorragia di consensi che ha condannato i dem alle sconfitte più pesanti, quella del 2018 e quella alle ultime politiche dello scorso settembre. Detto ancora più brutalmente, il nodo è il seguente: il Pd ha perso perché ha troppo governato e senza meritarlo nelle urne, dunque per il suo cosiddetto governismo, o ha perso per aver svolto fin troppo responsabilmente un ruolo di equilibratore e solutore di problemi di governabilità del Paese? È chiaro che in mezzo a questa dicotomia così netta c’è un’infinita serie di sfumature e di distinguo sull’una e l’altra tesi, ma lo scontro poggia su questa annosa diatriba, che sembra essersi conclusa con la vittoria della seconda scuola di pensiero dopo la vittoria di Elly Schlein alle primarie del 26 febbraio.

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