A novembre 2021 l’Italia ha lanciato la propria strategia. A che punto è? Ritardi, opportunità e numeri del settore italiano dell’IA rispetto al resto della Ue
È servito il recente boom di ChatGpt per far entrare in modo permanente il tema dell’intelligenza artificiale nella vita e nel dibattito comune. Il maggiore dilemma è se il suo utilizzo sempre più massiccio rappresenterà un pericolo per l’umanità oppure sarà uno strumento che rivoluzionerà la società portando esclusivamente benefici? Una domanda dalle molteplici risposte e che fa sorgere immediate riflessioni.
La cosa che sembra sicura, invece, è che il settore dell’IA (o AI, per dirla in maniera anglosassone) può rappresentare una nuova corsa all’oro. Ogni epoca ne ha avuta una e oggi sembra essere proprio la competizione per sfruttare appieno le potenzialità dell’uso di tecnologie, algoritmi e modelli digitali che di fatto simulano le interazioni, i ragionamenti e le analisi umane.
Le grandi aziende da anni guardano con attenzione a quel mondo, usando l’intelligenza artificiale già in diverse modalità, in particolare nella gestione dei dati. E dietro le società, spesso, c’è la spinta di Stati che vogliono posizionarsi in campo internazionale, accumulando vantaggi economici e strategici sui competitor. Tra questi anche l’Italia, che in realtà è partita in ritardo rispetto ai principali paesi europei (senza contare gli altri grandi attori mondiali), ma il cui mercato e le iniziative cominciano ad assumere rilevanti proporzioni.
Nel 2022 si è verificato un aumento vertiginoso del valore del mercato italiano relativo all’intelligenza artificiale. Sono due le ricerche più recenti che, nonostante difformità sul calcolo finale, registrano una crescita simile. Secondo quanto pubblicato da Anitec-Assinform, cioè l’associazione di Confindustria che raggruppa le aziende ICT (Information and Communication Technologies), in Italia il valore ha raggiunto circa 422 milioni di euro, con un balzo del 21,9% rispetto al 2021. Cifre ancora maggiori quelle registrate dall’Osservatorio Artificial Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano: 500 milioni di euro e un aumento del mercato del 32% rispetto all’anno precedente. Di questo mezzo miliardo, secondo il Politecnico, il 73% (cioè 365 milioni) è commissionato da imprese italiane mentre i restanti 135 da progetti esportati all’estero. In entrambi gli studi citati, comunque, il trend è nettamente in crescita, tanto che entro il 2025 – secondo l’associazione di Confindustria – il volume di affari salirà fino a 700 milioni mantenendo un tasso annuale di crescita in media maggiore del 20%.
Con il crescere del mercato è cresciuta anche l’attenzione delle istituzioni. Nel novembre del 2021 è stata lanciata la strategia nazionale italiana sull’IA, un programma stilato dal Ministero dell’Università e Ricerca, insieme a quelli dello Sviluppo Economico e dell’ormai vecchio Ministero per l’Innovazione tecnologica e la transizione digitale. Un testo arrivato con anni di ritardo rispetto agli altri principali paesi europei, come per esempio Francia e Germania che lo hanno presentato nel 2018 e che da allora immettono miliardi nei propri settori, e dopo le sollecitazioni dell’Unione europea che aveva esortato gli Stati membri ad adottare i propri piani nel 2019.
Ad ogni modo, nel documento italiano venivano delineate 24 politiche da perseguire entro il 2024, sei obiettivi, 11 settori prioritari per gli investimenti e tre aree di intervento. Tanto spazio è stato dedicato al mondo universitario e della ricerca italiana nel campo dell’IA, su cui il programma strategico individuava alcuni punti di debolezza: la frammentarietà tra laboratori di ricerca, lo scarso finanziamento pubblico/privato, l’insufficiente attrazione di talenti dall’estero, un divario di genere significativo – con quote bassissime di ricercatrici – e una capacità brevettuale minore rispetto ai vicini europei.
Come fonte di investimento per quasi la totalità degli obiettivi, il piano ha previsto di attingere ai finanziamenti del Piano nazionale di ripresa e resilienza, insieme, in minima parte, a quelli del Fondo per la Scienza. Di fatto è grazie ai soldi europei se l’Italia ha potuto mettere in piedi una propria strategia riguardo l’intelligenza artificiale e faticosamente sta cercando di portarla avanti.
Il documento menziona dati del 2019 sulle spese per la ricerca in Europa in cui veniva sottolineato lo svantaggio del nostro Paese nei confronti degli altri Stati del continente. L’Italia, con l’1,46% di spesa del Pil, era dietro alla Germania (3,17%), Francia (2,19%) e Regno Unito (1,76%). Un rapporto che non è cambiato di molto in due anni: secondo Eurostat, infatti, nel 2021 l’Italia è leggermente salita a una percentuale del 1,49%, con la Germania scesa al 3,13% e la Francia salita a 2,21%. Il quadro è desolante anche per quanto riguarda il numero di ricercatori IA, con l’Italia nel 2019 ferma a 739, dietro a Regno Unito (2.974), Francia (2.755) e Germania (2.660).
Pur tenendo in considerazione le differenze economiche e demografiche dei Paesi in questione, i numeri riguardanti il mondo della ricerca, che di riflesso hanno conseguenze per quella specifica sull’intelligenza artificiale, sono emblematici delle difficoltà italiane. A ciò si aggiunge la differenza tra la media delle borse di studio destinate ai ricercatori e ai dottorandi in Italia e all’estero, così come le difficoltà di promuovere le carriere e i corsi in materie Stem (Science, technology, engineering, mathematics), soprattutto tra la popolazione femminile.
Tra gli obiettivi della strategia italiana c’è quello di rafforzare il numero dei ricercatori, ampliando tra l’altro il Dottorato nazionale in Intelligenza artificiale, l’iniziativa nata nel 2021 che raggruppa 61 università ed enti di ricerca in cinque dottorati federati e che attualmente conta 194 borse di studio. Il Pnrr prevede un investimento di circa 600 milioni di euro per il potenziamento e la creazione di dottorati innovativi e di assegni di ricerca. Entro il dicembre del 2024, secondo il portale Italia Domani che analizza lo sviluppo del Pnrr, dovranno essere assegnati 15mila dottorati di ricerca innovativi intersettoriali, e quindi in collaborazione con le imprese, ma ad oggi è ancora un progetto da realizzare.
In questa direzione si inserisce la nascita della fondazione “Fair” (Future Artificial Intelligence Research) sempre nel contesto del Pnrr, un progetto lanciato a marzo 2023 con sede a Pisa, coordinato dal Consiglio Nazionale delle Ricerche e che gestirà più di 114 milioni di euro. Dall’inizio il partenariato Fair coinvolgerà 350 ricercatori, a cui saranno aggiunti in un secondo momento altri 150 ricercatori e 100 dottorandi in tutta Italia. È un progetto nato esattamente per provare a migliorare alcune debolezze del Paese emerse nella strategia nazionale, come la frammentarietà del settore della ricerca italiana sull’IA. Inoltre Fair punta a creare un ecosistema integrato tra il mondo delle università e quello delle aziende, tra pubblico e privato. La rete che sta dietro a Fair, infatti, è composta da quattro enti di ricerca (tra cui lo stesso Cnr), da 14 università (dalla Bocconi al Politecnico di Milano, passando per la Sapienza di Roma, la Federico II di Napoli e molte altre), ma anche da sette aziende leader in diversi settori: Deloitte, Intesa Sanpaolo, Leonardo, Lutech, Bracco, Expert.ai e STMicroelectronics. Con questo progetto, l’Italia prova a fare uno scatto in avanti nello studio dell’intelligenza artificiale, puntando a sviluppare sistemi avanzati, cercando di attrarre talenti dagli altri Paesi per diventare così un hub globale sulla ricerca IA. In fondo era il fine ultimo della strategia italiana.
Per quanto riguarda le competenze Stem, il Pnrr prevede un investimento di 1,1 miliardo di euro proprio per attivare progetti con materie scientifiche e tecnologiche in modo da appianare la differenza di genere in quel campo, oltre che un rafforzamento di programmi linguistici adeguati. Il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara ha recentemente ricordato che – sempre dei fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza – circa 600 milioni di euro saranno destinati alle scuole proprio per realizzare percorsi formativi di potenziamento e di orientamento per le carriere Stem, con particolare attenzione alle studentesse. Il motivo è semplice: la categoria femminile è decisamente sottorappresentata tra i lavori scientifici e tecnologici. Nel 2021 i dati Istat hanno dimostrato che il 24% della fascia 25-34 anni di laureati ha una laurea Stem. Se si scompone la parte femminile da quella maschile, però, si vede che la prima ha una quota del 17,6% contro il 33,7% della seconda. Per quanto riguarda lo specifico caso dell’intelligenza artificiale, una delle uniche statistiche a riguardo è il sondaggio di CINILab Aiis National Assembly, citato anche nel documento strategico italiano, che mostra come solo il 19,6% dei ricercatori di IA siano donne. È evidente come simili dati rappresentino plasticamente il potenziale inespresso per il mondo della ricerca e del lavoro in Italia, una dinamica che lentamente si sta cercando di migliorare.
Insieme al mondo della ricerca e dell’istruzione, il programma italiano ha puntato anche a incentivare l’utilizzo di tecnologie IA sia nella pubblica amministrazione che in tutte le filiere produttive. Secondo le stime dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, nel 2022 in Italia le piccole e medie imprese che hanno portato avanti almeno una sperimentazione IA sono state il 15%, mentre tra le grandi imprese i numeri sono più alti, con una quota che raggiunge il 61%. A livello europeo, secondo l’ultima rilevazione di Eurostat del 2021, solo il 6% delle imprese italiane utilizza realmente tecnologie di intelligenza artificiale, a fronte di una media Ue dell’8%. Numeri che dimostrano come sia solo l’inizio di un utilizzo sempre più pervasivo della tecnologia – nei settori industriali, manifatturieri e nei servizi terziari – per attività come l’analisi di dati, la gestione delle interazioni con i clienti tramite chatbot o la scoperta di nuove possibilità nel mercato o nella produzione.
In Italia i settori più interessati sono quelli bancari, assicurativi ma anche sanitari, dove la gestione di grosse quantità di dati è essenziale. Tuttavia, il problema principale è ancora la scarsa digitalizzazione del Paese che frena inevitabilmente lo sviluppo e l’utilizzo capillare di tecnologie avanzate. Ci sono stati passi in avanti, tanto che nel 2022 l’Italia è salita al 18° posto in Ue (nel 2021 era al 20°) nell’indice di digitalizzazione Desi (Digital Economy and Society Index) della Commissione, confermando una crescita ormai stabile. Ma rimangono alcune forti criticità, prima fra tutte il tasso di capitale umano con competenze digitali di base – fondamentali per l’utilizzo di IA – che ci vede agli ultimi posti tra i Paesi europei. Anche per questo il 21% degli investimenti dell’intero Pnrr (più di 40 miliardi di euro) è mirato alla transizione digitale dell’Italia.
Di questa nuova rivoluzione tecnologica, l’Italia si sta rendendo conto e sta cercando di colmare le proprie lacune anche collaborando e sfruttando altri attori e partner internazionali. In ambito europeo, all’interno del piano Horizon Europe, nel 2022 sono stati avviati diversi progetti di robotica e di intelligenza artificiale sviluppati direttamente da enti italiani o in cui sono coinvolte università, fondazioni e istituti della penisola. A dimostrazione della qualità e dell’efficienza del mondo della ricerca italiana, inibita solo dagli investimenti ridotti negli ultimi anni.
Ma Roma ha cominciato a guardare anche oltre i confini continentali. Nel luglio del 2022, infatti, l’ex Ministra del Mur Maria Cristina Messa ha firmato un accordo di collaborazione per progetti scientifici riguardanti l’intelligenza artificiale con Sethuraman Panchanathan, direttore della National Science Foundation, l’agenzia governativa degli Stati Uniti che si occupa di ricerca e formazione. Un memorandum dalla durata di tre anni che ha l’obiettivo di favorire l’interscambio tra ricercatori dei due Paesi su programmi di innovazione. L’accordo è uno dei recenti fiori all’occhiello del ministero nel campo dell’IA, arrivato dopo un ampio lavoro svolto con gli statunitensi.
Nella corsa globale a implementare l’intelligenza artificiale è partita quindi anche l’Italia, seppur in ritardo e con alcune difficoltà. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza sta dando l’impulso economico, sia ai progetti relativi all’IA sia a quelli volti al rafforzamento della ricerca e della digitalizzazione generale del Paese. Tra le prime priorità ci deve essere quindi la messa in sicurezza dei fondi del Pnrr, con il raggiungimento degli obiettivi previsti. Possibili indugi, con il rischio di perdere i fondi europei, intaccherebbero il percorso intrapreso, allargando lo svantaggio italiano. Insieme all’impegno di università e imprese, deve quindi continuare l’attenzione delle istituzioni politiche verso il mondo dell’intelligenza artificiale, ci deve essere consapevolezza dei benefici sistemici di questa tecnologia, pur con le necessarie regolamentazioni. L’interesse nello sviluppare sistemi IA può combaciare con alcune esigenze strutturali del Paese. Ne è un esempio il possibile sfruttamento sempre più intenso di tecnologie di intelligenza artificiale nel campo della sanità e della telemedicina, visto il progressivo calo demografico e l’aumento dell’età media in Italia.
In questo senso, forse, l’aver dismesso il Ministero per l’Innovazione e la Transizione digitale rappresenta un passo indietro quantomeno simbolico, visto che poi il lavoro lo continua a portare avanti il dipartimento per la trasformazione digitale. La strada sembra essere comunque segnata, in caso potremmo sempre chiedere indicazioni a qualche chat IA.
Questo articolo è pubblicato anche sul numero di aprile/giugno di eastwest
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La cosa che sembra sicura, invece, è che il settore dell’IA (o AI, per dirla in maniera anglosassone) può rappresentare una nuova corsa all’oro. Ogni epoca ne ha avuta una e oggi sembra essere proprio la competizione per sfruttare appieno le potenzialità dell’uso di tecnologie, algoritmi e modelli digitali che di fatto simulano le interazioni, i ragionamenti e le analisi umane.