Il graduale ritiro dei soldati della missione di peacekeeping è un’ottima notizia per al-Shabaab. Ed equivale a una resa dell’Unione Africana. Perché i jihadisti sono stati colpiti ma non piegati. E l’esercito somalo non è ancora in grado di contenerne la potenza distruttiva
L’annuncio ufficiale dell’inizio del ritiro dell’Amisom dalla Somalia è arrivato martedì dal capo della missione di peacekeeping dell’Unione africana, il mozambicano Francisco Madeira, che nel corso di una conferenza stampa a Mogadiscio ha spiegato che per non precludere la sicurezza della popolazione locale il ritiro sarà graduale e sarà completato entro la fine del 2020.
Madeira ha precisato che i primi mille soldati che contribuiscono alla missione partiranno entro la fine dell’anno. Nel marzo scorso, il ritiro dei primi militari dell’Unione africana dalla Somalia era stato annunciato a partire da ottobre 2018, ma i vertici della missione hanno deciso di anticipare l’inizio del programma di riduzione del contingente.
La graduale diminuzione delle truppe farebbe parte di un piano più ampio di ridimensionamento, che prevede l’inserimento di 500 poliziotti entro il 31 dicembre 2017 e ulteriori riduzioni e potenziali riconfigurazioni entro ottobre 2018.
Il comandante dell’Amisom ha ribadito che i soldati della missione prenderanno parte all’annunciata grande offensiva contro al-Shabaab, in collaborazione con l’esercito nazionale somalo (Sna) e con il sostegno delle forze speciali statunitensi, precisando che le aree delle prossime operazioni comprenderanno Mogadiscio e dintorni.
Madeira ha inoltre confermato che le truppe di soldati etiopi entrati in Somalia la scorsa settimana, rientrano nella normale procedura di avvicendamento interno alla missione africana.
Dubbi sulla capacità di contrasto al terrorismo dell’esercito somalo
Il graduale ritiro dell’Amisom solleva preoccupazioni sull’effettiva capacità dello Sna e della polizia somala di contrastare la minaccia del gruppo terrorista di al-Shabaab legato ad al Qaeda.
Il 2017 ha segnato il decimo anniversario dell’Amisom, creata 19 gennaio 2007 dal Consiglio per la pace e la sicurezza dell’Unione africana (Ua) per stabilizzare la Somalia e ufficialmente approvata dalle Nazioni Unite il 20 febbraio 2007 con la risoluzione 1744.
L’Amisom è nata tecnicamente come un’operazione Peace Support, ovvero di appoggio all’apparato di sicurezza delle allora istituzioni federali somali di transizione nella lotta contro il movimento terrorista al-Shabaab. Alla missione prendono attualmente parte circa 22mila effettivi provienenti da cinque Paesi: Uganda, Burundi, Gibuti, Kenya ed Etiopia. Fino all’inizio del 2015 c’era anche un contingente di 850 soldati della Sierra Leone.
Nell’ultimo decennio, l’Amisom ha ottenuto notevoli successi nel contenere la minaccia del movimento estremista islamico, cacciandolo dalle sue roccaforti nella Somalia centro-meridionale, ma non è ancora riuscita ad addestrare le forze di sicurezza somale al punto di essere effettivamente in grado di contrastare un gruppo della potenza di al-Shabaab.
Molto resta da fare prima di arrivare alla completa unità di una forza nazionale di sicurezza somala. Inoltre, il piano Guulwade 2015 (Vittoria) del governo federale somalo mirato a potenziare l’esercito aveva riconosciuto che l’Sna era poco più di un insieme di milizie su base clanica, priva di una struttura centralizzata e dell’attaccamento a qualsiasi idea nazionale.
Difficoltà per la cooperazione nell’ambito della sicurezza interna
C’è inoltre da considerare, che la struttura federale della Somalia e la presenza nel Paese di regioni autonome complicano anche la cooperazione nell’ambito della sicurezza interna, ma soprattutto incidono significativamente sulla legittimazione dello Sna oltre la capitale Mogadiscio.
E se non si registreranno progressi per trovare una soluzione politica alle rivendicazioni delle regioni autonome del Puntland e Somaliland, è difficile prevedere come le questioni di sicurezza e di legittimazione possano essere adeguatamente risolte entro il prossimo triennio.
Peraltro, l’organizzazione si è dimostrata in grado di sopravvivere all’eliminazione dei suoi leader, alle perdite territoriali e alle divisioni interne. Mentre dai primi mesi del 2015, la sua capacità offensiva è tornata a materializzarsi in tutta la sua violenza, come dimostrano i centinaia di attacchi sferrati in tutta la Somalia e le stragi compiute nello stesso periodo anche in Kenya e Uganda.
Tutto questo dimostra che l’Amisom non ha avuto e non ha la forza di infliggere il colpo definitivo agli estremisti somali, che nel frattempo hanno ripreso il controllo di molte aree periferiche nel sud e nel centro del Paese, riacquistando la capacità di portare a termine attacchi letali su larga scala, anche nei confronti dei militari dell’Ua.
Senza contare, che gli osservatori ritengono che al-Shabaab potrebbe acquisire nuovi affiliati, che si unirebbero alle sue fila per vendetta alla direttiva del presidente americano Donald Trump, che ha ampliato i poteri che consentono al Dipartimento della Difesa Usa di condurre attacchi aerei e partecipare a raid terrestri contro il gruppo terroristico somalo.
Infine, al-Shabaab potrebbe continuare a sfruttare la profonda insoddisfazione della popolazione locale dettata da povertà, corruzione, disoccupazione, dall’emarginazione sociale, ma anche dal fallimento del governo nel garantire alla popolazione i servizi primari. Una serie di fattori che, secondo un recente report dell’Institute for Justice and Reconciliation di Città del Capo, inducono i somali ad avvicinarsi al gruppo jihadista.
Date simili premesse, la decisione di dare inizio all’exit strategy per l’Amisom appare prematura e pone le basi per una significativa escalation del conflitto e un elevato rischio di destabilizzazione dell’intero Paese.
@afrofocus
Il graduale ritiro dei soldati della missione di peacekeeping è un’ottima notizia per al-Shabaab. Ed equivale a una resa dell’Unione Africana. Perché i jihadisti sono stati colpiti ma non piegati. E l’esercito somalo non è ancora in grado di contenerne la potenza distruttiva