L’ex presidente georgiano viene arrestato con l’accusa di aver preso soldi da un oligarca filo-russo per rovesciare Poroshenko. I suoi sostenitori lo liberano e portano in trionfo a Maidan. È un altro colpo alla credibilità di Kiev, nel mirino di Usa e Ue per la corruzione e le mancate riforme
La giornata prometteva male già dall’inizio. Di buon mattino la polizia si è presentata alla casa di Kiev dell’ex presidente georgiano ed ex governatore della regione di Odessa per arrestarlo. Chiamati a raccolta via Facebook dal suo amico nonché ex procuratore della regione di Odessa David Sakvaredlize, migliaia di sostenitori di Mikhail Saakashvili si sono radunati sotto la sua casa, bloccando la via d’uscita alla polizia. Nel frattempo, in un rocambolesco tentativo di fuga, Saakashvili si è arrampicato sul tetto del palazzo, inseguito dagli agenti dei servizi di sicurezza, Sbu, che pare gli abbiano impedito di gettarsi di sotto.
Le cose sono peggiorate, però, proprio quando la polizia è riuscita a portare giù Saakashvili e a farlo salire su una camionetta blu. È stato allora infatti che i suoi sostenitori hanno assaltato il mezzo, divelto gli sportelli e lo hanno liberato. L’ex governatore è stato poi portato in trionfo sulla Maidan dalla folla che chiedeva gridando l’impeachment del presidente Petro Poroshenko.
Istituzioni impotenti
La sintesi della grottesca giornata è l’immagine di Saakashvili che, trionfante sul sagrato di una Chiesa, ringrazia la folla con le manette che pendono ancora dal polso destro.
Nel pomeriggio, il procuratore generale Yuri Lutsenko ha comunicato in conferenza stampa il capo d’accusa: Saakashvili avrebbe ricevuto mezzo milione di dollari dall’oligarca Serhiy Kurchenko, stretto alleato dell’ex presidente Viktor Yanukovich, fuggito in Russia all’indomani della Maidan. Con quei soldi, l’ex presidente georgiano avrebbe dovuto finanziare proteste di piazza contro Poroshenko e il governo per favorire un ritorno al potere degli uomini di Yanukovich. La procura ha anche diffuso un’intercettazione in cui Kurchenko e Saakashvili discutono il piano. Quest’ultimo ha rigettato l’accusa via Facebook.
Quello che è accaduto durante questa lunga giornata non è un fulmine a ciel sereno. Tre giorni prima, migliaia di sostenitori di Saakashvili hanno marciato a Kiev chiedendo la messa in stato d’accusa di Poroshenko. Il procuratore Lutsenko si è rivolto pubblicamente a Saakashvili chiedendogli di costituirsi, salvo poi emettere un nuovo ordine di cattura.
L’anima dell’Ucraina
La politica ucraina ci ha abituato alla sua tragicommedia. La scorsa estate, Poroshenko aveva privato Saakashvili della cittadinanza ucraina mentre quest’ultimo era all’estero. L’ex governatore di Odessa è però riuscito a rientrare nel Paese a settembre, portato a braccia da centinaia di suoi supporter che avevano forzato un posto di frontiera, immobilizzando le guardie. Un fatto gravissimo.
Ma è difficile non rendersi conto di come i fatti del 5 dicembre abbiano inflitto un colpo davvero duro alla credibilità dell’attuale governo e di tutte le istituzioni. Un colpo che si abbatte negli stessi giorni in cui Kiev ha visto sfumare l’ultima tranche da 600 milioni di euro di aiuti europei. La commissione Ue ha fatto sapere di aver bloccato il trasferimento perché il governo ucraino non ha portato avanti le riforme richieste sulla trasparenza del credito e sulle denunce dei redditi. E negli stessi giorni in cui il Dipartimento di Stato americano ha lanciato l’allarme per l’arresto di alcuni agenti dell’ufficio anti corruzione, Nabu, per l’arenarsi di indagini ad alto livello e per la fuga di materiale sensibile dai suoi uffici.
«Non serve a niente per l’Ucraina difendere il proprio corpo in Donbass, se perde la sua anima con la corruzione», ha detto il segretario di Stato, Rex Tillerson.
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L’ex presidente georgiano viene arrestato con l’accusa di aver preso soldi da un oligarca filo-russo per rovesciare Poroshenko. I suoi sostenitori lo liberano e portano in trionfo a Maidan. È un altro colpo alla credibilità di Kiev, nel mirino di Usa e Ue per la corruzione e le mancate riforme