Quale ruolo giocherà l’Italia nello scacchiere internazionale nel corso del 2024? Intervista con l’On. Giangiacomo Calovini (Fratelli d’Italia), deputato della Commissione Esteri, e l’On. Lia Quartapelle (Partito Democratico), Vicepresidente della III Commissione.
I mutamenti in corso nel sistema internazionale obbligano l’Italia, assieme agli altri maggiori Paesi dell’Unione europea, ad un’attenta analisi dei nuovi rischi e all’elaborazione di approcci e politiche per la gestione di questi. In questo scenario, il governo italiano ha il compito di far interagire in modo virtuoso il livello nazionale, la dimensione europea, quella transatlantica e, infine, quella multilaterale.
- NS) Numerosi fenomeni nell’ultimo decennio hanno mutato il contesto strategico dell’Alleanza atlantica. Se è indubbio che il conflitto in Ucraina ha parzialmente messo in stand by le dissonanze interne all’Alleanza, diversi elementi d’attrito permangono, primo fra tutti il dibattito sull’autonomia strategica europea. Quale pensate sia la postura che l’Italia dovrà tenere in seno alla Nato nel 2024 e come si dovrà posizionare nel dibattito sull’autonomia europea?
CALOVINI: Quando si parla di autonomia strategica europea si parla di una ridefinizione, di una rinegoziazione, del triangolo Stati Uniti-Nato-Unione europea, in tema di sicurezza e di difesa. In tal senso, due sono le linee emerse nel contesto dell’Unione, opposte e alternative, collocabili lungo un segmento che vede nel suo primo estremo “autonomia massima” e all’altro capo nessuna autonomia. Da una parte quindi la tesi massimalista francese, che declina il concetto di autonomia strategica come essenzialmente lo sganciamento, o il superamento, della dipendenza del continente europeo, in materia di armamenti e politica estera, dagli Stati Uniti d’America. All’estremo opposto, la cosiddetta “posizione zero”, predicata dal fianco Est che, per motivi storici e politici, nega semplicemente la possibilità che l’Unione europea si possa allontanare anche minimamente dall’ombrello Nato-Stati Uniti. Ed è proprio tra questi due estremi che l’Italia traduce il concetto di autonomia strategica. Un’autonomia strategica “all’italiana” – ma in sinergia con i tedeschi – volendo riprendere la voce autorevolissima del generale Claudio Graziano, ex-presidente del Comitato militare dell’Unione Europea, che, quando, interrogato sul modo migliore per declinare un concetto così scivoloso come quello di autonomia strategica, rispose che essa andava intesa, non come autonomia da qualcuno, ma come la capacità e la volontà di agire da soli quando e se necessario. Inoltre, la guerra in Ucraina ha reso evidente che non esiste sicurezza in Europa senza lo sforzo dell’alleato americano, soprattutto se si tiene conto della grande riduzione subita dalle forze armate europee dopo la fine della Guerra fredda e che, come ha più volte ribadito anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, semplicemente un esercito europeo esiste già e si chiama Nato. Questa posizione intermedia, che potremmo classificare come moderata, predica una complementarità con gli Stati Uniti. Posizione questa, che, peraltro, sarebbe pienamente compatibile con la richiesta di burden sharing che ormai da qualche anno arriva da Washington e con la volontà di quest’ultimo di spostare parte delle sue risorse a presidio del quadrante Indo-Pacifico in funzione di contenimento della Repubblica popolare cinese.
QUARTAPELLE: Quello che sta accadendo e accadrà in Ucraina deve servirci da campanello d’allarme per costruire l’Europa di domani. In Ucraina si giocano i nostri valori democratici: il rispetto della sovranità territoriale e del diritto internazionale. E si afferma la nostra idea di equilibrio globale messa in pericolo dall’attitudine imperialista di Vladimir Putin. Non possiamo stancarci, non possiamo affievolire il nostro impegno, soprattutto in un momento in cui anche il Congresso degli Stati Uniti è sotto scacco degli estremisti repubblicani e l’invio di forniture è a rischio. Avere una posizione netta e chiara di sostegno all’Ucraina vuol dire anche credere in un’Europa più compatta e capace di avere un ruolo nello scenario internazionale domani. In questo senso è fondamentale sviluppare un’autonomia strategica europea. L’Europa si fa o si disfa in Ucraina. Non voglio neanche pensare se dovesse vincere Donald Trump.
- NS) Il tragico conflitto in corso tra Hamas e lo stato di Israele pone gravi questioni di sicurezza regionale e globale. In questo quadro drammatico, l’Italia si è adoperata per tentare di porre fine alle violenze. Quale pensa debba essere il contributo che l’Italia dovrà dare nel 2024 per la risoluzione della crisi in corso?
CALOVINI: Il conflitto in corso tra Hamas e Israele costituisce un nuovo, tragico, gradino nella spirale crescente di violenza e insicurezza che circonda l’Italia e l’Europa. In questo quadro drammatico, la posizione italiana si muove lungo due binari principali concordati con gli alleati. In primo luogo, fermo sostegno ad Israele e una inequivocabile condanna degli spaventosi atti criminali di Hamas. In secondo luogo, la tutela della vita degli ostaggi, a partire dai bambini, su cui si concentrano gli sforzi diplomatici. Tutto ciò premesso, l’Italia deve mantenere un approccio di sostegno ad Israele e al contempo agire in maniera concertata con gli alleati e i partner per portare gli attori in guerra ad una de-escalation e per impedire che si cada nella trappola di uno scontro tra civiltà che avrebbe conseguenze inimmaginabili. In tal senso, fondamentale è l’impegno – e la necessità – di costruire un fronte solido e coeso per evitare l’escalation del conflitto ed il rischio del coinvolgimento di nuovi attori come il Libano e la Siria, ma anche – e soprattutto – di potenze come l’Iran e player geopolitici come la Russia e la Cina che non disdegnerebbero di vedere distolte le attenzioni dell’Occidente da altri scenari critici. L’Italia – come l’Europa – deve avere il coraggio di assumere una posizione chiara, continuando ogni sforzo per restare al fianco di Israele e dell’Ucraina, non dimenticando mai che la forma che le potenze revisioniste aspirano a dare al mondo lo renderebbe meno sicuro e meno giusto per ciascuno di noi, non solo per gli Stati e i popoli che sono direttamente coinvolti nei conflitti.
QUARTAPELLE: Nell’anno a venire l’Italia deve distinguersi in Europa come un interlocutore fondamentale nella risoluzione della guerra tra Hamas e Israele. Per la nostra posizione geografica e per la nostra storia, è necessario porsi come guida all’interno di un processo europeo che avvicini la regione ad una pace duratura. Serve quindi che Benjamin Netanyahu, che boicotta il processo di pace dal 1994 e che oggi pericolosamente antepone la sua sopravvivenza politica alle esigenze di sicurezza di Israele e alla pace, venga sconfitto dall’opposizione democratica. Bisogna aiutare chi lavora per un Israele del domani che sia più democratico, laico e rispettoso del diritto. Al tempo stesso, serve cercare e trovare interlocutori tra i Palestinesi tra chi è interessato a un processo politico che porti ad avere un proprio stato e un proprio governo, che non può e non deve essere di stampo radicale.
- NS) Il Piano Mattei è rapidamente diventato il progetto di punta in politica estera dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni. Quale pensa sarà il suo impatto sul continente africano? Nel nuovo dinamismo internazionale rivendicato da questo governo anche l’America latina potrebbe guadagnare maggiore attenzione: rispetto a quest’area l’Italia ha rinunciato al suo ruolo d’interlocutore privilegiato?
CALOVINI: L’Africa è sempre più terreno di competizione. Oggi gli stati africani sono preda di potenze autoritarie che vedono il continente come mero oggetto d’interessi economici e di approvvigionamento. A queste politiche predatorie l’Italia contrappone l’azione di una diplomazia basata sull’armonia degli intenti e la complementarità dei fini. In tal senso, il Piano Mattei è anzitutto un quadro di riferimento valoriale e ideale della strategia politica che l’Italia ha e – con questo Governo – sente il dovere di portare avanti verso il continente africano. Ovviamente questo governo non ha la presunzione di pensare di poter da solo risolvere tali problematiche. Il Piano Mattei va, pertanto, interpretato come complementare alle strategie d’intervento delineate in sede comunitaria, dove la Global Gateway rappresenta l’esempio più concreto. È questo l’obiettivo a cui tendono gli sforzi del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e del Ministro degli Esteri Antonio Tajani: riuscire nella saldatura tra interessi italiani e interessi europei. Inoltre, l’Italia è al centro dei principali strumenti internazionali di cooperazione multilaterale. D’altro canto, il nuovo modello di cooperazione italiano ha più volte dato prova della sua resilienza e robustezza. Per rimanere nel contesto africano, basti pensare come le recenti tensioni in Medio Oriente non abbiano modificato in alcun modo il rapporto con l’Algeria, primo fornitore di gas dell’Italia.
Per quanto attiene all’America latina, il 16 marzo si è tenuto l’ultimo vertice tra il Vice-presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, On. Antonio Tajani, e gli Ambasciatori dei Paesi dell’America latina. Testimonianza che, nel nuovo dinamismo internazionale dimostrato da questo governo, i Paesi latinoamericani, in virtù dei legami storici, sociali, politici ed economici, nonché delle affinità culturali e della comunanza di valori con l’Italia, costituiscono un’area di interesse strategico per il nostro Paese che può legittimamente proporsi come ponte – congiuntamente ai nostri partner europei, tra le due sponde dell’Oceano Atlantico. L’Italia riserva storicamente alla regione una posizione preminente nella sua politica estera in ragione anche delle numerose comunità italiane presenti e della loro rilevanza. L’America latina offre opportunità politiche ed economiche straordinarie sia sul piano bilaterale, per la promozione del sistema Italia, sia su quello multilaterale, per costruire una governance globale più efficace ed inclusiva. Assieme ai Paesi latinoamericani questo governo ha dimostrato di difendere e promuovere istituzioni e valori democratici. È proprio nel difficile contesto attuale, che l’Italia intende rafforzare i suoi legami con i Paesi dell’area, consolidando le relazioni politiche ed economiche attraverso i consueti meccanismi di dialogo bilaterale e multilaterale, affrontando, insieme, le complesse sfide globali che ci attendono quali lo sviluppo sostenibile, equità sociale ed istituzioni legittime e funzionanti.
QUARTAPELLE: Come opposizione, vogliamo prendere sul serio l’iniziativa del governo sull’Africa. Riteniamo che sia un tema cruciale per il futuro della nostra politica estera. Sappiamo infatti che l’importanza dell’Africa nelle relazioni internazionali crescerà negli anni a venire e che dallo sviluppo o dal mancato sviluppo del continente dipenderà la crescita armoniosa del mondo oppure l’arrivo di grosse instabilità. L’Italia, che per geografia è posizionata nel punto di incontro tra continente europeo e quello africano, è il primo Paese che può essere investito dai rischi che provengono dall’Africa o dalle sue grandi opportunità. Per ora però l’intuizione giusta del governo sta soltanto diventando motivo di derisione internazionale. Dal poco che il governo ha anticipato, è chiaro che il Piano Mattei sia infatti una scatola vuota avvolta da un’aura di mistero: non si capisce quale sia la visione del progetto, in che modo questo sia diverso da strumenti usati in passato per la cooperazione internazionale, chi lo dirigerà e quali siano i veri interlocutori a cui ci rivolgiamo. Il governo ha stanziato solo 2,8 mln di euro per un Piano che dovrebbe riguardare 54 Paesi. Per metterla in prospettiva: la Cina spende, ogni anno, almeno 10 miliardi tra crediti, investimenti e aiuti verso il continente africano. Ma prendendo anche un nostro omologo europeo, come la Francia o la Germania, vediamo che i soldi investiti sono circa un miliardo ogni anno per tenere rapporti, per favorire iniziative di sviluppo e di investimento. Il governo vuole fare una cosa nuova senza soldi, senza le risorse umane che di solito si occupano delle relazioni con l’Africa, senza coinvolgere chi, in Italia, ha già i rapporti con l’Africa e pretendendo che vi sia riconosciuta la natura solidale del nostro interesse. Anche i termini che vengono utilizzati dal governo sono ambigui: il presidente del Consiglio Giorgia Meloni parla di un nuovo modo di rapportarsi con i Paesi africani, che non ha niente a che vedere con le logiche predatorie o neo-coloniali di altri Paesi europei.
Sull’America Latina penso che l’Italia abbia rinunciato al suo ruolo di interlocutore privilegiato ma che dovrebbe invece ripristinarlo. Guardare all’America latina oggi è infatti essenziale, perché è lì dove si vince o si perde la battaglia per il consolidamento delle democrazie. Se nel continente asiatico e quello africano negli ultimi anni abbiamo assistito ad un arretramento delle democrazie, in America latina, con la presidenza di Luiz Inàcio Lula da Silva c’è stata una forte reazione in senso pro-democratico da parte di un Paese che fino a pochi anni fa stava sotto una dittatura. Bisogna quindi guardare con attenzione a quello che sta succedendo nel continente e soprattutto tenere d’occhio le varie elezioni che ci sono state e le loro implicazioni per gli assetti regionali, come quelle che hanno portato alla vittoria di Javier Milei in Argentina o di Daniel Noboa in Ecuador, e a quelle che ci saranno nel corso di quest’anno. È importante poi che l’Italia stia dalla parte di chi in questi Paesi riconosce i diritti umani come fondamento di governo. In questo senso la scelta del Ministro Carlo Nordio di non estradare Don Franco Reverberi in Argentina per i crimini che ha commesso è sbagliata.
I mutamenti in corso nel sistema internazionale obbligano l’Italia, assieme agli altri maggiori Paesi dell’Unione europea, ad un’attenta analisi dei nuovi rischi e all’elaborazione di approcci e politiche per la gestione di questi. In questo scenario, il governo italiano ha il compito di far interagire in modo virtuoso il livello nazionale, la dimensione europea, quella transatlantica e, infine, quella multilaterale.
CALOVINI: Quando si parla di autonomia strategica europea si parla di una ridefinizione, di una rinegoziazione, del triangolo Stati Uniti-Nato-Unione europea, in tema di sicurezza e di difesa. In tal senso, due sono le linee emerse nel contesto dell’Unione, opposte e alternative, collocabili lungo un segmento che vede nel suo primo estremo “autonomia massima” e all’altro capo nessuna autonomia. Da una parte quindi la tesi massimalista francese, che declina il concetto di autonomia strategica come essenzialmente lo sganciamento, o il superamento, della dipendenza del continente europeo, in materia di armamenti e politica estera, dagli Stati Uniti d’America. All’estremo opposto, la cosiddetta “posizione zero”, predicata dal fianco Est che, per motivi storici e politici, nega semplicemente la possibilità che l’Unione europea si possa allontanare anche minimamente dall’ombrello Nato-Stati Uniti. Ed è proprio tra questi due estremi che l’Italia traduce il concetto di autonomia strategica. Un’autonomia strategica “all’italiana” – ma in sinergia con i tedeschi – volendo riprendere la voce autorevolissima del generale Claudio Graziano, ex-presidente del Comitato militare dell’Unione Europea, che, quando, interrogato sul modo migliore per declinare un concetto così scivoloso come quello di autonomia strategica, rispose che essa andava intesa, non come autonomia da qualcuno, ma come la capacità e la volontà di agire da soli quando e se necessario. Inoltre, la guerra in Ucraina ha reso evidente che non esiste sicurezza in Europa senza lo sforzo dell’alleato americano, soprattutto se si tiene conto della grande riduzione subita dalle forze armate europee dopo la fine della Guerra fredda e che, come ha più volte ribadito anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, semplicemente un esercito europeo esiste già e si chiama Nato. Questa posizione intermedia, che potremmo classificare come moderata, predica una complementarità con gli Stati Uniti. Posizione questa, che, peraltro, sarebbe pienamente compatibile con la richiesta di burden sharing che ormai da qualche anno arriva da Washington e con la volontà di quest’ultimo di spostare parte delle sue risorse a presidio del quadrante Indo-Pacifico in funzione di contenimento della Repubblica popolare cinese.