«Non so quanto sia esteso il coinvolgimento militare della Russia in Siria, ancora non ne è chiara la portata», ha dichiarato alla Reuters lo scorso nove settembre Amos Gilad, consigliere anziano del ministro israeliano della Difesa, Moshe Yaalon. «Non hanno ancora cominciato a operare. Per ora stanno rafforzando il loro potenziale».
L’intensificarsi della presenza di Mosca a sostegno del regime di Bashar al Assad, suo alleato storico e nel cui territorio risiede la importante base navale russa di Tartus, preoccupa Israele – che dovrà stare attenta a non colpire obiettivi russi nei suoi, ad ora sporadici e di carattere preventivo, raid contro l’esercito siriano e soprattutto contro Hezbollah – e interroga l’Occidente. Finora il Cremlino ha negato l’intenzione di intervenire militarmente in modo massiccio nella guerra civile siriana, ma ha ammesso il recente invio di armi, del resto oramai evidente. Prima indiscrezioni di stampa, poi un report della Cia, e infine anche del materiale fotografico (in parte prodotto dagli stessi militari russi) avevano confermato la presenza di carri armati BTR-82, di fanteria e corpi speciali di Mosca, nonché di installazioni per il controllo aereo da installare a Latakia. Sono poi stati segnalati movimenti di navi russe con materiale bellico diretto in Siria. A questo punto la portavoce del ministro degli Esteri Maria Zakharova ha ammesso l’intenzione di rafforzare Assad, spiegando che la consegna degli armamenti ha l’obiettivo di «scoraggiare la minaccia terroristica in Siria, giunta a un livello senza precedenti».
«L’impegno di Mosca – materiale e istruttori – in Siria non è una novità né un mistero, era già stato confermato in passato dallo stesso Putin come parte della strategia russa di lotta al terrorismo», spiega Germana Tappero Merlo, analista esperta di geopolitica e contro-terrorismo. «Nell’Isis sono infatti coinvolti sia ceceni che daghestani, e il Cremlino teme un possibile “ritorno di fiamma” nel Caucaso. Tuttavia in primo luogo il sostegno russo ad Assad è precedente all’arrivo dello Stato Islamico (Damasco veniva aiutata già nella prima fase della guerra civile, quando gli insorti erano ancora in prevalenza moderati) e, inoltre, di recente tale sostegno è sicuramente aumentato, come confermato dalle foto degli stessi soldati russi e da rilevazioni satellitari americane. Secondo fonti occidentali questa potrebbe essere una mossa di posizionamento già in ottica post-Assad per cui la Russia, blindando la propria presenza militare, si garantisce una posizione negoziale di forza quale che sia l’esito del conflitto. Ma esiste il timore – espresso anche dal Segretario di Stato americano Kerry – che ad un maggior coinvolgimento di Mosca nel conflitto faccia seguito un’ulteriore escalation delle violenze. In particolare il rischio è che ne traggano vantaggio gli estremisti islamici (Stato Islamico in primis), che aumenti ancor di più l’instabilità del Paese e che le possibilità, già scarse, di una soluzione diplomatica vengano definitivamente compromesse».
Ma, come spesso accade quando si parla di Russia, è difficile separare la propaganda (di tutte le parti coinvolte) dalla verità. «Putin sostiene che i rumors circa un prossimo intervento di Mosca in Siria siano voci per mettere in cattiva luce la Russia, e per gravarla della responsabilità dell’escalation e del peggioramento del conflitto siriano», prosegue Tappero Merlo. «Di sicuro negli Usa, e anche in Israele, chi è ostile all’accordo sul nucleare con l’Iran cerca di amplificare i pericoli legati all’aumento della presenza russa in Siria, per dimostrare che le scelte dell’amministrazione Obama hanno deteriorato la situazione sul campo e hanno aperto spazi di manovra per “l’odiata” Russia». Dall’eventuale intervento russo avrebbe da guadagnarci infatti, oltre ovviamente ad Assad, soprattutto l’Iran. «A Teheran interessa non solo la difesa del proprio alleato in Siria, ma anche rafforzare il legame con Mosca. Di recente la Russia ha venduto molti armamenti agli Stati del Golfo, avversari dell’Iran (la cosa non deve stupire vista la centralità delle esportazioni di armi nella sua economia ndr.)» continua Tappero Merlo, e conclude: «Per gli Ayatollah iraniani diventa quindi fondamentale avere un rapporto il più stretto possibile col Cremlino – anche in vista delle fine, tra cinque anni, dell’embargo sulle armi convenzionali di cui è oggetto -, per posizionarsi nel migliore dei modi nello scontro in corso (e pare destinato a protrarsi ancora per anni) con i Sauditi».
Le ragioni che tuttavia sconsigliano alla Russia di intervenire via terra in modo determinante sono le stesse che hanno fin qui frenato l’Occidente: sul territorio regna il caos, con fazioni frammentate e una situazione liquida difficile da leggere; inoltre a livello regionale la partita è tra Iran e Arabia Saudita, e Mosca – pur avendo un legame ad oggi più stretto con Teheran – non ha interesse a inimicarsi eccessivamente Riad. Intervenire militarmente significherebbe poi esporsi a pesanti attacchi, in Siria ma anche in patria, da parte del terrorismo jihadista, comprometterebbe le relazioni con la Turchia (che dalla sconfitta dell’Isis e della ribellione in generale teme possano avvantaggiarsi i Curdi, per creare un’entità autonoma ai suoi confini) e con altri attori regionali come il Qatar. Tuttavia un importante aiuto alla causa di Assad, diretto ma non eccessivamente visibile, non è da escludere. In questo caso il regime siriano guadagnerebbe un fondamentale puntello di sostegno (e Iran ed Hezbollah ne trarrebbero beneficio), la ribellione (specie nelle sue componenti estranee all’Isis) vedrebbe ulteriormente assottigliarsi le proprie chance di vittoria, e lo Stato Islamico guadagnerebbe probabilmente in popolarità (e magari anche nei finanziamenti che le provengono dagli Stati sunniti del Golfo), pur magari perdendo una fetta del territorio che attualmente controlla. In quest’ultimo caso Mosca dovrebbe comunque essere cauta nel non avvantaggiare eccessivamente i curdi, per non correre il rischio di esacerbare i rapporti con Ankara, con cui ha fondamentali legami economici e progetti per il futuro.
«Non so quanto sia esteso il coinvolgimento militare della Russia in Siria, ancora non ne è chiara la portata», ha dichiarato alla Reuters lo scorso nove settembre Amos Gilad, consigliere anziano del ministro israeliano della Difesa, Moshe Yaalon. «Non hanno ancora cominciato a operare. Per ora stanno rafforzando il loro potenziale».
L’intensificarsi della presenza di Mosca a sostegno del regime di Bashar al Assad, suo alleato storico e nel cui territorio risiede la importante base navale russa di Tartus, preoccupa Israele – che dovrà stare attenta a non colpire obiettivi russi nei suoi, ad ora sporadici e di carattere preventivo, raid contro l’esercito siriano e soprattutto contro Hezbollah – e interroga l’Occidente. Finora il Cremlino ha negato l’intenzione di intervenire militarmente in modo massiccio nella guerra civile siriana, ma ha ammesso il recente invio di armi, del resto oramai evidente. Prima indiscrezioni di stampa, poi un report della Cia, e infine anche del materiale fotografico (in parte prodotto dagli stessi militari russi) avevano confermato la presenza di carri armati BTR-82, di fanteria e corpi speciali di Mosca, nonché di installazioni per il controllo aereo da installare a Latakia. Sono poi stati segnalati movimenti di navi russe con materiale bellico diretto in Siria. A questo punto la portavoce del ministro degli Esteri Maria Zakharova ha ammesso l’intenzione di rafforzare Assad, spiegando che la consegna degli armamenti ha l’obiettivo di «scoraggiare la minaccia terroristica in Siria, giunta a un livello senza precedenti».