Dopo mesi sulle difensive, lo Stato Islamico ha sferrato nei giorni scorsi un contrattacco vincente nel nord della Siria. La città di al-Ra’i, appena persa, è stata riconquistata, e il corridoio in mano ai ribelli filo-turchi tra Azaz e Marea (dove sono accampate decine di migliaia di profughi) è stato attaccato e razziato. La notizia è tanto più amara per Ankara, che in questo settore aveva da poco avviato una nuova strategia – concordata con gli Usa – per difendere i propri interessi.
«Le forze speciali possono guidare i ribelli siriani», aveva dichiarato a inizio aprile il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, a margine della visita del presidente Erdogan a Washington. «Con un addestramento aggiuntivo, si possono preparare dei quadri per comandarli. L’idea è di non mandare il nostro esercito, ma spostare il Free Syrian Army dal nord-ovest all’area sotto il controllo dell’Isis. La Turchia fornirà supporto aereo e terrestre dal suo lato del confine. Abbiamo i mezzi per farlo ed è così che quell’area verrà ripulita dallo Stato Islamico». E così è stato. Nella prima settimana di aprile i ribelli – turcomanni, Fsa e salafiti (Ahrar al sham e altri gruppi jihadisti), che già in passato avevano goduto del sostegno turco – sono stati armati e consigliati da Ankara e il 7 sono cominciate le operazioni. Il piano, in sintesi, era di ripulire dall’Isis la fascia di territorio al confine tra Siria e Turchia – la “buffer zone” che la Turchia chiede insistentemente dall’inizio della guerra e che ora, dopo l’escalation di tensioni con la Russia, non può sperare di creare in prima persona -, liberando in particolare al-Ra’i e il valico di Jarablus. In questo modo si sarebbe anche evitato che l’area cadesse un domani nelle mani del Ypg curdo-siriano, unica forza che ha finora ottenuto significativi risultati contro l’Isis, e che accerchia da est e da ovest l’area di confine controllata dallo Stato Islamico, ma il cui possibile intervento è osteggiato da Ankara per il suo legame col Pkk (il partito marxista turco-curdo considerato dalla Turchia un’organizzazione terroristica, con cui infuriano gli scontri da quasi un anno nel sud-est del Paese).
Grazie al sostanziale contributo dell’aviazione e dell’artiglieria turca, i ribelli tra il 7 e il 10 aprile avanzano lungo il confine, incontrando scarsa resistenza da parte degli uomini del Califfo che si ritirano, e conquistano al-Ra’i. L’11 però la situazione si rovescia. Sfruttando l’allungamento delle linee ribelli, gli uomini dell’Isis sferrano un massiccio attacco con uomini e mezzi esplosivi. Al-Ra’i è martoriata da 11 camion-bomba, e cade rapidamente. Così molti villaggi circostanti. Il panico si diffonde anche nei campi profughi, e un fiume umano si riversa al confine con la Turchia, implorando di farli passare. Nei giorni successivi il guadagno territoriale per lo Stato Islamico si ridimensiona (non poteva del resto sperare di mantenere il controllo su una fascia di Siria che è all’interno del perimetro di gittata dell’artiglieria turca, se la Turchia decide di impedirglielo), ma la vittoria è comunque fondamentale. In primo luogo l’Isis ha catturato armi avanzate e munizioni in grandi quantità (materiale bellico da poco fornito ai ribelli da Ankara), poi ha ottenuto un successo di immagine dopo mesi di difficoltà, infine ha esasperato la situazione dei profughi (alcune fonti temono anche possibili infiltrazioni) mettendo in difficoltà la Turchia.
La situazione per il presidente turco Erdogan è molto complicata. Questa debacle dei ribelli (e della Turchia) probabilmente non sarà sufficiente per far cambiare i piani a Washington – che ancora spera di poter isolare lo Stato Islamico tagliandolo definitivamente fuori dal confine con la Turchia (pare che proprio dal valico di Jarablus passino armi e uomini destinati al Califfato) ricorrendo ai ribelli e non ai curdi, cosa che causerebbe uno scontro diretto con Ankara -, ma altri errori potrebbero non essere tollerati. Per ora, nei piani degli Usa, i curdi-siriani verranno impiegati per un’offensiva nella stessa zona ma più a sud, verso la città di Manbij, col supporto aereo americano (l’attacco sarebbe già dovuto scattare, in contemporanea con quello dei ribelli verso al-Ra’i e oltre, ma vista la dura battuta d’arresto è per ora stato rimandato). Ma il loro spazio di manovra potrebbe aumentare in futuro se i ribelli filo-turchi dovessero fallire nuovamente.
Se, infatti, i ribelli supportati da Ankara dovessero dimostrare nuovamente la propria inadeguatezza a sconfiggere militarmente lo Stato Islamico (circolano anche accuse di tradimento tra le fila ribelli, con alcune componenti che sospettano altre di aver passato informazioni agli uomini dell’Isis), la Casa Bianca potrebbe decidere di puntare tutto sull’Ypg, lasciando che avanzi da est verso ovest (su Manbij e magari anche su Jarablus), e forse anche da ovest verso est, cioè da Tall Rifat verso Al-Bab. L’Isis verrebbe chiuso in una sacca, ma il prezzo da pagare sarebbe molto elevato in termini di relazioni tra Turchia e suoi alleati occidentali. Ankara sarebbe infatti furiosa, perché si concretizzerebbe il suo incubo di avere un’entità curda unitaria (dove i cantoni orientali e quelli occidentali del kurdistan siriano sono finalmente uniti senza soluzione di continuità) al proprio confine meridionale. Un’eventualità tanto più pericolosa nel momento in cui nel sud-est della Turchia infuriano gli scontri col Pkk e, dall’altro del confine, i curdi-siriani hanno formalmente presentato richiesta di riconoscimento dei loro territori (il Rojava) come una federazione autonoma.
Dopo mesi sulle difensive, lo Stato Islamico ha sferrato nei giorni scorsi un contrattacco vincente nel nord della Siria. La città di al-Ra’i, appena persa, è stata riconquistata, e il corridoio in mano ai ribelli filo-turchi tra Azaz e Marea (dove sono accampate decine di migliaia di profughi) è stato attaccato e razziato. La notizia è tanto più amara per Ankara, che in questo settore aveva da poco avviato una nuova strategia – concordata con gli Usa – per difendere i propri interessi.
«Le forze speciali possono guidare i ribelli siriani», aveva dichiarato a inizio aprile il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, a margine della visita del presidente Erdogan a Washington. «Con un addestramento aggiuntivo, si possono preparare dei quadri per comandarli. L’idea è di non mandare il nostro esercito, ma spostare il Free Syrian Army dal nord-ovest all’area sotto il controllo dell’Isis. La Turchia fornirà supporto aereo e terrestre dal suo lato del confine. Abbiamo i mezzi per farlo ed è così che quell’area verrà ripulita dallo Stato Islamico». E così è stato. Nella prima settimana di aprile i ribelli – turcomanni, Fsa e salafiti (Ahrar al sham e altri gruppi jihadisti), che già in passato avevano goduto del sostegno turco – sono stati armati e consigliati da Ankara e il 7 sono cominciate le operazioni. Il piano, in sintesi, era di ripulire dall’Isis la fascia di territorio al confine tra Siria e Turchia – la “buffer zone” che la Turchia chiede insistentemente dall’inizio della guerra e che ora, dopo l’escalation di tensioni con la Russia, non può sperare di creare in prima persona -, liberando in particolare al-Ra’i e il valico di Jarablus. In questo modo si sarebbe anche evitato che l’area cadesse un domani nelle mani del Ypg curdo-siriano, unica forza che ha finora ottenuto significativi risultati contro l’Isis, e che accerchia da est e da ovest l’area di confine controllata dallo Stato Islamico, ma il cui possibile intervento è osteggiato da Ankara per il suo legame col Pkk (il partito marxista turco-curdo considerato dalla Turchia un’organizzazione terroristica, con cui infuriano gli scontri da quasi un anno nel sud-est del Paese).
Grazie al sostanziale contributo dell’aviazione e dell’artiglieria turca, i ribelli tra il 7 e il 10 aprile avanzano lungo il confine, incontrando scarsa resistenza da parte degli uomini del Califfo che si ritirano, e conquistano al-Ra’i. L’11 però la situazione si rovescia. Sfruttando l’allungamento delle linee ribelli, gli uomini dell’Isis sferrano un massiccio attacco con uomini e mezzi esplosivi. Al-Ra’i è martoriata da 11 camion-bomba, e cade rapidamente. Così molti villaggi circostanti. Il panico si diffonde anche nei campi profughi, e un fiume umano si riversa al confine con la Turchia, implorando di farli passare. Nei giorni successivi il guadagno territoriale per lo Stato Islamico si ridimensiona (non poteva del resto sperare di mantenere il controllo su una fascia di Siria che è all’interno del perimetro di gittata dell’artiglieria turca, se la Turchia decide di impedirglielo), ma la vittoria è comunque fondamentale. In primo luogo l’Isis ha catturato armi avanzate e munizioni in grandi quantità (materiale bellico da poco fornito ai ribelli da Ankara), poi ha ottenuto un successo di immagine dopo mesi di difficoltà, infine ha esasperato la situazione dei profughi (alcune fonti temono anche possibili infiltrazioni) mettendo in difficoltà la Turchia.
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