Fino a pochi anni fa, i mercati finanziari dei titoli di stato erano praticamente preclusi ai Paesi dell’Africa sub-sahariana, oggi, invece, molti Stati della macroregione stanno emettendo bond sovrani.
Tra questi Nigeria e al Sudafrica, che vantano i mercati di capitali più sviluppati dell’area, ma si registra una crescente intraprendenza verso le obbligazioni anche da parte di Paesi africani con livelli di capitalizzazione nettamente inferiori a quelli delle due economie più sviluppate del continente.
Tra questi, Zambia, Gabon, Ghana, Senegal, Angola, Tanzania, Etiopia, Ruanda e Namibia, che stanno dimostrando un particolare dinamismo sulle emissioni di debito sovrano, come certificato dai sette miliardi dollari di obbligazioni africane emesse nel 2014, secondo i dati resi noti dalla società di ricerche di mercato Dealogic.
Del resto, l’Africa è oggi la seconda area a maggior tasso di crescita economica a livello mondiale, dopo quella asiatica, con ben undici Paesi tra le prime venti economie per tasso di crescita del Pil. Anche le ultime stime della Banca Mondiale, prevedono che nel 2015 il Pil dell’Africa sub-sahariana rimarrà stabile al 4,6% come quello dello scorso anno, ma che entro il 2017 arriverà al 5,1%.
Una previsione ampiamente confermata dall’ultimo report di EY “Africa 2030: Realizing the possibilities”, in cui il network mondiale di servizi professionali di revisione analizza come la crescita esponenziale del commercio dell’Africa con il resto del mondo e i massicci investimenti operati da compagnie straniere, abbiano creato le basi per lo sviluppo economico di molti Paesi africani.
Non mancano, dunque, le motivazioni per spiegare l’interesse degli investitori verso le economie africane. Tuttavia, occorre rilevare che la graduale evoluzione dei mercati dei capitali in Africa ha coinciso con un periodo di tassi di interesse storicamente bassi in tutti Paesi sviluppati, cha indotto gli investitori ad orientarsi verso i mercati africani, attratti dalla mancanza di rendimenti interessanti altrove.
Una scelta che spesso non tiene conto che questi mercati sono inseriti in un contesto ad alto rischio sia dal punto di vista della volatilità sia dei fondamentali. Un rischio documentato dai rating sul debito assegnati ai sedici paesi dell’area sub-sahariana monitorati dall’agenzia Standard & Poor’s, che ad esclusione di Botswana e Sudafrica, valuta tutti gli Stati africani sotto il livello di investment grade, con giudizi che oscillano tra BB- (con outlook negativo sul lungo periodo) e B-.
Non possiamo, inoltre, dimenticare che ci troviamo in una regione che in larga parte presenta tangibili difficoltà per attivare una presenza strutturale di processi produttivi duraturi. Senza contare, l’insicurezza e l’instabilità politica di molti Paesi dell’area, ancora fortemente esposti a inattesi cambiamenti di governo.
C’è inoltre da aggiungere che i recenti trend dei mercati sono caratterizzati da fattori esterni sempre meno favorevoli per i paesi dell’Africa sub-sahariana. In primo luogo, i tassi di interesse ai minimi storici che prevalgono negli Stati Uniti sono destinati ad aumentare entro i prossimi dodici mesi. Questo comporta che la propensione al rischio degli investitori stranieri, pur rimanendo elevata, tende a scendere quando i tassi di interesse globali aumentano e diminuiscono i tassi di crescita.
Altro elemento che potrebbe influenzare in maniera negativa i mercati africani è il calo del prezzo del greggio, sceso lunedì scorso fino a quota 43 dollari al barile (WTI), i minimi dalla primavera del 2009. Di conseguenza, per molti Stati africani, le cui economie sono legate a doppio filo al comparto energetico, un petrolio troppo conveniente rischia di incidere pesantemente sui bilanci statali.
Ciononostante, la corsa alle emissioni governative sub-sahariane prosegue a ritmi serrati, come dimostra il successo riscosso dall’ultimo collocamento della Costa d’Avorio, da poco uscita dal default, che a fine febbraio ha raccolto un miliardo di dollari presso investitori istituzionali emettendo obbligazioni con una maturità media di dodici anni, rimborsabili in tre rate nel 2026, 2027 e 2028, a un tasso d’interesse del 6,625%.
L’emissione rappresenta la seconda realizzata in dollari statunitensi dal Tesoro ivoriano, dopo il collocamento dello scorso luglio, quando furono emessi 750 milioni di dollari a dieci anni con un tasso iniziale del 5,625%, salito oggi a circa il 6%. Anche in questa occasione, la richiesta di titoli del governo di Abidjan fu superiore alle attese, oltrepassando la soglia dei cinque miliardi di dollari, sei volte superiore all’offerta.
Prima di intraprendere acquisti di titoli sovrani di Paesi sub-sahariani, occorre anche tenere in considerazione che il debito africano, tranne qualche emissione corporate sudafricana in euro, è praticamente tutto in valuta statunitense. E se è pur vero che la divisa americana sia ormai vicina alla parità con la moneta europea e decidere di operare un investimento in dollari può essere ancora interessante, è necessario considerare l’elevata volatilità del cambio, che richiede un approccio selettivo anche sull’obbligazionario.
Per operare in tal senso, il mese scorso la Banca africana di sviluppo (AfDB) ha lanciato l’AFMISM Bloomberg® African Bond Index (ABABI), che segue l’andamento dell’indebitamento sovrano di alcuni Paesi africani. Fornendo parametri di riferimento trasparenti e credibili, l’ABABI sarà in grado di offrire agli investitori uno strumento in grado di misurare e monitorare costantemente l’andamento dei mercati obbligazionari africani.
Stefan Nalletamby, direttore responsabile del dipartimento per lo sviluppo del settore finanziario della AfDB, sul sito dell’istituto finanziario africano ha spiegato che il lancio di questo indice composito avviene idealmente in un momento in cui sono sempre più presenti capitali nazionali sui mercati del continente, che diventano una fonte indispensabile di finanziamento per lo sviluppo economico dei Paesi africani.
Ci sono quindi valide premesse per sviluppare un nuovo corso non più basato su aiuti internazionali e debiti passivi, ma su prestiti obbligazionari, che i governi africani, allo stesso modo di quelli occidentali, rimborsano ai mercati con programmi di restituzione pluriennali in cambio di interessi. Una massa di liquidità che potrebbe tornare utile per finanziare progetti infrastrutturali in molti Stati africani.
Fino a pochi anni fa, i mercati finanziari dei titoli di stato erano praticamente preclusi ai Paesi dell’Africa sub-sahariana, oggi, invece, molti Stati della macroregione stanno emettendo bond sovrani.
Tra questi, Zambia, Gabon, Ghana, Senegal, Angola, Tanzania, Etiopia, Ruanda e Namibia, che stanno dimostrando un particolare dinamismo sulle emissioni di debito sovrano, come certificato dai sette miliardi dollari di obbligazioni africane emesse nel 2014, secondo i dati resi noti dalla società di ricerche di mercato Dealogic.