Da Lennon a Darth Vader, la cosiddetta decomunistizzazione dell’Ucraina sta generando dei mostri e innescando meccanismi di ritorsione che rischiano di lasciare sul campo innocenti vittime collaterali.
David Randall faceva la scorsa settimana su Internazionale una riflessione sulla tentazione iconoclasta di quei moralizzatori che amano prendersela con i monumenti. «Va bene abbattere le statue di Lenin, ma dobbiamo davvero cercare tutte le cose imbarazzanti del nostro passato solo per dimostrare quanto siamo progrediti?», ha scritto prendendo spunto da chi in America vuole cancellare il nome di Thomas Jefferson, terzo presidente degli Usa, per aver avuto una relazione con una schiava.
In Ucraina non hanno dubbi. Sull’onda della decomunistizzazione del Paese – sancita con una legge firmata dal presidente Petro Poroshenko lo scorso aprile – centinaia, forse migliaia di strade, edifici, piazze e monumenti stanno passando sotto la ghigliottina di un giustizialismo toponomastico, a volte un po’ bigotto e ottuso. Ora, capisco l’esempio citato da Randall, ma siamo davvero sicuri che vada bene abbattere le statue di Lenin? Proprio tutte?
Via Lennon
Qualche dubbio sorge quando si vedono i risultati. Come a Kalyny, un villaggio della Transcarpazia, dove via Lenin è diventata via Lennon, John Lennon. L’ha voluto il governatore della regione, Hennadiy Moskal, evidentemente fan dei Beatles. O come a Odessa, dove una statua del padre della Rivoluzione d’Ottobre è stata sostituita da una di Darth Vader, l’oscuro personaggio della saga di Guerre Stellari.
In tutti e due i casi, la trasformazione è stata possibile grazie alla legge – anzi, al pacchetto di leggi – sulla decomunistizzazione dell’Ucraina. Una serie di provvedimenti – che, tra le altre cose, hanno messo al bando il partito Comunista e hanno equiparato il comunismo al nazismo – molto criticate dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani. L’Osce ha espresso il dubbio che la legge possa limitare la libertà d’espressione, soprattutto per la messa al bando dei simboli comunisti, mentre la Commissione di Venezia ha detto che la norma non è conforme allo standard normativo europeo. Infine il governo polacco ha avuto da ridire sulla glorificazione dei partigiani dell’Oun, l’esercito di resistenza della seconda guerra mondiale, responsabile della morte di decine di migliaia di polacchi.
Spugna
Il paradosso della legge è che prevede degli obblighi e delle scadenze. I consigli comunali avrebbero dovuto cambiare nome a tutte le vie, piazze e monumenti legati al comunismo, entro novembre 2015. Dove questo non è avvenuto, è scattato l’obbligo per le province di provvedere entro maggio 2016. Se dopo quella data sopravvivranno ancora delle vie Lenin o piazze Ottobre, ci penserà il consiglio dei ministri a cancellarle per sempre. Insomma, non c’è possibilità di fare il contrario. Neanche se agli abitanti di una città non gliene fregasse niente di avere una via intitolata a un cantante di Liverpool e preferissero invece ricordare i piccoli pionieri o la gioventù comunista. E ce ne sono di casi così.
Un colpo di spugna sul passato che finora ha cambiato i nomi di 170 città, migliaia di strade e piazze, decine di parchi, quartieri, regioni e stazioni della metropolitana.
Piccioni
L’iconoclastia è sempre un male. È la manifestazione di un oscurantismo caparbio e pernicioso. Perché poi i talebani della toponimia non si fermano più. E innescano un’escalation dai risultati imprevedibili. Così ora a Kiev si sta decidendo di trasformare la prospettiva Mosca in viale Stepan Bandera, l’eroe criminale (è un ossimoro) che divide il Paese e gli storici. E i russi s’incazzano. Intanto – non si sa se per tutta risposta, ma certamente senza troppe remore – ha spianato la casa in cui soggiornò a Orenburg il poeta e icona nazionale ucraino Taras Shevchenko, a cui sono dedicati migliaia di monumenti e luoghi in patria, per farci un parcheggio. E gli ucraini s’incazzano.
Allora, davvero dovremmo lasciare in pace i monumenti. Perché, parafrasando una famosa citazione, in fondo le statue servono solo a farci stare sopra i piccioni. Chi è quel dissacratore che l’ha pronunciata? Un certo Vladimir Ilich Ulyanov, detto Lenin.
@daniloeliatweet
David Randall faceva la scorsa settimana su Internazionale una riflessione sulla tentazione iconoclasta di quei moralizzatori che amano prendersela con i monumenti. «Va bene abbattere le statue di Lenin, ma dobbiamo davvero cercare tutte le cose imbarazzanti del nostro passato solo per dimostrare quanto siamo progrediti?», ha scritto prendendo spunto da chi in America vuole cancellare il nome di Thomas Jefferson, terzo presidente degli Usa, per aver avuto una relazione con una schiava.