Saltato il pagamento di più di un miliardo di Eurobond, nuove scadenze nelle prossime settimane, debito al 170% del Pil: il Paese è tecnicamente fallito
Saltato il pagamento di più di un miliardo di Eurobond, nuove scadenze nelle prossime settimane, debito al 170% del Pil: il Paese è tecnicamente fallito
“Il debito è più grande di quanto il Libano possa sostenere, e superiore alle capacità dei libanesi di rispettare il pagamento degli interessi”. Con un annuncio atteso da giorni, ma non per questo meno preoccupante per le sorti del Paese, il Primo Ministro Hassan Diab, recentemente nominato alla guida del Governo dopo mesi di incertezze politiche causate da una grave crisi economica, ha confermato che lo Stato non avrebbe pagato 1.2 miliardi di dollari di Eurobond in scadenza nella giornata di ieri.
Una nuova tranche di Eurobond, pari a 700 milioni di dollari, maturerà nel mese di aprile, un’altra che ammonta a 600 milioni il prossimo giugno: difficile che il Libano possa rispondere positivamente ai creditori e, salvo un accordo — che sarebbe comunque estremamente complicato —, il Paese è destinato al fallimento. Sarebbe la prima volta per Beirut, ma il rapporto deficit/Pil pari al 170% che lo rende il terzo Paese più indebitato al mondo dopo Giappone e Grecia, e il valore del suo rating — meno dell’Argentina e della Repubblica Democratica del Congo — non lascia spazio per molte speranze di ristrutturazione per la sua economia.
Fino a pochi giorni fa, il mondo delle banche credeva fosse possibile un compromesso con i creditori. “Crediamo ancora che un approccio saggio sulla crisi economica e gli obblighi finanziari verso la comunità internazionale sia realizzabile, se c’è volontà da parte del Governo nell’adozione di piani di riforma necessari e politiche volte alla ristrutturazione della nostra economia”, ha affermato Salim Sfeir, a capo dell’Associazione delle Banche del Libano e Presidente di Banca di Beirut.
Negli ultimi mesi le banche locali hanno venduto i loro stock di Eurobond a fondi stranieri in cambio di moneta estera, per poter far fronte al pagamento di beni non acquistabili con la valuta libanese, la lira. Se da una parte questa opzione ha permesso il pagamento di petrolio, medicinali e beni di prima necessità come il grano, si è entrati in un territorio pericoloso che ora vede le entità finanziarie esterne in possesso dei crediti: il ripianamento del debito sarà così più complicato ed esporrà il Paese a richieste molto dure.
Il Libano e la sua classe politica hanno letteralmente perso tempo prezioso nell’arco degli ultimi due anni: per formare il Governo in seguito alle elezioni di maggio 2018 ci sono voluti ben 9 mesi; caduto l’esecutivo guidato da Saad Hariri in seguito alle proteste dei cittadini per la crisi economica, ci sono voluti altri 3 mesi per giungere alla compagine guidata da Diab. Nel suo annuncio, il Primo Ministro ha avvisato che presto il 40% dei cittadini sarà al di sotto della soglia di povertà, e aggiunto che farà di tutto per proteggere i risparmi dei correntisti. Far presto potrebbe non bastare a un Paese cruciale per le sorti geopolitiche del Vicino Oriente.
“Il debito è più grande di quanto il Libano possa sostenere, e superiore alle capacità dei libanesi di rispettare il pagamento degli interessi”. Con un annuncio atteso da giorni, ma non per questo meno preoccupante per le sorti del Paese, il Primo Ministro Hassan Diab, recentemente nominato alla guida del Governo dopo mesi di incertezze politiche causate da una grave crisi economica, ha confermato che lo Stato non avrebbe pagato 1.2 miliardi di dollari di Eurobond in scadenza nella giornata di ieri.
Una nuova tranche di Eurobond, pari a 700 milioni di dollari, maturerà nel mese di aprile, un’altra che ammonta a 600 milioni il prossimo giugno: difficile che il Libano possa rispondere positivamente ai creditori e, salvo un accordo — che sarebbe comunque estremamente complicato —, il Paese è destinato al fallimento. Sarebbe la prima volta per Beirut, ma il rapporto deficit/Pil pari al 170% che lo rende il terzo Paese più indebitato al mondo dopo Giappone e Grecia, e il valore del suo rating — meno dell’Argentina e della Repubblica Democratica del Congo — non lascia spazio per molte speranze di ristrutturazione per la sua economia.
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