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La ricerca del litio


In Europa, l’estrazione è resa più difficile dalle diffuse proteste Nimby (Not In My Back Yard): qui si sta allora cercando una terza fonte di litio, geotermico, direttamente in acqua, una soluzione che abbatte non solo i costi, ma anche l’effetto contaminante

L’America Latina è uno dei luoghi dove l’Unione Europea va a cercare il litio. Nel giugno 2019, ad esempio, il viceministro per il Commercio Estero svedese Niklas Johansson andò in Perù a inaugurare un forum, “Industria estrattiva per il futuro”, e a luglio in un’intervista a Reuters confermò che lo scopo del viaggio era stato cercare materia prima per quella che sarebbe diventata la più grande fabbrica di batterie al litio d’Europa, la cui partenza era annunciata per l’agosto successivo a Skelleftea, nel nord della Svezia. Un progetto destinato a partire subito, con una capacità da 16GWh, che ha raccolto un miliardo di dollari per la realizzazione, che conta Volkswagen e Bmw tra gli investitori, e che nel 2030 prevede di produrre 150 GWh, per un valore di 13 miliardi.

Il progetto, spiegò Johansson, ha valenza strategica proprio per sottrarre l’Europa a un possibile monopolio cinese, che in quel momento produceva i due terzi di tutte le batterie al litio fabbricate al mondo, e aveva un ruolo predominante come utilizzatore del litio latino-americano. Proprio l’anno prima, la canadese Plateau Energy Metals aveva trovato nel sud del Perù un giacimento da 2,5 milioni di tonnellate, che sarebbe diventato la miniera più grande del mondo. Da notare che i soldi per Skelleftea sono venuti da società tedesche e non dalla Volvo: tradizionale fiore all’occhiello dell’industria svedese, che però, attraverso la Geely, dal 2010 è controllata dalla Cina. “Se la Cina è capace di controllare un mercato, ciò rappresenterà un problema”, aveva spiegato Johansson nell’intervista.

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