Negli ultimi 25 anni il Nepal, noto in Occidente per essere porta dell’Himalaya e paradiso degli hippie, ha conosciuto una straordinaria e turbolenta evoluzione politica. Dall’abbandono, nel 1991, del sistema tribale tradizionale indiano “panchayat” in favore del sistema partitico, alla decisione del Partito Maoista di iniziare la guerriglia armata nel 1996 per abbattere un sistema monarchico ancora feudale e incentrato sulle caste; dalla strage del Palazzo Reale del 2001 (quando il principe ereditario Dipendra uccise Re e Regina per poi suicidarsi ) alla svolta dittatoriale di Re Gyanendra (l’anziano zio di Dipendra, succeduto al fratello assassinato, che nel 2005 sciolse il governo e accentrò su di se il potere esecutivo per meglio contrastare i maoisti che oramai controllavano i due terzi del territorio); dalle proteste che l’anno successivo costrinsero Gyanendra a rinunciare al potere assoluto (e convinsero i maoisti a cessare le ostilità), all’abolizione della monarchia (dopo 240 anni) nel 2007 ; dalla Costituzione provvisoria del 2008 a quella definitiva, entrata in vigore lo scorso 20 settembre e votata dal Parlamento con una maggioranza di 507 favorevoli e 25 contrari.
La nuova Carta fondamentale è stata scritta da un’assemblea costituente, eletta nel 2013, composta tanto dalle forze tradizionali (in particolare il Partito del Congresso, democratico-riformista) quanto dagli ex ribelli maoisti (al contrario della precedente assemblea costituente, eletta nel 2008, dominata dai maoisti ma rivelatasi inconcludente). Un impulso fondamentale pare sia arrivato dalla necessità di dare al Paese un segnale di unità e speranza dopo il terribile terremoto del 25 aprile 2015, che ha causato oltre 8mila vittime . Nella nuova Costituzione lo Stato nepalese – in passato “regno Hindu” (religione dell’80% della popolazione) fino all’abolizione della monarchia – viene definita come una Repubblica secolare suddivisa in sette province federali. Questo è un deciso cambio di rotta rispetto alla forma di Stato unitario vigente finora, e proprio circa la suddivisione del territorio in sette parti – e sugli effetti del nuovo sistema elettorale – si sono registrate violente proteste da parte di alcune minoranze. I morti negli scontri sono stati, secondo le fonti ufficiali, quaranta.
In particolare i Tharus – gruppo etnico che vive nella regione meridionale del Terai al confine con l’India, tradizionalmente povero (addirittura “schiavizzato” negli anni ’50 con il sistema del Kamaiya, cioè sfruttamento del lavoro per debiti, da gruppi etnici appartenenti a caste superiori trasferitisi nei loro territori dopo la bonifica della malaria) – sono scontenti dell’essere divisi in due diverse province, e mischiati con altri gruppi etnici che potrebbero prevalere nel nuovo sistema elettorale. Infatti la quota di parlamentari eletti con metodo proporzionale scende al 45% (dal 58% della Costituzione provvisoria precedentemente in vigore), e questo – unito alla nuova configurazione delle sette province – rischia di essere un problema non solo per i Tharus ma per numerose minoranze che vedranno ridotta la loro rappresentanza. Anche i Madhesi, sempre stanziati nel Terai, hanno protestato contro la nuova Costituzione, in particolare per le norme che legano l’acquisto della cittadinanza da parte dei figli alla nazionalità del solo padre: da madre nepalese e padre straniero nasceranno quindi figli stranieri. Per i Madhesi, che statisticamente contraggono molti matrimoni con cittadini indiani della stesa etnia che vivono al di là del confine, questa norma è sessista e discriminatoria, e nel medio periodo porterà a una loro sottorappresentanza politica.
Il Nepal è uno degli Stati più poveri al mondo, nella società prevale ancora il modello patriarcale ed economicamente è molto arretrato. Qui ancora resistono varie diseguaglianze di stampo sessista, razzista e classista. Nel Paese coesistono – ma quasi senza mescolarsi, complice la divisione in caste – un centinaio di diverse etnie. I leaders dei partiti che hanno redatto la nuova Costituzione – maoisti inclusi – sono maschi e appartengono tutti alle caste alte. Questo elemento, unito alle problematicità sopra citate, ha ulteriormente acutizzato le preoccupazioni delle minoranze e dei gruppi di tutela dei diritti delle donne. Anche l’India ha espresso preoccupazione, temendo che le proteste violente di alcuni gruppi etnici che vivono sul confine possano travasarsi nel proprio territorio. Tuttavia, secondo quanto riporta la maggioranza dei mass media locali e asiatici, la maggioranza dei nepalesi sembra contenta per la nuova Carta. In primo luogo viene visto comunque come un successo l’aver finalmente raggiunto un traguardo inseguito inutilmente per sette anni. Poi, è la speranza dei sostenitori, la nuova Costituzione aumenterà la certezza del diritto, la stabilità del Paese e, conseguentemente, aiuterà l’economia. Infine, come viene propagandato soprattutto dai partiti che hanno votato a favore di tale Carta, si tratta comunque di una legge di carattere progressista rispetto alla situazione esistente. Particolarmente felici sono poi i rappresentanti delle comunità lesbiche, gay, bisex e transgender (LGBT) che hanno visti riconosciuti i loro diritti direttamente nella Costituzione. Delusi invece tanti ex guerriglieri maoisti che speravano di rivoluzionare lo Stato e la società nepalese, abbattendo le divisioni del passato e redistribuendo la ricchezza, e che devono invece accontentarsi di un compromesso da loro ritenuto al ribasso.
@TommasoCanetta